"Si tratta di una buona sceneggiatura, scritta in modo intelligente; merce rara al giorno d’oggi. Quando si afferma che il film parla di parole ed immagini, non si tratta di frasi fatte; le parole sono usate in modo magistrale, e c’è veramente una storia da raccontare. La sceneggiatura racconta un amore genuino, veri dilemmi e problematiche difficili da risolvere; è quindi ricca di temi. Si tratta di un ottimo soggetto e di una sceneggiatura ben strutturata. Il rischio che si corre con un soggetto del genere è quello di realizzare un film semplicistico riguardo all’arte, quando in realtà il film non parla solo di questo, ma esplora anche la vita di due persone che stanno affrontando un momento difficile della loro esistenza: lei ha dei problemi fisici che le impediscono di fare le cose che prima facevano parte della sua quotidianità , mentre lui si è reso conto di non essere lo scrittore talentuoso che pensava, e ha difficoltà nell’accettare questa realtà . Il loro incontro li fa tornare a vivere... Si tratta di una storia d’amore inconsueta. In un film come 'Words and Pictures', è importante che ci sia chimica tra i due protagonisti, ed in questo caso c’è eccome. C’è un’intesa incredibile tra i due personaggi, che si percepisce in ogni scena. Traspaiono chiaramente le emozioni che l’uno suscita nell’altra. È evidente che siano fatti l’uno per l’altra e che avranno sempre un rapporto
elettrizzante. Lo stesso vale per Clive e Juliette... Sono un romantico, ma bisogna fare attenzione. Voglio che le emozioni siano autentiche, e non artificiali. Le devi sentire davvero, come succede nella vita reale".
Il regista Fred Schepisi
(Words and Pictures; USA 2014; Dramedy romantico; 116'; Produz.: Latitude Productions/Lascaux Films; Distribuz.: Adler Entertainment)
An art instructor and an English teacher form a rivalry that ends up with a competition at their school in which students decide whether words or pictures are more important.
A flamboyant English teacher (Clive Owen) and a new, stoic art teacher (Juliette Binoche) collide at an upscale prep school. A high-spirited courtship begins and she finds herself enjoying the battle. Another battle they begin has the students trying to prove which is more powerful, the word or the picture. But the true war is against their own demons, as two troubled souls struggle for connection.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
NELLA GUERRA TRA PAROLE E IMMAGINI DI CLIVE OWEN E JULIETTE BINOCHE VINCE LA COMPLICE COMPLEMENTARIETA' DELL'ARTE E... DELL'AMORE
Lo sceneggiatore Gerald DiPego (Le parole che non ti ho detto, The Forgotten) agli inizi della produzione, ricorda di aver detto: “Se questo film verrà realizzato, voglio essere orgoglioso del risultatoâ€. Beh, può davvero esserlo! Words and Pictures è una perla rara che travalica la commedia romantica per parlare, attraverso l'Arte - delle parole così come delle immagini - della vita e della possibile, complementare sincronia, della diversità . A tutti i livelli ed effetti. E non si dice solo dei due stupendi protagonisti: l'eccellente Clive Owen, tradotto nel professore di letteratura Jack Marcus, strascicato e un pò alla deriva personale ed intellettuale da quando ha scelto la vodka come sua elettiva compagna quotidiana (affetto dalla canonica ipocrisia dell'alcolista, la versa persino nel thermos che si porta a scuola); la riservata e
scorbutica Juliette Binoche, versata anima e corpo - ed ispirazione artistica - nella professoressa e pittrice Dina Del Santo, alle prese con un'artrite reumatoide degenerativa talmente grave da costringerla al supporto di tutori (e all'occorrenza della sorella) e a farmaci sperimentali. Non si dice solo di loro che, d'altra parte sono il perno su cui ruota questa storia eccentrica in cui Cupido sceglie il cavallo di battaglia dell'Arte a tutto campo per far rinascere le persone. Si dice anche delle diversità tra studenti - vedi la persecuzione dell'asiatica Emily (Valerie Tian) da parte del bullo di classe Swint (Adam DiMarco) - e si dice anche della diversità tra lo stesso corpo docente, magari proprio nei rapporti interpersonali con Jack/Owen, cui riserva o amichevole complicità o trattamento severamente lapidario da portarlo al licenziamento.
Un prof. un pò sopra, quando non del tutto fuori, le righe, il Jack Marcus di Clive Owen,
e non solo del programma scolastico di cui non si prende affatto cura. Un tipo di insegnante che sembra parente stretto del John Keating incarnato dal compianto Robin Williams ne L'attimo fuggente di Peter Weir. E forse non è un caso che tra la vera e propria pioggia di citazioni letterarie nobili a tutto campo, messe sul piatto di portata nel Words and Pictures del regista australiano Fred Schepisi (Roxanne, Un grido nella notte, La casa Russia, Vizio di famiglia, Le cascate del cuore), da una brillante e sofisticata sceneggiatura che ha fatto casting tra il gotha di poeti e scrittori di svariate epoche, con l'immancabile Shakespeare tra molti altri, compaia l'altrettanto immancabile poeta e scrittore statunitense Walt Whitman con quel suo verso immortale "O capitano! Mio capitano!". I due personaggi, il Keating di Williams allora e il Marcus di Owen oggi, percorrono solo un piccolo tratto di strada
uno a fianco all'altro, ma parlano indubbiamente sempre la stessa lingua e credono entrambi in un metodo di trasmissione e di comunicazione alternativo, per il quale entrambi rischiano e perdono il posto di lavoro.
