IL PONTE DELLE SPIE: STEVEN SPIELBERG, I COEN E TOM HANKS NEI PARAGGI DEL 'PONTE DELLE SPIE' E DELLA GUERRA FREDDA. NASCE COSI' UN NUOVO THRILLER
Seconde visioni - Cinema sotto le stelle: 'The Best of Summer 2016' - Tra i piĂš attesi!!! - VINCITORE dell'OSCAR al 'MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA' (MARK RYLANCE) - 6 NOMINATION agli OSCAR 2016: Miglior film; Miglior attore non protagonista; Miglior sceneggiatura originale; Miglior colonna sonora originale; Miglior scenografia; Miglior sonoro - CANDIDATO ai GOLDEN GLOBE - 'Miglior Attore Non Protagonista': (Mark Rylance) - 25. Courmayeur Noir in Festival (8-13 Dicembre 2015) - (Uscito al cinema il 16 DICEMBRE 2015) - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com)
"Mio padre era andato in Russia durante la Guerra Fredda, dopo la cattura di Francis Gary Powers. Mio padre e altri tre colleghi della General Electric stavano facendo la fila per vedere i resti dellâaereo spia U2 che i russi avevano messo in mostra per chi volesse vederli, e che comprendevano anche lâuniforme da volo e il casco di Powers. La fila era molto lunga, ma a un certo punto due militari russi si avvicinarono a lui e ai suoi amici, chiedendo loro i documenti; quando si resero conto che erano americani, li portarono allâinizio della fila, non per agevolarli, ma per indicargli i resti dellâaereo e ripetergli, piĂš volte, con astio: âGuardate cosa sta facendo il vostro Paeseâ!â Poi restituĂŹ i passaporti a tutti e quattro. Non ho mai dimenticato quella storia, cosĂŹ come non ho dimenticato ciò che è accaduto a Francis Gary Powers... Joel e Ethan ci hanno messo in contatto profondo con i nostri personaggi. Hanno trasmesso ironia e un pizzico di umorismo sopra le righe, che evoca lâidea che non è il film a essere assurdo, bensĂŹ la realtĂ stessa. Sono dei grandi osservatori della vita reale, come si evince dalle loro opere, e il loro approccio caratteristico emerge anche in questo film"
Il regista Steven Spielberg
(Bridge of Spies; USA 2015; Thriller drammatico; 140'; Produz.: DreamWorks SKG/Marc Platt Productions/Participant Media in co-produzione con Studio Babelsberg; Distribuz.: 20th Century Fox)
Soggetto: Il titolo del film, Bridge of Spies, fa riferimento a un ponte realmente esistente a Berlino, che un tempo univa la zona est e quella ovest: oggi noto come Ponte di Glienicke e noto appunto come "ponte delle Spie" perchĂŠ fu spesso teatro di scambi di prigionieri tra i servizi segreti americani e quelli della Germania Est. E Bridge of Spies racconta di quello: nello specifico, la storia del primo scambio di prigionieri avvenuto su quel ponte, seguendo i tentativi dell'avvocato James Donovan di negoziare il rilascio di un pilota statunitense, Francis Gary Powers, abbattuto nei cieli dell'Unione Sovietica mentre volava a bordo un aereo spia U2.
PRELIMINARIA - Come è venuto fuori il Soggetto del film:
Il drammaturgo e scrittore televisivo londinese Matt Charman si è incuriosito dellâargomento, leggendo una nota a piĂŠ di pagina allâinterno di una biografia su John F. Kennedy, che menzionava un avvocato americano che il Presidente aveva inviato a Cuba per negoziare il rilascio di 1113 prigionieri. Una rapida ricerca gli ha rivelato un nome che non conosceva: James Donovan, un brillante avvocato
assicurativo, originario di Brooklyn. Ma è la storia di ciò che era accaduto qualche anno prima, ad aver suscitato maggiormente il suo interesse. Durante la Guerra Fredda, Donovan aveva difeso un agente sovietico accusato di spionaggio, perchÊ
nonostante fosse specializzato in legge assicurativa e non avesse alcuna esperienza di cause penali, gli era stato chiesto di negoziare la libertĂ di uno dei prigionieri piĂš importanti della storia.
