THE GIVER-IL MONDO DI JONAS: QUANDO LA GENTE HA LA LIBERTA' DI SCEGLIERE FA SCELTE SBAGLIATE! NEL NUOVO SCI-FI DI PHILLIP NOYCE, JEFF BRIDGES, MERYL STREEP, ALEXANDER SKARSGÃ…RD, KATIE HOLMES E IL GIOVANISSIMO BRENTON THWAITES NEI PANNI DEL PROTAGONISTA JONAS
RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by SCOTT FOUNDAS (www.variety.com) - Dall'11 SETTEMBRE
(The Giver; USA 2014; Sci-Fi Fantasy drammatico; 97'; Produz.: As Is Productions/Tonik Productions/Walden Media/The Weinstein Company; Distribuz.: Notorious Pictures)
The Giver (letteralmente Il donatore) è un romanzo di Lois Lowry, scritto nel 1993, ed è il primo capitolo della trilogia formata, oltre che da The Giver, da Gathering Blue (2000) e da Messenger (2004). È considerato uno dei baluardi della letteratura distopica, tra i quali 1984 di George Orwell guida la classifica.
La prima edizione italiana è del 1995, per la Arnoldo Mondadori Editore, Collana SuperJunior, con il titolo Il mondo di Jonas. Nel 2010 è uscito con il titolo The Giver, edito da Giunti Editore, nel contenitore editoriale Y.
Ambientato in una società del futuro prossimo, dove sono state annullate le differenze individuali, la percezione del dolore, la passione e i sentimenti più profondi, il libro racconta un anno di vita di Jonas, dodicenne ambizioso. Nella Comunità non ci sono scelte, colori, piaceri, amore, emozioni, e persino il tempo atmosferico è sempre lo stesso. Non puoi sceglierti il lavoro, il consorte, la famiglia. Nella "Cerimonia dei Dodici", ai 12enni viene assegnato il lavoro che avrebbero dovuto svolgere per il resto della loro vita. Jonas, in questa cerimonia, viene insignito del compito di ricevere le Memorie dell’Umanità . Egli raccoglie i ricordi dal "Giver" provando sulla propria pelle tutte quelle sensazioni che nessun altro membro della comunità conoscerà mai: scopre i colori, il significato dell'amore, del dolore, della frustrazione, e scopre il terribile segreto della Società in cui vive. Si rende conto quindi che la strada verso la conoscenza è un cammino senza ritorno.
Ambientato in una società futuristica in cui l’Umanità ha scelto di annullare tutte le differenze tra le persone al fine di evitare conflitti dilanianti, la vita scorre tranquilla e asettica. L’ordine regna sovrano e l’unico legame con un passato “contaminato†dalle passioni è la “Cerimonia dei 12†durante la quale un individuo viene scelto come Custode delle Memorie dell’Umanità . Quando il compito toccherà all’adolescente Jonas, la conoscenza di ciò che è stato lo porterà a voler scardinare per sempre l’ordine precostituito.
IN ALTRE PAROLE:
THE GIVER racconta la storia di formazione di Jonas (Brenton Thwaites), un ragazzo cresciuto in un mondo dall'apparenza utopica in cui tutti sembrano felici. Questo senso di armonia è dato da un'esistenza strettamente manipolata per cui la comunità viene privata del cosiddetto fardello della memoria. Non sanno cosa sia la sofferenza, la fame o la violenza. D'altro canto non c'è libertà , nessuna scelta e nessuna individualità . Trattati con una tassativa iniezione giornaliera, gli esseri umani sono geneticamente programmati per non provare emozioni e vedere colori, e l'ambiente scientificamente controllato in cui vivono evita qualsiasi particolare visivo che possa stimolare delle sensazioni o alterare l'ordine di questo mondo apparentemente perfetto. Tutti vivono allo stesso modo: case identiche, identici vestiti ed un'identica struttura familiare.
In questa società atipica le famiglie sono coordinate dal Consiglio degli Anziani, che forma le coppie di mariti e mogli che però non concepiscono i due figli consentiti ad ogni unità familiare: un maschio e una femmina vengono partoriti da “madri biologiche†preposte allo scopo e poi le unità familiari possono fare richiesta per entrambi i figli. L'unità familiare cessa di esistere una volta esaurito il suo scopo di crescere i figli in un ambiente controllato. Crescendo, i figli dimenticano i loro “genitoriâ€.
Oltre ad una brillante intelligenza ed integrità , Jonas ha qualcosa di “leggermente†diverso: ha gli occhi chiari. Alla Cerimonia in cui si assegnano ai giovani le loro vocazioni, il Capo Anziano (Meryl Streep) seleziona Jonas come erede della posizione di Ricevitore dei Ricordi della comunità . In questa onorata posizione all'interno della comunità , diventerà il custode delle memorie antiche di prima dell'avvento dell'era della “Identità â€.
