BLACKHAT: MICHAEL MANN (HEAT-LA SFIDA, COLLATERAL) PORTA SUL GRANDE SCHERMO IL VOLTO DELLA GUERRA DEL XXI SECOLO. E' LA STORIA DI UN HACKER PREGIUDICATO, ALTRIMENTI DETTO 'BLACKHAT' (CHRIS HEMSWORTH), CHE CERCA DI FAR VOLARE VELOCEMENTE IL SUO PASSATO E RIPRENDERE IL CONTROLLO DEL SUO FUTURO IN UN NUOVO MONDO FATTO DI CYBER INTERCONNESSIONI
RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by PETER DEBRUGE (www.variety.com) - Dal 12 MARZO
PRELIMINARIA - LA NUOVA GUERRA DEL XXI SECOLO, la piĂą pericolosa e spesso sfuggente al controllo:
Diversi anni fa, una scoperta fatta da una manciata di analisti della sicurezza informatica ha messo in gioco tutti i preconcetti, facendo emergere un codice, di una portata mai vista prima. Quando gli analisti sono risaliti alle origini, quello che hanno imparato è che è in grado di cambiare il nostro mondo: avevano individuato un codice non solo accuratamente costruito e complesso, ma che ha il potere di un’arma. In effetti, aveva già furtivamente abbattuto un impianto di arricchimento dell'uranio in Iran.
Il malware, che è stato soprannominato "Stuxnet", è stato appositamente creato e diffuso dal governo statunitense, allo scopo di sabotare la centrifuga della centrale nucleare iraniana tramite l'esecuzione di specifici comandi da inviarsi all' hardware di controllo industriale responsabile della velocità di rotazione delle turbine, al fine di danneggiarle. Aveva completamente eluso qualsiasi rilevamento da parte dell'uomo all'interno o all'esterno del complesso, e col tempo si pensava, ed alcuni temevano che il codice fosse impazzito da solo. Voci inverosimili avevano iniziato a diffondersi, attribuendo ai programmatori la responsabilità del disastro nucleare di Fukushima. Qualunque sia la verità , stava accadendo qualcosa di nuovo e radicale, e il codice binario progettato per il caos stava ormai infiltrandosi nelle infrastrutture profondamente interconnesse della nostra vita moderna.
Cast: Chris Hemsworth (Nicholas Hathaway) Leehom Wang (Chen Dawai) Wei Tang (Lien Chen) Viola Davis (Carol Barrett) Holt McCallany (Mark Jessup) Andy On (Alex Trang) Ritchie Coster (Elias Kassar) Christian Borle (Jeff Robichaud) John Ortiz (Henry Pollack) Yorick van Wageningen (Sadak) Tyson Chak (Tech) Brandon Molale (Guardia) William Mapother (Rich Donahue) Jason Butler Harner (Frank) Sara Finley (Agente dell'FBI) Cast completo
Spencer Garrett (Gary Baker) Manny Montana (Lozano) Tracee Chimo (Segretaria) Archie Kao (Shum) Lyn Quinn (Passeggero nell'aeroplano) Michael Flores (Prigioniero) Daniel Juhn (Studente d'arte coreano) Joe Rudy Guerrero Jr. (Gangster) Fabiola Sicily (Jasmine) Abhi Sinha (Detective C. Daniels) Seth Adams (Tecnico di computer) Peter Jae (Criminale coreano) Michael Bentt (Tassista) Sophia Santi (Mrs. Novo) Kirt Kishita (Paul Shin)
Musica: Harry Gregson-Williams ed Atticus Ross
Costumi: Colleen Atwood
Scenografia: Guy Hendrix Dyas
Fotografia: Stuart Dryburgh
Montaggio: Leo Trombetta e Joe Walker
Effetti Speciali: Joe Farrell, Viktor Muller e John Nelson (supervisori effetti visivi)
Makeup: Jane Galli (capo dipartimento makeup); Kathrine Gordon (capo dipartimento acconciature)
Casting: Bonnie Timmermann
Scheda film aggiornata al:
25 Marzo 2015
Sinossi:
IN BREVE:
La violazione di un importante codice informatico innesca una catena di eventi che colpisce i mercati azionari di tutto il mondo. A colui che aveva scritto il codice, detenuto in carcere per crimini informatici, viene concessa la libertà a condizione che faccia parte di una task force dell'Fbi e del governo cinese per risalire all'autore della violazione e alla rete di cyber-terrorismo d'alto livello che vi sta dietro. Inizia così una caccia al topo che da Chicago arriva a Giacarta, passando per Los Angeles, Kuala Lampur e Hong Kong.
