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    CAFÉ SOCIETY

    Dal 69. Festival del Cinema di Cannes (11-22 Maggio 2016) - Dal 29 SETTEMBRE - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by OWEN GLEIBERMAN, (www.variety.com)

    "Quando ho scritto la sceneggiatura, l’ho strutturata come un romanzo. Come in un libro, in questo film ci si sofferma per un po’ su una scena del protagonista con la sua ragazza, un po’ su una scena con i suoi genitori, seguito da una scena con la sorella o il fratello gangster, una scena con star di Hollywood e trafficanti, e quindi sui caffè frequentati da politici, debuttanti, playboy, e uomini che tradiscono le mogli o che sparano ai mariti. Io non la considero la storia di una sola persona, ma di tutti... La storia d'amore di Bobby è lo scheletro del film, ma tutti questi altri personaggi compongono l'atmosfera e la trama della storia stessa... Ho deciso di partecipare personalmente perché sapevo esattamente come dovevano essere modulate le parole. Ho pensato che per sottolineare questa struttura narrativa fosse necessaria la voce off dell’autore del romanzo, in questo caso la mia".
    Il regista e sceneggiatore Woody Allen

    (Café Society; USA 2016; Commedia romantica; 96'; Produz.: Gravier Productions; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)

    Locandina italiana Café Society

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    Celluloid Portraits:



    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: Café Society

    Titolo in lingua originale: Café Society

    Anno di produzione: 2016

    Anno di uscita: 2016

    Regia: Woody Allen

    Sceneggiatura: Woody Allen

    Cast: Jesse Eisenberg (Bobby)
    Kristen Stewart (Vonnie)
    Steve Carell (Phil Stern)
    Blake Lively (Veronica)
    Sheryl Lee (Karen Stern)
    Corey Stoll (Ben Dorfman)
    Anna Camp (Candy)
    Todd Weeks (Oscar)
    Paul Schackman (Al)
    Jodi Carlisle (Maid)
    Sari Lennick (Evelyn)
    Stephen Kunken (Leonard)
    Saul Stein (Danny)
    Paul Schneider (Steve)
    Parker Posey (Rad Taylor)
    Cast completo

    Costumi: Suzy Benzinger

    Scenografia: Santo Loquasto

    Fotografia: Vittorio Storaro

    Montaggio: Alisa Lepselter

    Effetti Speciali: Eran Dinur (supervisore effetti visivi)

    Makeup: Stacey Panepinto (capo dipartimento makeup); Christine Fennell (capo dipartimento acconciature)

    Casting: Patricia Kerrigan DiCerto e Juliet Taylor

    Scheda film aggiornata al: 14 Ottobre 2016

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Siamo negli Anni Trenta, una famiglia ebrea vive a New York e tutto scorre abbastanza tranquillo. Fino a quando uno dei componenti della famiglia decide di partire per Los Angeles e tentare la strada del cinema: vuole diventare un agente cinematografico. Nella nuova metropoli incontrerà l'amore e si immergerà nell'atmosfera pimpante della Cafè Society.

    IN DETTAGLIO:

    E’ ambientata nel 1930 la storia d'amore agrodolce di CAFÉ SOCIETY che segue il viaggio di Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) dal Bronx, dove è nato, a Hollywood, dove si innamora, per poi tornare nuovamente a New York, in cui viene travolto nel mondo vibrante della vita dei locali notturni dell'alta società.

    Incentrato sugli eventi della vita della famiglia originaria del Bronx di Bobby, il film è un ritratto scintillante delle star del cinema, esponenti dell’alta società, playboy, debuttanti, politici e gangster che riassumono l'emozione ed il fascino dell'epoca.