Jonas inizia l'apprendimento con l'attuale Ricevitore dei Ricordi, conosciuto come il Donatore (Jeff Bridges). L'anziano uomo è gentile, ma affaticato dal suo fardello di memorie. Il suo addestramento con il Donatore isola Jonas dai suoi amici. Assorbendo memorie dal Donatore, Jonas apprende l'esistenza della gioia e del piacere, così come del vero dolore, della tristezza, della guerra e della morte nel mondo reale. Mano a mano che le verità oscure e letali sul passato segreto della comunità vengono a galla, Jonas comprende che il modello di società in cui tutti loro vivono è in realtà distopico, e che se si privano le persone dei ricordi non saranno mai consapevoli della gioia, dato che non hanno esperienza della sofferenza.
Insieme, Jonas ed il Donatore giungono alla consapevolezza che è arrivato il momento di cambiare, che la comunità ha perso la retta via e che deve avere indietro i propri ricordi. Facendo esperienza delle emozioni per la prima volta, Jonas si innamora della sua amica Fiona (Odeya Rush), e deve combattere contro il tempo per salvarsi la vita e quella di coloro che ama. Con il potere della conoscenza Jonas scopre che in ballo c'è molto di più di ciò che immaginava: è una questione di vita o di morte per Fiona, per suo fratello più piccolo Gabriel, e perfino per il Donatore. Quando la situazione si fa estrema deve scappare per poterli proteggere – una sfida in cui nessuno finora è riuscito.
SYNOPSIS:
In a seemingly perfect community, without war, pain, suffering, differences or choice, a young boy is chosen to learn from an elderly man about the true pain and pleasure of the "real" world.
This film, based on Lois Lowry's book, tells the story of a perfect world. Everyone here is happy. When Jonas is 12 years old, he's chosen to be the community's Receiver of Memories. He enters into training with an old man called The Giver. From the Giver, Jonas learns about pain, sadness, war, and all the unhappy truths of the "real" world. He quickly realizes that his community is fake. Confronted with this reality, Jonas faces difficult choices about his own life and his future.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
PHILLIP NOYCE DIPINGE UNA PRESA DI COSCIENZA, UNA BATTAGLIA INTERIORE SENZA PRECEDENTI, TRADUCENDO SULLA CELLULOIDE IL RACCONTO BEST SELLER DI FORMAZIONE DI LOIS LOWRY IN UN AFFASCINANTE MOSAICO DI VISIONI. NE ESCE IL PROFILO AMMALIANTE, SEPPUR IMPERFETTO, DI UNA PROFONDA PARABOLA DI RIFLESSIONE
Se qualcuno tenta di incapsulare lo sfarfallìo emozionale umano, calcolato o estemporaneo che sia - che di per sè ha già insiti fin troppi effetti collaterali, come ben ci hanno insegnato i vari capitoli di storia mondiale passata e come continuano, purtroppo, ad indottrinarci oggi altri di storia contemporanea - lo fa a suo rischio e pericolo, oltre che a rischio e pericolo dei suoi simili. La manipolazione del bagaglio emozionale fatto di memorie, ricordi passati e stimoli nuovi legati alla singola individualità , è argomento 'sci-fi' di vecchia data, che si è dimostrato nel tempo di grande 'appeal' sia sul piano letterario che televisivo-cinematografico. Scartando di proposito dalla
litanìa di fonti sul medesimo tema - non sempre di portata autoriale - rivoltato come un calzino in tutte le 'lavanderie' da cui è man mano passato, da quella più sofisticata - Blade Runner - a quella più a buon mercato di The Invasion, una cosa è certa e ribadita ogni volta in vario modo: umani disumanizzati o non umani umanizzati che siano, difficile che in un sistema di regole imposte da pochi interessati e mossi dalle migliori o peggiori intenzioni (vedi in tal senso anche il recente Snowpiecer) possa reggere a lungo prima che la prima bolla 'divergente' scompagini il candore artificiale del bucato appena fatto. La 'massificazione' ottenuta con il lavaggio - più o meno intensivo o più o meno blando, a seconda dei casi - del cervello, tiene la sua corsa controllata il tempo che occorre a quell'unica bolla di affiorare dalla schiuma uniforme portandosi dietro altre
Un tema non certo nuovo dunque, neppure per tutte queste storie di formazione adolescenziale profuse a piene mani da una certa letteratura per ragazzi, dilagata con successo, sia in libreria che al cinema, in questi ultimi tempi. Ma il The Giver di Lois Lowry, dall'alto dei dieci milioni di copie vendute nel mondo, non va solo ad ingrassare gli scaffali già occupati dagli ingombranti e prorompenti Hunger Games, o dai più limitati e tiepidi Ender's Game
e Divergent, non offre solo l'occasione di una riflessione sui nodi cruciali dell'esistenza umana nutrendosi, talora fino a farne una vera e propria indigestione, di avventurose battaglie che fanno dell'eroina o dell'eroe di turno la guerriera o il guerriero elettivi con il compito di purgare le passate convenzioni per un nuovo futuro. Pur con diversi punti di contatto con questi precedenti in celluloide - vedi ad esempio la stessa 'cerimonia di designazione' - la monumentale battaglia combattuta da Jonas, il giovane 'accoglitore di memorie', in The Giver, è tutta interiore, all'interno della sua ignara e sopita coscienza, naturalmente orientata a 'vedere oltre'. E' quello che rende speciale il romanzo, ostico e controverso per gli spinosi temi morali che affronta, inclusa l'eutanasia, oltre ai canonici, universalmente riconoscibili valori, dell'amore, dell'amicizia, della cooperazione solidale, del perdono, e, soprattutto, della cosciente consapevolezza di scelte, operate nel pieno della libertà personale.