Ad Hong Kong, la Centrale Nucleare di Chai Wan è stata violata. Un piccolo malware (virus informatico), si è insinuato nell’ accesso remoto (RAT), aprendo una backdoor ad una più grande payload di malware che manomette e distrugge il sistema di raffreddamento della Centrale, causando una violazione che ha fatto saltare in aria un reattore a Chai Wan, provocando un disastro di proporzioni gigantesche. Non sono stati effettuati tentativi di estorsione o rivendicazioni di natura politica al riguardo. Il movente è un mistero. Un gruppo di alti ufficiali dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) ha reclutato un team per la difesa dalle incursioni cibernetiche, capitanato da Chen Dalai, per dare la caccia all'autore dell'attacco. Contemporaneamente a Chicago un altro attacco informatico colpisce il Mercantile Trade Exchange (MTE) in grado di mandare alle stelle le quotazioni della soia entro le 24 ore.
Hathaway, Lien e Chen fanno squadra con la Barrett e Mark Jessup (Holt McCallany), un maresciallo statunitense responsabile del ritorno di Hathaway in carcere, per identificare e fermare un’invisibile, repentina e pericolosa organizzazione criminale informatica, che opera da una postazione sconosciuta. Sono come fantasmi, che minacciano con malware i server, pur rimanendo invisibili.
Il gruppo rileva un filo conduttore di indizi digitali che portano da Chicago a Los Angeles, per poi arrivare a Hong Kong, in Malesia fino a Giacarta, per la caccia al nemico, che avendo scoperto i suoi inseguitori, è lui stesso ora a perseguitarli. Il gruppo di Hathaway muovendosi in tutta l'Asia, intuisce che le motivazioni ed i piani che si celano dietro gli attacchi sono molto più ampi, oscuri ed imprevedibili di quel che immaginavano.
I conflitti iniziali del gruppo si trasformano in una comune interazione ad azione rapida, mentre il pericolo all’orizzonte va delineandosi sempre più minaccioso.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
E IL CYBER THRILLER ABBRACCIO' L'ACTION MOVIE...!
Che necessità aveva un regista del calibro di Michael Mann (Heat-La sfida, Collateral, Insider-Dietro la verità ) di portare un cyber thriller come questo Blackhat, avviato alla grande, come è del resto nelle sue corde, sulle sponde più commerciali e hollywoodiane dell'action movie? Genere da cui siamo letteralmente inondati da anni e anni e che personalmente mi ha fatto venire il latte alle ginocchia, ma forse è solo un problema mio! La ragione mi è francamente ignota. Fatto sta che anche il Michael Mann dal blasonatissimo curriculum che lo ha visto raccontare le storie più coinvolgenti con personaggi forti, unici, in cammino sul limitare di mondi in fase di un inesorabile e travolgente mutamento (Strade Violente Heat – La Sfida, Insider – Dietro la Verità , Collateral, Nemico Pubblico), è scivolato rovinosamente sulla gradinata più scivolosa che gli potesse mai capitare.
Vi potrĂ sembrare un'affermazione forte, persino
bruciaticcio. E come quando le prime nubi all'orizzonte minacciano temporale il percorso può preannunciarsi accidentato, così anche Blackhat a questo punto sbanda, imbocca un fuori strada, fino a che svoltato l'angolo non si impantana senza rimedio nel primo acquitrino.
Eppure trattasi di film ambizioso e sofisticato fin dal titolo! Non tutti sapranno che 'Blackhat' - alla lettera cappello nero - corrisponde al modo con cui viene chiamato in ambito informatico un hacker per così dire immorale: vale a dire un hacker malintenzionato o con intenti criminali. Chi è nel campo della sicurezza informatica conosce bene questo termine, ma non sempre riesce ad individuare le persone che stanno dietro ad un identikit che, spinto da fini illeciti, esige grandi capacità nella programmazione informatica ai più alti livelli. Livelli in grado di raggiungere chiunque e dovunque, magari in modalità silenziosa, come in ambito dello spionaggio governativo. E nel mondo della digitalizzazione globale cui
si è approdati da tempo ormai - fin dagli anni Ottanta (1983) con il War Games-Giochi di guerra di John Badham, sia pure accidentalmente e per gioco, si cominciava ad averne una prima idea - non è difficile immaginare i danni che possono derivare oggi da intrusioni illecite informatiche a tal livello. E l'attuale film di Mann si incentra per l'appunto sulla storia di un hacker modello 'blackhat', in un nuovo mondo fatto di cyber interconnessioni approdate sul pianeta della criminalità informatica globale.