Cast: Tom Hanks (James Donovan) Amy Ryan (Mary Donovan) Alan Alda (Thomas Watters) Mark Rylance (Rudolf Abel) Billy Magnussen (Doug Forrester) Austin Stowell (Francis Gary Powers) Eve Hewson (Jan Donovan) Domenick Lombardozzi (Agente blasco) Sebastian Koch (Wolfang Vogel) Michael Gaston (Williams) Marko Caka (Reporter) Joshua Harto (Bates) Stephen Kunken (William Tompkins) Peter McRobbie (Allen Dulles) Noah Schnapp (Roger Donovan)
Musica: John Williams
Costumi: Kasia Walicka-Maimone
Scenografia: Adam Stockhausen
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Casting: Lucky Englander, Fritz Fleischhacker ed Ellen Lewis
Scheda film aggiornata al:
14 Agosto 2016
Sinossi:
IN BREVE:
Un avvocato americano viene reclutato dalla CIA durante la guerra fredda per aiutare a salvare Francis Gary Powers, un pilota detenuto in Unione Sovietica. Il 1º maggio del 1960, Francis Gary Powers, arruolato dalla CIA per scattare foto sorvolando ad altissima quota Paesi ostili, durante un volo sull'Unione Sovietica fu abbattuto con un missile terra-aria (anche se ciò non fu mai certo) presso Sverdlovsk; catturato e poi processato come spia, fu condannato a tre anni di reclusione e sette di lavori forzati.
IN DETTAGLIO:
Negli anni â50, al culmine delle tensioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica, lâFBI arresta Rudolf Abel (Mark Rylance), un agente sovietico che vive a New York, generando unâescalation di paura e paranoia. Accusato di aver inviato messaggi in codice alla Russia, Abel viene interrogato dallâFBI, ma si rifiuta di collaborare, respingendo lâofferta di tornare nel suo Paese. Viene pertanto rinchiuso in una prigione federale in attesa di processo. Il governo, nella necessitĂ di trovare un avvocato indipendente che assuma la difesa di Abel, si rivolge a James Donovan (Tom Hanks), un legale assicurativo di Brooklyn. Ma Donovan, un ex procuratore dei processi di Norimberga, che gode di grande considerazione allâinterno della comunitĂ legale grazie alla sua spiccata abilitĂ di negoziatore, in realtĂ ha poca esperienza in situazioni di questa portata, e oltre tutto non intende farsi coinvolgere in un caso che potrebbe renderlo impopolare ed esporre la propria famiglia al pubblico sdegno e persino al pericolo. Tuttavia Donovan, essendo un convinto sostenitore della giustizia e della tutela dei
fondamentali diritti umani, alla fine accetta di rappresentare Abel, proprio perchĂŠ desidera che questi riceva un processo equo, a prescindere dalla sua cittadinanza. Mentre prepara la sua strategia di difesa, nasce un legame, fra i due uomini, che si basa sul rispetto e sulla comprensione reciproca. Donovan ammira la forza e la lealtĂ di Abel, e costruisce una difesa appassionata per impedire che riceva la pena di morte, argomentando che le sue azioni sono state quelle di un bravo soldato che ha obbedito agli ordini del suo Paese. In seguito, lâaereo spia americano U-2 viene abbattuto mentre sorvola lo spazio aereo sovietico, durante una missione di ricognizione, e il pilota, Francis Gary Powers (Austin Stowell), viene arrestato e condannato a 10 anni di prigionia in Russia. La CIA, pur smentendo categoricamente di essere a conoscenza della missione, teme che Powers possa essere costretto a rivelare le informazioni riservate. Avendo assistito alla bravura di Donovan nelle aule del tribunale, il funzionario della CIA Hoffman (Scott Shepherd) lo contatta per offrirgli unâimportante missione per garantire la sicurezza nazionale: poco dopo Donovan si ritrova in viaggio per Berlino, per negoziare lo scambio fra i due prigionieri, guidato da un amore indiscusso nei confronti del suo Paese, dalla forza delle sue convinzioni e da un enorme coraggio. Una volta giunto a destinazione, viene a sapere che uno studente americano di nome Frederic Pryor (Will Rogers) è stato arrestato a Berlino Est mentre cercava di tornare nella sua abitazione situata nella zona Ovest, e nonostante le indicazioni della CIA di concentrarsi solo sul pilota, decide di negoziare anche il rilascio dello studente, per non essere iniquo con nessuno.