Ed è anche
quello su cui ha fatto perno l'intelligente regia di Phillip Noyce, carica di un glamour estetico dotto, sofisticatamente posto al servizio dell'anima di un messaggio con il quale si fa strada fin dall'inizio scegliendo il bianco e nero a simbolo dell'uniformità . Come un pittore di fronte alla sua tela, Noyce ha letteralmente intessuto gran parte della sua rilettura del romanzo, lavorando su colori e tecnica, rendendoli complici alleati con un'anima propria, degli stati di coscienza di Jonas e del suo percorso visionario raccolto in una cangiante soggettiva. Quella coscienza in continua evoluzione, nelle varie fasi di apprendimento del prescelto Jonas (finalmente un ruolo di spicco ben diretto per Brenton Thwaites, già inanimato principe in Maleficent), dal vecchio e strascicato 'donatore' e primo 'accoglitore di memorie', fascinosamente incarnato da Jeff Bridges, da vent'anni sulle tracce della realizzazione del progetto di questa trasposizione cinematografica e dunque oggi anche orgoglioso produttore. Come giÃ
il romanzo, The Giver fa dunque perno sulla visualizzazione della graduale presa di coscienza e conoscenza da parte di Jonas nei suoi vari step di apprendimento: così sul bianco e nero monocorde della sua visione iniziale, il primo colore reale che intravede è il rosso dei capelli dell'amica, di lì a poco amore della sua vita, Fiona (Odeya Rush), ma di lì a poco i colori prenderanno vita, con graduale modulazione di intensità . Un percorso che Noyce sa rendere intrigante non solo con le sue abili pennellate da maestro al ralenti, sgranando e desaturando a piacimento la pellicola, pescando a piene mani dalla storia dell'arte più autorevole, dai classici ai contemporanei - pure la scenografia di questo 'mondo dell'identità ' paga pegno all'arte contemporanea di James Turrell, oltre che a certe ambientazioni del mitico Gattaca di Andrew Niccol - ma che sa anche come trascinare dentro il reticolo di visioni della
gioia, tanto quanto quelle del dolore, tra cui ad esempio i drammatici episodi di 'infanticidio', sia pure non cosciente. Il frutto maturato alla luce artificiale della sedazione emozionale con iniezione mattutina, il nuovo ordine delle cose a tutela della scelta sbagliata cui l'uomo, per sua stessa natura, sarebbe condannato in un moto perpetuo. E' questa l'opinione del Consiglio degli Anziani, cui non poteva mancare il Capo onnipresente nella supervisione, dall'alto della sua autorità esercitata con gelida e melliflua gentilezza strisciante, in ologramma quando non nella realtà , da una canuta Meryl Streep con frangetta e nivee vesti, in controllato sottotono per esigenze di copione votate, appunto, all'uniformità . E mentre su analogo registro sa muoversi Alexander Skarsgård nelle vesti 'asettiche' del padre di Jonas, sembra assolutamente fuori centro la madre impacciata calzata da Katie Holmes, ma è anche vero - mi si perdoni la scheggia velenosa ma non riesco a farne
a meno - che questo potrebbe rientrare nel suo abituale 'vizio di forma'.