    La famiglia di Bobby è composta dai genitori inesorabilmente conflittuali, Rose (Jeannie Berlin) e Marty (Ken Stott), dall’amorale ma disinvolto fratello gangster Ben (Corey Stoll), dalla protettiva ed intelligente sorella Evelyn (Sari Lennick) e da suo marito, l’intellettuale Leonard (Stephen Kunken). Per il malavitoso Ben, non ci sono domande a cui non si può rispondere con la violenza, mentre gli altri sono più propensi a riflettere su questioni più profonde, come il bene e il male, la vita e la morte, e la fattibilità commerciale della religione. Volendo di più dalla vita, Bobby lascia la gioielleria del padre e tenta la fortuna a Hollywood, con un lavoro per lo zio Phil (Steve Carell), un potente agente delle star. Ben presto si innamora dell’affascinante segretaria di Phil, Vonnie (Kristen Stewart), ma essendo già impegnata con un altro uomo, i due diventano amici. Bobby stringe amicizia anche con Rad (Parker Posey), la proprietaria di un’agenzia di modelle, e con suo marito Steve (Paul Schneider), un ricco produttore. Quando Vonnie viene piantata dal fidanzato, Bobby non perde l’occasione di corteggiarla, e lei alla fine contraccambia il suo affetto. Ma alla proposta di sposarlo e trasferirsi a New York, la donna seppur tentata, manda all’aria i piani. Bobby con il cuore in frantumi, torna a New York dove inizia a lavorare per Ben, che nel frattempo gestisce un night club. Bobby mostra un talento naturale come impresario, e promuove rapidamente il club, ribattezzato con il nome "Les Tropiques", rendendolo uno dei più frequentati della città. Rad gli presenta la bella e mondana Veronica (Blake Lively) e lui la corteggia assiduamente. Anche se il suo interesse per Vonnie non è mai svanito, quando Veronica gli rivela di essere incinta, si sposano ed iniziano una vita veramente felice insieme. Tutto sembra andare a gonfie vele per Bobby fino alla notte in cui Vonnie si presenta a "Les Tropiques"...

    SHORT SYNOPSIS:

    A girl and a boy in the most classy years of New York. A father of a girl and a mother of a boy in the deep America. A meeting in the middle. Written and directed by Woody Allen. Set to premiere in Cannes' 16, expected to be released later this fall.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    Woody Allen inguaribile e romantico sognatore non rinuncia alla frizzante ironia esistenziale, socio-culturale e... persino religiosa. Una storia d'amore agrodolce depurata del canonico happy ending, si colloca sullo sfondo della Hollywood anni Trenta, una delle passioni alleniane, con il jazz e la fotografia d'epoca patinata. Qui Woody Allen riunisce un tris di giovani astri dello star system (Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Blake Lively) con una vecchia guardia come Steve Carell. Ed' e' poker d'assi. Ecco che un altro pastello in celluloide prende vita per farsi sguardo corale su un'intera societa' che dal Bronx, passando per Hollywood, si porta a New York ed oltre... sulle ali dei sogni che non muoiono mai

    Più o meno tutte le romanze amorose alleniane respirano la stessa atmosfera che si nutre delle autentiche passioni, se non proprio ossessioni, del suo prolifico autore. Non è un mistero per nessuno che Woody Allen abbia riservato un posto d'onore

    nelle sue priorità stilistico-affettive agli anni Trenta-Quaranta, al jazz, agli amori possibili o impossibili con tutte le sue contraddizioni e alle giovani star da shakerare fin dalle fondamenta per poterne ricavare aromi sopiti o almeno mai odorati nella loro piena fragranza. Il tutto inzuppato in una fotografia patinata e 'ingiallita' da cover d'epoca. Un cocktail che ama consumare con una certa frequenza, accompagnato dall'immancabile ciliegina: quella frizzante ironia che non di rado se la intende a meraviglia con un rassegnato distacco, alquanto cinico, sarcastico, per guardare allo stato delle cose, regalando divertenti schegge comiche in cui tutti ormai riusciamo a riconoscere micro frammenti di lui stesso. Questo è Woody Allen, l'autore che a cadenza più o meno annuale, mette in moto un'idea non sempre nuova o necessariamente innovativa, per scavare dentro se stesso, in spicchi di società e di intimità di coppia, per irridere a certe contraddizioni dell'umana natura e

    del suo modo di affrontare quel cataclisma dell'esistenza in grado di investirci, talvolta fino a travolgerci, ogni giorno. E se a questo scenario si aggiunge la 'fabbrica del cinema' in quel di Hollywood, la materia prima rende le cose più facili, all'implacabile e inossidabile autore che si nutre di cinema da una vita e che ne conosce le retrovie come le sue tasche. Difatti i fendenti non sono né pochi né misericordiosi.

    Così questo Cafè Society, imparentato un pò con La maledizione dello scorpione di giada, un pò con Midnight in Paris, e non solo, non si impone all'attenzione per travolgenti novità: chi, proprio tra gli addetti ai lavori, non si è mai divertito ad evidenziare sul grande schermo le scandalistiche dinamiche dei dietro le quinte dell'industria cinematografica hollywoodiana?! Barry Levinson (Disastro a Hollywood) e più di recente i frateli Coen (Ave, Cesare!) docent. Woody Allen non nasconde l'evidente piacere di