In linea di principio, come nel The Jackal (1993) di Michael Caton-Jones - in netto vantaggio sul Blackhat di Mann per carisma del binomio di antagonisti Richard Gere-Bruce Willis e soprattutto per coerenza di stile nel segno del thriller poliziesco d'azione in questo caso del tutto fuori dai ranghi informatici - anche in Blackhat c'è bisogno di pescare negli anfratti di qualche cella carceraria per cavare le
Cast dignitoso quanto improbabilmente collocato troppo spesso nei posti sbagliati al momento sbagliato. E che dire delle non poche cadute di stile, di quelle che non di rado sfilano sul tappeto rosso della Hollywood più commerciale? La seconda parte del film, scivolata nell'action movie più trito, ne è piena zeppa:
la solita storia d'amore iniziata troppo presto e nell'unico banale modo che Hollywood conosce tra Nicholas/Hemsworth e Lien/Wei. Tutti i colletti bianchi dello staff dirigenziale che improvvisamente diventano (tutti quanti, nessuno escluso), dei rambo in pista, facendosi largo tra nuvole di pistolettate a raffica. E non solo - udite, udite! - nessuno di loro ha in dosso un qualche sia pure scalcinato giubbotto antiproiettile. Neanche il primo degli sprovveduti! PiĂą tardi se ne inventa uno rudimentale Nicholas/Hemsworth, l'unico, a quanto pare, che sa come cavarsela, quando le acque si fanno davvero torbide. Per non dire poi del guardaroba in continuo ricambio dei nostri due protagonisti, neanche si fosse sulla passerella di qualche sessione di moda! Viaggi repentini decisi sul momento con partenza immediata nel vortice di un'azione frenetica, eppure, non mancheranno mai i soldi per il volo, per acquisti di fortuna in qualche farmacia etc. etc. Beh, va bene che
gli ingegneri informatici guadagnano indubbiamente bene, ma il tempo per fare la 'valigia vacanze' (non hanno mai un trolley con loro) dove lo hanno trovato? E ancora: davvero basta con questa caccia al gatto e topo nel bel mezzo di processioni festaiole in cui c'è sempre una sfilata in costume e folla sufficiente ideale per imboscarsi e far perdere le tracce dell'ennesimo 'fuggitivo' di turno tallonato dall'irremovibile bulldozer, variante più, variante meno. Non se ne può più! E Mann rispolvera persino la necessità di passare per un limitatissimo tempo di 8 minuti attraverso gli ambiti di un reattore nucleare già esploso e dunque dispenser diffusore di letale tasso di radioattività , richiamando in memoria la celebre sequenza del K-19: The Widowmaker della Bigelow.
Insomma, come avrete capito, da un certo punto in poi, Blackhat, sembra essersi appostato in qualche angolo remoto a spiare cosa avrebbe potuto fare James Bond in simili
come nel migliore dei fumetti, di cui del resto si dimostra ben piĂą esperto piuttosto che in materia d'informatica!
Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)
MICHAEL MANN STRAINS TO KEEP UP WITH THE TIMES WITH THIS AU COURANT BUT VISUALLY MUDDLED, DRAMATICALLY CLUMSY CYBERTHRILLER.
In classic Westerns, the heroes wore white hats, while the villains wore black, making it easy to tell them apart. The world’s gone blurry in Michael Mann’s “Blackhat,” a surprisingly inelegant yet breathlessly up-to-the-minute thriller — as well as a newfangled “Eastern,” strategically set mostly in China, Indonesia and Malaysia — in which the FBI recruits an incarcerated hacker to help thwart an international cyber-terrorist. The weak link in a busy January weekend, Universal’s export-ready offering may not look like much, though powered by criminal stunts that make last month’s Sony breach seem amateur, plus action scenes punchy enough to justify the price of admission, it could hardly be called hackwork.
At his best, Mann’s work explores the thin line that separates good from bad, acknowledging the moral complexities of
the modern world. Thematically speaking, the seemingly ripped-from-the-headlines “Blackhat” falls perfectly in line with the ambiguities of “Collateral,” “Heat” and “Miami Vice,” as the film enlists a dangerous mind to work alongside privacy-violating law-enforcement officials. But it lacks both the chemistry and kinetic energy of those earlier films, and what’s more, it looks just plain awful at times, owing to Mann’s proclivity for down-and-dirty digital lensing.
In the 20 years between “Thief” and “Ali,” the visually oriented helmer set a look that other directors have emulated, but these days, we can feel him struggling to keep up with the times. Aesthetics still matter, which is obvious from the opening sequence: a purely cinematic attempt to dramatize a cyber-attack, starting from the macro and then plunging down to the most microscopic level. The Universal logo yields to a view of the Earth from space, featuring the globe aglow with crisscrossing lines of
communication; then we zoom in, first to China, then to the Chai Wan Nuclear Power Plant, until the camera passes through a computer terminal to the network of wires, motherboards and pulsing white packets of sinister code.
This no-system-is-safe mood-setter suggests the modern thriller version of Charles and Ray Eames’ conceptual “Powers of Ten” short, culminating in a dramatic plant-core meltdown. But the story goes instantly clumsy from there, jumping between characters and across continents without giving audiences their bearings.