SHORT SYNOPSIS:
An American lawyer is recruited by the CIA during the Cold War to help rescue a pilot detained in the Soviet Union.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
IL FILM PIĂ 'ACCADEMICO' NELLA CARRIERA DI STEVEN SPIELBERG
Si direbbe quasi un'analisi di laboratorio, in vista di un'operazione chirurgica. L'anamnesi di eventi realmente accaduti all'ombra della Guerra Fredda. Ed è per l'appunto 'freddo', secondo il mio punto di vista, l'aggettivo che piÚ si addice a Il ponte delle spie diretto da Steven Spielberg sulle addottorate penne dei fratelli Coen. La freddezza e il controllo dominano le atmosfere di tutto il film, attraversato in lungo e in largo a cavalcioni dei dedali burocratici, amministrativi, legali, del controspionaggio. Quello bifronte per eccellenza, tra Stati Uniti e Unione Sovietica, cosÏ come indottrina la didascalia iniziale sulle coordinate di un fenomeno storico conosciuto ormai anche dalle pietre. Non credo che risultino poi cosÏ sconosciute alle nuove generazioni le tematiche trattate da Spielberg nel suo film, perchÊ non è certo la prima volta che la celluloide sforna spaccati sui foschi intrallazzi di quel periodo storico.
E sul piano dello spionaggio politico poi, lo ha fatto anche riuscendo non di rado ad emozionare, mantenendo il filo tensivo per tutta la durata della storia raccontata in quel momento. E' ad esempio il caso de Le vite degli altri (Premio Oscar al miglior Film Straniero 2006) del tedesco Florian Henckel von Donnersmarck. Ma lo stesso non può dirsi per Il ponte delle spie di Spielberg. Eccezion fatta per il suggestivo inizio e per il palpitante epilogo.
E dire che tutto è perfetto ne Il ponte delle spie: la fotografia patinata da fotoromanzo anni Cinquanta, i costumi, le auto d'epoca, le strade cittadine, le aule di tribunale, i deschi familiari, le scenografie in generale, la moglie e donna tipo (la Mary Donovan di Amy Ryan), la famiglia tipo, appunto. E perfette risultano le interpretazioni dei protagonisti leader: il sovietico Rudolf Abel che vive a New York, nei cui panni
Mark Rylance - attore, regista e drammaturgo inglese che prossimamente rivedremo ne Il gigante gentile nuovamente alle direttive di Spielberg - quasi ruba la scena, a colpi di silenzi e monosillabi, al cesellato seppur umanissimo Tom Hanks nelle vesti dell'avvocato James (Jim) Donovan. Ed Hanks, al suo quarto film diretto da Spielberg, dopo Salvate il sodato Ryan, Prova a prendermi e The Terminal, si sa che si trova a suo agio con personaggi dalla morale integerrima; questa volta è il destino del soldato Francis Gary Powers ad essere nelle sue mani. Una sorta di eroe d'epoca il suo legale assicurativo di Brooklyn Donovan, spuntato dalla scrittura dei Coen dopo esser stato prelevato da un interessante capitolo di vita reale: il riflesso di uno spicchio di rilievo di Storia mondiale e di un uomo, per l'appunto, 'tutto d'un pezzo'. Ma che dire dell'altro? Non meno eroico e stoico di Donovan. E
quella sorta di mantra personale assestato sul costante punto di domanda, "servirebbe?", sta a dimostrarlo.