    aggregarsi al gruppo della critica irriverente, là dove ai party di rito delle prime cinematografiche in lussuose ville con piscina, magari qualcuno al banco delle cibarie potrà lasciarsi sfuggire battute del tipo "non importa con quanti andrà a letto, non avrà mai quella parte!". Pettegolezzi, la cura delle apparenze a dispetto di realtà ben diverse, lusso ostentato e ambito, anelato, ricusato e poi raggiunto e declinato ogni giorno senza alcun senso di colpa. O almeno senso di colpa non abbastanza forte da cambiare lo stato delle cose in maniera sostanziale, tutt'al più di inanellare qualche rimpianto. Come ammicca lo stesso titolo, Café Society pone sotto la ribalta dei riflettori quella stessa materia prima, già variamente triturata da altri prima, ma ci aggiunge l'altra fetta di fauna umana, quella che completa una torta farcitissima, con playboy, politici, esponenti vari dell'alta società, gangster e tutto quel che riluce nei meandri della memoria

    storica e affettiva del nostro Woody che, a quanto pare, non se l'è proprio sentita di rinunciare a frequenti intermezzi di voce fuori campo per presentare e commentare gli innumerevoli avventori di questa caotica e folle esistenza ricreata sulla celluloide. La voce di un narratore che invita lo spettatore all'osservazione di chi e cosa sta per trovarsi davanti e a condividerne l'evidente natura.

    Ma la vera novità in Cafè Society, o almeno quel che potrà sorprendere di più, è quel che Woody Allen è riuscito ad esaltare nelle capacità d'interpretazione in ognuna delle giovani star qui reclutate. Si ha come l'impressione che si siano letteralmente reinventate per l'occasione, per respirare all'unisono da uno stesso, unico polmone, l'ossigeno di atmosfera e situazioni immediatamente riconoscibili con lo stile dell'epoca, immancabilmente ritratteggiate secondo i canoni classici della commedia alleniana. Non si dice del più che navigato Steve Carell, qui tradotto nel classico

    manager hollywoodiano Phil, quanto piuttosto: di Jesse Eisenberg, nei panni dello sprovveduto e candido Bobby con aspettative che gli torneranno indietro deluse ma non spogliate di una seconda chance; di Blake Lively, mai così camaleonticamente allineata sulla medesima lunghezza d'onda del personaggio (Veronica); e, incredibile a dirsi, persino di Kristen Stewart che, forse per la prima volta in vita sua, con Vonnie dà prova di aver finalmente imparato a recitare, a fare sul serio - con Allen evidentemente non si scherza! - tagliandosi via dalla faccia quella smorfietta autoreferenziale che la contraddistingueva. Dei germogli cresciuti in una notte: talenti in erba portati ad incredibile maturazione dal potente fertilizzante alleniano.

    E mentre la vita scorre sul grande schermo, il cinema d'autore di quegli anni, con le sue star icone degne di memoria che Woody Allen non manca di citare con orgogliosa e innamorata soddisfazione, occhieggia dalle sale dell'epoca, quando il cinema rappresentava

    ancora una necessità esistenziale come il pane quotidiano. E' lo sguardo languido e nostalgico che ben conosciamo in Woody Allen, tanto quanto la sua effervescente e irriverente ironia che qui non solo non ha risparmiato neppure la religione ebraica, ma ne ha fatto una delle sequenze più esilaranti. Ironia cui ha d'altra parte concesso l'onore e l'onere di aprire il sipario sull'atto di riflessione più profondo che affonda la lama sul senso della vita e della morte mentre chiude in sospensione sull'amore sognato che quasi mai può essere vissuto veramente. E questo perché, come dice l'alter ego alleniano Bobby/Eisenberg: "La vita è una commedia scritta da un sadico commediografo"

    Secondo commento critico (a cura di Owen Gleiberman, www.variety.com)

    Jesse Eisenberg and Kristen Stewart pair off in Woody Allen's beautiful-looking but overly familiar Hollywood love triangle

    Going into a new Woody Allen film, there’s always the hope that it’s going to be major, like “Blue Jasmine,” and not one of his trifles, like the Allen movies that have opened the Cannes Film Festival in recent years (“Hollywood Ending,” “Midnight in Paris”). At this point, however, his track record vastly favors the probability that it’s going to be a trifle, at which point the question then becomes: Will it be one of his good ones — that is, one of those Allen fables that really sings? “Café Society,” starring Jesse Eisenberg as a sweetly naïve Bronx nebbish who journeys to Hollywood in the 1930s to seek his fortune, has been made with all the verve and high-style panache and star magnetism of a small-scale Allen gem. Yet the film,

    watchable as it is, never quite overcomes the sense that it’s a lavish diagram working hard to come off as a real movie. With intermittent romantic sparks struck between Eisenberg and his co-star, a poised and glowing Kristen Stewart, “Cafe Society” is likely to draw a larger swath of the Allen audience than his last two, “Magic in the Moonlight” and “Irrational Man.” But there may be a limit to its success, since it’s one of those Allen films that keeps talking about passion instead of actually making the audience feel it.