Imprisoned American protagonist Nicholas Hathaway (Australian actor Chris Hemsworth) gets a moderately interesting introduction: We see the “Thor” star knocked around his cell and reprimanded for using a cell phone to break into the facility’s meal-credit system. By contrast, everyone else’s first scenes feel clumsy and forgettable, which is too bad considering the impressive multiethnic range of co-stars — from Chinese agent Chen Dawai (Chinese music star Wang Leehom) to FBI hard-ass
Carol Barrett (Viola Davis) — cast in these supporting parts.
What you want from a movie like “Blackhat,” in which the authorities must rely on someone who could potentially be far more dangerous than the perp at large, is a “Silence of the Lambs”-style battle-of-wits dynamic. But there’s never a second in which we believe that Hemsworth is anything but a Boy Scout, the world’s hunkiest hacker and an all-around honorable human being — so much so that the otherwise gritty film pretends that there’s nothing odd about giving him a love interest, Chen Lien (“Lust, Caution’s” Tang Wei), who also happens to be the commanding agent’s sister.
As if to justify Hathaway’s good-guy status, it turns out the reason he’s behind bars has nothing to do with his past computer-related hijinks, but rather some misguided show of chivalry. While that choice serves to make the character more likable, it saps whatever
suspense might result from his involvement. A more satisfying screenplay would have given Hathaway some sort of hidden second agenda: plotting his escape, proving his innocence, avenging his captivity.
Apart from a trailer-ready scene in which he pretends not to care that another hacker is using his code to stage nuclear meltdowns and rig commodities markets, Hathaway appears to possess an even greater sense of justice than the agents he’s working for. In other words, he’s not only the whitest actor in a refreshingly diverse cast, but the whitest hat as well. Nothing a dragon tattoo or two wouldn’t fix.
While the character’s motives aren’t nearly as hazy as the premise promised, Mann makes up for that through his choice of technology. Since as far back as “Ali,” the helmer has been smitten with the look of hi-def video cameras, experimenting with the various effects the format makes possible. To eyes that
grew up on the rich texture of celluloid — or are accustomed to the relative sharpness of other digital formats — there’s a certain cheapness to the result.
Despite Mann’s meticulous color-coding of scenes, this isn’t the look we’ve come to expect from studio action pictures, but rather from backyard horror movies. He still goes big in the staging, marshaling sequences that feature helicopters, speedboats and exploding cars, but the spectacle itself is captured in slippery, sometimes low-resolution footage, especially apparent during “Blackhat’s” four well-choreographed but otherwise YouTube-quality standoffs.
Maybe that was Mann’s intention. The film is a snarl of contradictions, starting with the discrepancy between Mann’s obsessive demand for realism and the consistently implausible screenplay he developed with first-timer Morgan Davis Foehl (whose prior film credits amount to editing work on Adam Sandler movies). For example, Mann insisted that both Hemsworth and the lead villain (Yorick van Wageningen) learn how to
code, though he hardly ever depicts their characters at computer stations. (Those seeking an edgier treatment of the subject ought to track down the hit German cyberthriller “Who Am I,” which is due for an American remake.)
For a film about hacking, it’s downright absurd how seldom computers appear onscreen. Instead, Hathaway’s preferred strategy in nearly every situation is to handle business “IRL” — offline and in-person — while a typically Mannian electronic score sets audiences’ pulses racing. Though it’s the entire pretext for the film, there is virtually no evidence to suggest that the FBI actually needed Hathaway’s assistance as a hacker, but at least he seems a lot more comfortable using weapons than any of the agents he’s working for, which comes in handy near the end.
In time, Hathaway manages to uncover his virtual opponent’s dastardly endgame — a puzzle he and Lien would more logically have figured out
hunched over a terminal several continents away. Instead, standing at the would-be ground zero, he turns to his sometimes-hysterical Asian counterpart and speaks of the countless “village people and village dogs” whose lives are in danger. (Oh dear, not the village dogs!) Considering these two outsiders can poke around the site uninterrupted, it’s unclear why a terrorist wouldn’t just back a fertilizer truck up to his target — or, if a hacker can make $74 million by manipulating the market just one time, why he’d go through all the trouble of endangering hundreds of lives to achieve the same effect.
Still, of all the opportunities missed, the most obvious is the notion that we are all vulnerable to this brand of cybercrime today. That’s the tension such a film seems primed to exploit, but the terrorist strikes depicted feel like variations on schemes hatched by yesterday’s Bond villains. It’s a disappointment
to finally see Hathaway’s adversary unmasked, and though Mann sets up a climactic “IRL” showdown between the two amid a huge parade in Jakarta’s Papua Square, the film might have been more unsettling had its villain turned out to be a capricious kid — or scarier yet, had he remained a ghost in the machine, a force with no face, nor any hat to speak of.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Universal Pictures International Italy e Xister pressplay.