Servirebbe ad esempio contrastare la tentazione imperante della condanna a priori? Servirebbe quando da entrambe le parti si fanno esattamente le stesse operazioni di spionaggio per un controllo vicendevole? Servirebbe a lenire la paura reciproca e il sospetto che alimentate a dovere serpeggiano nel popolo americano cosÏ come in quello sovietico? Lo scambio dei reciproci prigionieri per Donovan è la cosa piÚ giusta da prospettare, ma certo tutt'altro che facile, quasi impossibile da realizzare, in un clima come quello e soprattutto quando lo scambio sembra impari: due americani (oltre al pilota Powers arruolato dalla CIA, spunta anche lo studente laureando in Economia). Clima in cui vediamo l'intima interconnessione della Berlino Est al momento della costruzione del famigerato muro e dell'operato dell'altrettanto famigerata DDR. La stessa DDR protagonista per l'appunto nel su citato Le vite degli altri
di Florian Henckel von Donnersmarck. Ma, al contrario di Von Donnersmarck, Spielberg sembra irrigidirsi sulle difficili dinamiche di risoluzione dei reciproci conflitti, affondando la lama nella polpa piÚ verbosa delle possibili vie di fuga sul piano delle trattative senza danni pesanti per entrambe le parti, e questo quando l'orientamento generale non vorrebbe neppure negoziare. CosÏ nel suo affresco iperrealista Il ponte delle spie, Spielberg adagia una pennellata sull'altra con estrema calma e ponderatezza sulla sfumatura piÚ consona. Il fatto è che vederlo all'opera non è sempre entusiasmante, neppure con Tom Hanks costantemente sul campo a sbattersi da un muro all'altro delle trattative, a fare da ago della bilancia su un equilibrio estremamente precario e con l'ombra lunga di ritorsioni personali, sia sul piano professionale che familiare.
Rigore e controllo dunque, anche e soprattutto delle emozioni, dominano Il ponte delle spie di Steven Spielberg. Tenersi d'occhio in ogni modo, è stato l'imperativo
all'altezza del 1957, al culmine della Guerra Fredda tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, momento cui prende avvio questa storia, sulla punta di un pennello per un autoritratto, come di norma, realizzato con l'ausilio di uno specchio. Un classico di metafora introspettiva sulla doppia identitĂ dell'individuo protagonista. E un nuovo classico di ammiccamento alle doppie identitĂ che alimentano oggi la contemporaneitĂ intrappolata in nuove guerre. Guerre che sembrano peraltro essersi lasciate alle spalle la freddezza del controllo - ma il tam tam della caccia all'uomo nero o alle streghe che dir si voglia persevera - per dare direttamente fuoco alle polveri. Un rigore e un controllo che nel film si traducono ben presto in un diffuso umore, come dire, sensibilmente accademico. Spielberg ha fatto una scelta di fondo: dipingere in primo piano il fitto e intricatissimo sottobosco delle dinamiche amministrative, vincolate e pesantemente condizionate, dal pressante, indiretto, tete a tete,
da parte delle due potenze mondiali, avvinghiate nella morsa di un mirino reciproco. Difficile poi, in un primo piano giĂ cosĂŹ affollato, lasciar affiorare maggiormente dallo sfondo la reciproca conoscenza tra due protagonisti. Eppure, qualche tassello in piĂš sulla paradossale circostanza che li scopre alleati sul piano di una vicenda legale inzuppata in un clamoroso vizio di forma in cui nessuno, neppure i giudici, sembra aver piĂš voglia di essere obiettivo e di perseguire la vera giustizia non preconcetta, non avrebbe guastato. Anzi!
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
STEVEN SPIELBERG'S 1950S ESPIONAGE DRAMA GIVES TOM HANKS ANOTHER MEATY ROLE TO ADD TO HIS RESUME, THOUGH IT'S MARK RYLANCE WHO STEALS THE SHOW AS THE SOVIET SPY SENT BACK OUT INTO THE COLD.