    Eisenberg, looking handsome in wide pleated pants and a curly pompadour, is the latest in a long line of actors who have been given the obvious directive to channel Allen’s onscreen spirit. But he does a more appealing job of it than most, because the Eisenberg mannerisms – the antic verbal dexterity, the slight sputter of people-pleasing insecurity –

    match up so organically with Allen’s own. Eisenberg plays Bobby Dorfman, who arrives in Hollywood looking to get a job in the office of his uncle, Phil (Steve Carell), a veteran agent so powerful that he can’t turn around at a pool party without being badgered about some deal he’s negotiating for Ginger Rogers or William Powell. We suspect — or maybe hope — that Phil is going to be the oily player who lures Bobby into his world of corrupt glamor, but Carell, looking tanned and fleshy, plays Phil as a busy, babbly Type A mensch who gives his nephew errands to run and finds the time to introduce him to all the right people.

    One of those is Phil’s secretary, Vonnie (Stewart), a willowy but disarmingly level-headed former ingénue who claims to reject the Hollywood game. She takes Bobby on an impromptu tour of celebrity mansions, and they discuss

    the larger-than-life quality of movie stardom, which prompts Vonnie to insist: “I think I’d be happier being life-size.” Stewart makes you touch the reality of that line. She sheds some of her own halting mannerisms to play a woman of warmth who, with a twinkle, holds her ardor close to the vest, and this mood of quiet confidence fits the actress beautifully. It’s that quality that attracts the guileless Bobby, and it isn’t long before puppy love ensues.

    There’s a twist, of course: Vonnie already has a boyfriend — and that lover, it’s revealed early on, is none other than Uncle Phil, who has promised to abandon his wife and marry Vonnie. There’s nothing very original about this love-triangle dilemma, especially in a Woody Allen film, where it directly mirrors so many of the setups in his earlier work, notably the adulterous tangle of “Manhattan.” The question is: Where will he

    take it this time? And the answer turns out to be: not somewhere very interesting. Carell’s Phil, even though he’s betraying his wife, is portrayed as such a victim of his own romantic devotion that it’s hard to root against him — and Vonnie, in fact, insists that she loves both men.

    There’s a hint of novelty in the way this plays out against a lusciously visualized period-Tinseltown backdrop. And, indeed, Vittorio Storaro’s scrumptious, dark-toned cinematography is so breathtaking that it almost seems to be telling a story of its own. Storaro, that maestro of color and shadow, turns the wood-paneled offices and restaurants into an Art Deco daydream, and when Bobby and Vonnie are seated in Bobby’s motel room and the electricity goes out, the sudden illumination-by-candlelight looks like something out of “Barry Lyndon.” Every shot in “Café Society” glows with lustrous classicism. Yet all of this just makes you

    wish that Allen had brought the Old Hollywood setting to life with a richer sense of drama and play, the way that the Coen brothers did recently in “Hail, Caesar!”

    If you’re wondering what the title means, “Café Society” refers to the high life back in New York City, where Bobby returns after being spurned by Vonnie. He goes to work in the nightclub owned by his cliché gangster of a brother, Ben (Corey Stoll), and he supposedly finds his place among the swells, but it’s hard to escape the slightly disappointing sense that the movie is starting all over again. And this time, more than ever, it’s telling rather than showing. Allen has chosen to narrate the film himself, which seems like a harmless enough gambit, but his voice, after a while, begins to sound almost syrupy with didactic melancholy, and we can’t help but notice that a lot of

    the stuff he’s telling us — Bobby gets to know politicians and gangsters! He becomes a man of the world! — should, in fact, have been the very substance of the movie’s plot. Eisenberg’s likable performance never gets a chance to grow; the character development mostly comes down to the fact that in the nightclub, he starts wearing a white tuxedo. He remains that same sweet kid, pining away. By the end, that almost seems to be the point: that a great many people walk around carrying the ghosts of love – a dream of what might have been. But that’s a message we need to feel in our hearts, rather than our heads, if it’s going to haunt us. Mostly, “Café Society” leaves you dreaming of the movie it might have been had Woody Allen made it by doing what he’s done in his best work: nudging himself out

    of his comfort zone.

    Perle di sceneggiatura


    Pressbook:

    PRESSBOOK COMPLETO in ITALIANO di CAFÉ SOCIETY

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    Galleria Video:

    Café Society - trailer

    Café Society - trailer (versione originale)

    Café Society - clip 'A me non piace la droga, ti incasina tutto'

    Café Society - clip 'Non mi deludere'

    Café Society - clip 'Se chiedi educatamente, la gente ti dà retta'

    Café Society - clip 'Ristorante messicano'

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