E' certo che non è facile riporre fiducia in un personaggio come quello del Jack Marcus, indossato come una seconda pelle da un Clive Owen in luminescente stato di grazia, all'ombra di indubbi problemi di interrelazione (in particolare col figlio, cui peraltro assesta un tiro mancino davvero basso), al di là dell'esuberante umorismo e della geniale guerra promossa, tra parole (di cui si fa paladino) ed immagini (di cui elegge paladina la riluttante Dina/Binoche). Diffidato persino da un locale esclusivo per problemi causati in stato di ubriachezza, la sua illuminata capacità di scrivere, o almeno quella che credeva di avere, si è offuscata e lui non si fa scrupolo di arrampicarsi sugli specchi della spudorata menzogna
pur di restare a galla in qualche modo. Almeno fin quando la classica goccia che fa traboccare il vaso non gli farà fare marcia indietro su tutta la linea, recuperando finalmente la propria umiliata e rinnegata dignità .
E che dire della Dina Delsanto indossata da Juliette Binoche? Il suo primo ingresso in scena incespica tanto quanto il suo personaggio, sulla cornice del tipo di insegnante e di donna un pò stereotipata sulle irascibili note che producono lo stesso calore di uno scorbutico ghiacciolo, ma ben presto, sa mostrarsi - più al pubblico che non al Marcus di Owen che la stuzzica in ogni modo - per quel che è: una donna sofferente ma dall'indole brillante e spiritosa a sua volta, in temporaneo empasse su un'espressione artistica di levatura notevole, e soprattutto una donna di grande sensibilità e capacità di ascolto, in grado di riconoscere il vero talento e di stimolarne il
potenziale nascosto (vedi il suo rapporto con la studentessa asiatica Emily). La Binoche, cui non fanno difetto interpretazioni ben più azzardate e temerarie in ruoli a dir poco scomodi e urticanti, non si fa certo mancare tocchi di sofisticata raffinatezza e sembra d'altra parte prendere qui al volo l'occasione unica di far combaciare realtà e finzione, in quel genere di aderenza di tempi e luoghi che la vedono un tutt'uno con il personaggio, questa volta non solo per talento professionale ma in senso oggettivo. La Binoche (a sua volta pittrice oltre che attrice) presta alla sua Delsanto la reale capacità di dipingere e lo fa in prima persona mettendo se stessa all'opera in un qualcosa che sembra avvicinarsi a quell'action painting ('pittura d'azione' altrimenti detta 'astrazione gestuale' o 'espressionismo astratto') che già Viggo Mortensen (pure a sua volta pittore e attore, tra le altre cose) aveva altrimenti espresso nelle vesti
di David Shaw (facendo capitolare letteralmente ai suoi piedi e nel suo letto la povera Gwyneth Paltrow, con gran disappunto del consorte Michael Douglas) nel Delitto perfetto di Andrew Davis. Come lui, la si vede all'opera, animata da una pallida convinzione prima che l'Arte della poesia e dunque delle parole - al di là del tranello dell'autore - in combutta con Cupido, non facciano rinascere a nuova vita anche la sua Arte prodotta per immagini.
Due personaggi, il Jack Marcus di Clive Owen e la Dina Delsanto di Juliette Binoche, quasi inconsciamente in cerca d'amore, più consapevolmente in cerca di nuovi input per ingranare quella marcia in più che risolleva l'identità personale in vario modo aggiaccata. E quel che più vi sorprenderà - se solo siete dotati di un minimo di sensibilità artistico-romantica - tenendovi incollati allo schermo con quel pizzico di fascinazione che incanta, tra una schermaglia e l'altra
di questa guerra tra parole e immagini, è la grande bellezza che scorre come un torrentello limpido e frizzante, in grado di rigenerare letteralmente l'animo umano. Anche di chi si è dimenticato - o fa finta - dell'importanza dell'Arte per la vita e persino per la sopravvivenza dell'uomo. L'arte è la sua indispensabile medicina e di questo dovrebbero prenderne atto tutti coloro - medici compresi - che pensano di poterne fare a meno e che un mix di chimica sia l'unico mezzo per risolvere 'il male di vivere' che affligge in particolare l'uomo contemporaneo. Se poi l'Arte scopre e alimenta l'Amore e viceversa, allora non c'è medicina più potente. E - sempre se solo siete dotati di un minimo di sensibilità artistico-romantica - vi commuoverete fino alle lacrime sulla cresta dell'onda di quella fiumana di parole e di immagini che porteranno alla definitiva risoluzione di quella 'guerra' (che sapevamo evidentemente
fittizia fin dalle prime mosse). E il fermo immagine che sgrana in progress alla fine, assumendo esso stesso la connotazione di un dipinto, non è che il tocco di stile, la pennellata della macchina da presa di una regia profondamente accorata, che non solo non ha dimenticato l'Arte ma che non può evitarsi di ricordarci quanto sia fondamentale per la vita dell'uomo, in caso volessimo ostinarci a farne a meno, magari in nome di surrogati che ne sentenziano la morte.
Altre voci dal set:
Lo sceneggiatore GERALD DI PEGO:
"Si tratta di un film con dialoghi
profondi e Jack Marcus ha dei lunghi discorsi riguardo al potere delle parole. Crea
collage di discorsi e usa delle tecniche intriganti per veicolare il messaggio, con grande passione. Clive aveva pagine e pagine di densi dialoghi senza una pausa e ha centrato il tutto senza saltare una parola. Nella sua prima scena in classe, Clive aveva 4 pagine di dialoghi; credo li abbia ripetuti da cima a fondo 27 volte, per avere le
differenti angolazioni".