Itâs no small feat turning a shyster and an enemy spy into national heroes, but thatâs the unique achievement of Steven Spielbergâs âBridge of Spies.â If Jimmy Stewart were alive today, the director surely would have asked him to play James Donovan, a noble New York insurance lawyer roped into providing an alleged Soviet agent with pro-bono legal representation, who later goes on to broker his exchange for two Americans held captive by Commies. Failing that, heâd done one better and cast honorary Boy Scout and all-around good guy Tom Hanks in the role, transforming a potential indictment of patriotic hypocrisy and Cold War subterfuge into a riveting, feel-good time for the whole family
(two instances of the âF-wordâ notwithstanding), putting it on track to top âWar Horse.â
Spielberg may as well have gone full-âRâ with this deliciously shady spy-swap plot, as the richly recreated period drama â which benefits from a crackling Coen brothers script polish â boasts more courtroom time than it does actual cloak-and-dagger intrigue (in one scene, Hanksâ runny-nose hero literally has his cloak stolen off his back by East German street thugs). While the helmerâs myth-making approach makes for great Capra-esque entertainment, younger auds may find it terribly old-fashioned â and theyâd be right to think so, although Spielberg would be the first to admit it was his intention to play things classical, resolutely shooting on celluloid, while blending aspects of a tony legal thriller with a hat-tip tribute to the rich, expressionistic look of 1940s film noir.
In Donovan, Hanks finds one of the chewiest late-career roles the actor could
possibly hope for, playing the New York attorney with fists balled and belly slightly paunched, simultaneously non-threatening and ready for a fight. Called into the office of his good-old-boy boss (Alan Alda), he has no choice to take a case that he recognizes will surely make him unpopular, defending Rudolf Abel (Mark Rylance, a remarkable theater actor with a relatively short screen c.v.), whom the FBI have arrested and charged as a Russian spy.
Set in 1957, âBridge of Spiesâ evokes the era as one of mounting thermonuclear hysteria and alarming group-think, in which a lawyer who advocates for a Soviet agent can be seen as a traitor to his own country (potentially worse than Abel, who wasnât American to begin with). âEveryone will hate me, but at least Iâll lose,â he jokes, though even his family â meatloaf-making wife Amy Ryan, plus three flag-pledging kiddos who practice Bert the Turtleâs
âDuck and Coverâ drills in class â question his loyalties.
Because this is Hanks weâre dealing with, audiences know what to expect, though the revelation here is Rylance (an actor Spielberg also cast as his forthcoming BFG), who appears utterly transformed â to the few who recognize his typically charismatic screen presence â into a balding, Eeyore-like gray moth of a man. Though there can be no doubt Abel is a spy, the film prefers to depict him as a relatively innocuous painter, earning from us a sympathy that no American citizen would have felt at the time. This is an essential strategy in all that follows, considering that âBridge of Spiesâ depends on our believing that Donovan and Abel are the most noble men in the film, each committed to their respective ideals: in Donovanâs case, âwhat makes us Americansâ (the Constitution), and in Abelâs, doing whatever heâs told to
undermine it.
If the basic narrative of âBridge of Spiesâ were to take place today and a foreign agent were arrested in New York City, the poor sap â whoâd surely be labeled a âterrorist,â rather than a âspyâ â would be shipped off to some torture-friendly detainment facility never to be heard from again, not assigned a lawyer of Donovanâs caliber. But Spielberg has no room for such cynicism, recasting the Coensâ neo-nihilist distrust of the system as comedy (the siblings reworked âSuite Francaiseâ co-writer Matt Charmanâs script, and while he was the one to unearth this terrific true story, the Coensâ fingerprints are all over its telling). Here, profoundly disturbing revelations about how America operates are played for a chuckle, as when the judge for the case (Dakin Matthews) denies Donovanâs request for due process, adding that he hopes his client is found guilty as swiftly as possible.
Simultaneous with
all of Donovanâs legal dealings, another spy story unfolds, as the CIA recruits an elite group of pilots to âdriveâ high-altitude camera-equipped U-2 planes over Soviet airspace. As âBridge of Spiesâ repeatedly â and rather eloquently â reminds, the Cold War was one of information, not necessarily weaponry, and in these exciting, if somewhat clunkily integrated scenes, we see how America fought for an edge in this intelligence battle. We also meet lantern-jawed Francis Gary Powers (Austin Stowell), who will be shot down in the filmâs most dynamic sequence â a rare taste of action amid so many slick wheeler-dealer proceedings.
As it turns out, insurance-savvy Donovan was right to plead that the judge spare Abelâs life, as the Soviet spy now gives America a bargaining chip to trade for Powersâ return â a responsibility that falls to Donovan after Hoffman, the CIA stooge (Scott Shepherd) whoâd strong-armed him earlier, returns
to beg his assistance. Given the political sensitivities between the two atomic-trigger-happy nations, the Agency insists that Donovan make the deal as a private citizen with no ties to the U.S. government, which suits the film just fine, as it gives Hanks every opportunity to go rogue.
The CIA is only interested in Powers, but Donovan â who tells his family that heâs going salmon fishing in England â has decided that he wonât settle for less than two freed Americans: He plans to bargain for the release of a second prisoner as well, Frederic Pryor (Will Rogers), an American economics student who managed to get himself caught on the wrong side of the newly erected Berlin Wall. Pryor complicates things not only for the deal, but for the script as well, though a sappy reenactment of his arrest does provide Spielberg with the chance to show the construction of the
landmark that later came to signify the Iron Curtain.
A scene in which Donovan watches East German escapees gunned down while trying to scale the wall, later echoed by fence-climbing children back home in New York, is a touch too far, the sentimental girl-in-red indulgence the director allows himself here. Otherwise, he plays much of what unfolds in the filmâs overseas second-act for absurdist comedy: With the exception of Sebastian Kochâs enigmatic East German lawyer, the Krauts are all played by odd-looking character actors with silly accents â although to be fair, the crew-cut G-Men arenât especially nuanced either.
The movie slyly manages to have it both ways, criticizing the sort of blind American boosterism of the era while indulging in cheap xenophobic barbs, as when Donovan criticizes newly christened countries the German Democratic Republic and the Union of Soviet Socialist Republics for choosing names that are far too long, evidently forgetting
the mouthful from which he hails. Spielberg knows where to draw the line, however, maintaining a measure of hindsight-enhanced criticism amid his Hollywood fantasy (the CIAâs willingness to sacrifice Pryor seems especially damning in an otherwise generally Pollyanna-like portrayal).
But itâs hard to object when the artifice is pitched at such a high level, an illusion spun amid top-level contributions from a core team of first-time collaborators that includes sets by Adam Stockhausen (the production designer responsible for building âThe Grand Budapest Hotelâ), Hanksâ wardrobe of Atticus Finch-worthy suits from âCapoteâ costumer Kasia Walicka-Maimone and a duly patriotic score from Thomas Newman. Still, where would he be without longtime d.p. Janusz Kaminski, who does wonders here with shadows, while building up Hanksâ heroism from unexpected angles.
One shot in particular, in which a paranoid Donovan crouches behind a parked car in the rain, feels every bit as iconic as âThe Third Manâsâ
reveal of the thought-late Harry Lime standing in a Vienna doorway. And the high-angle climax could be something out of a nouveau Western, as Hanks saunters out onto the snow-covered Glienicke Bridge â the hand-off spot that lends the film its name â and brokers the deal in person. If this finale seems to lack something in suspense, it compensates in poignance. Over the course of the previous two-plus-hours, both Donovan and audiences have grown close to the uncrackable Soviet agent being returned to his bosses. We care more about his fate than we do either of the Americans coming home, which just goes to show that Hanks has done his job.
Perle di sceneggiatura
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano 20th Century Fox e Cristina Partenza (Ufficio Stampa 20th Century Fox)