Come una parabola biblica, il percorso del nostro giovane eroe - che mantiene la freschezza d'animo di un dodicenne (tale è l'età del Jonas letterario) pur avendone ventiquattro (e tale è invece l'età dell'interprete in celluloide Brenton Thwaites) e la stessa stupita visionarietà - travalica il realismo soprattutto quando si mette in moto per la missione di portarsi oltre il confine della memoria con il 'fratellino' neonato Gabriel. Nessuno cerchi di dare un senso reale alla sopravvivenza di entrambi, soprattutto del bambino, nell'aridità assolata del pieno deserto o di lì a poco nel più ghiacciato ed innevato dei paesaggi. I tempi compressi del cinema, l'amore (per la puericultrice Fiona) e l'amicizia (con l'Asher designato pilota di droni di Cameron Monaghan) quali indispensabili ancore di salvezza per Jonas, renderanno l'accidentato percorso gradevolmente possibile. Proprio mentre la barriera delle
memorie e delle emozioni finalmente liberate si prepara a travolgerci come un'onda, riportandoci alla realtà con la superba carrellata di schegge di vita dal mondo con cui Noyce suggella la visione cinematografica del mondo di Jonas, l'ennesima iniezione di speranza per un'umanità sempre più smarrita sulle punte acuminate dei suoi cocci frantumati. L'eredità lasciata dagli adulti alle nuove generazioni che dovranno trovarsi un buon donatore di memorie passate per resistere alla tentazione di scappare e gettare la spugna, inghiottiti dall'orrore. In questa profonda parabola dolce amara sull'umanità , i nuovi giovani sono così invitati a riflettere, prendere coscienza ed identificarsi ora con il disgusto e la scelta di Rosemary (la precedente 'accoglitrice di memorie' e figlia del donatore) ora con il coraggio elettivo di Jonas, che attraverso la voce fuori campo narrante in prima persona, si offre a sua volta quale donatore virtuale temporaneo. Un buon addestramento per preparare gli adolescenti
a cercare, ognuno a suo modo, di 'non vivere una vita da ombre'.
Secondo commento critico (a cura di SCOTT FOUNDAS, www.variety.com)
WHAT LOIS LOWRY HATH GIVEN IN HER BESTSELLING YA NOVEL, THIS FLACCID SCREEN ADAPTATION TAKETH AWAY.
Sameness, the conformist plague that afflicts the futuristic citizens of Lois Lowry’s celebrated and scorned YA novel, “The Giver,†might also be the name given to what ails the movie adaptation — the latest in a seemingly endless line of teen-centric dystopian fantasies that have become all but indistinguishable from one another. A longtime passion project for producer/star Jeff Bridges, “The Giver†reaches the screen in a version that captures the essence of Lowry’s affecting allegory but little of its mythic pull — a recipe likely to disappoint fans while leaving others to wonder what all the fuss was about. Any hopes by co-producers the Weinstein Co. and Walden Media that they might have the next “Hunger Games†(or even “Divergentâ€) on their hands look to be dashed by lackluster late-summer box office.
Originally published in
1993 (six years before “The Matrixâ€), Lowry’s novel was itself a patchwork of ideas borrowed from Aldous Huxley, George Orwell, Jack Finney and Ray Bradbury in its depiction of totalitarian groupthink masquerading as peaceable utopia. The setting was an unnamed anywhere known only as “the community,†whose residents had achieved a post-Platonic, post-Marxist ideal of a classless, conflict-free (and, though not explicitly stated, seemingly race-free) society through the chemical suppression of emotion and the erasure of all suspect stimuli (including books, colors, weather, and sex) from the historical record. Exempt from this rigorous burning of the past was one man: the Receiver of Memory, a grizzled community elder charged with keeping all human experience from time immemorial catalogued inside his own understandably addled brain.
If Lowry’s ideas weren’t anything new to genre buffs or sociology majors, what made her book so compulsively readable was the lucid simplicity of its prose and
the surprising complexity of its arguments (especially for a novel aimed at children). Unlike a lot of speculative fiction, “The Giver†wasn’t a cautionary tale about nuclear or environmental apocalypse, but rather an envisaging of the even greater horror show we might effect through our ostensibly best impulses: to rid society of war, famine and other forms of suffering. It was a highly adaptable metaphor for any form of organized rhetoric, be it that of the religious right or the bleeding-heart left. And, taking a page from J.D. Salinger, Lowry didn’t just suggest that most adults were duplicitous phonies, but that they were capable of secretly murdering babies and the elderly without batting an eye. (Little wonder that “The Giver†was said to be banned from almost as many schools as made it compulsory reading.)
In bringing the book to the screen, director Phillip Noyce and screenwriters Michael Mitnick and Robert
B. Weide have stayed reasonably faithful to the plot and characters while jettisoning much of the philosophical weight and making other, perhaps inevitable concessions to commerce. A mere 12 years old on the page, Lowry’s nonconformist hero, Jonas, is here played by the 25-year-old Australian actor Brenton Thwaites, while the incidental character of the community’s Chief Elder has been padded out into a ghoulish, Nurse Ratched-esque villain role for Meryl Streep (who appears alternately in real and holographic form, and seems equally disembodied in each). And with only partial success, Noyce, who’s long been one of the best action directors around (“Patriot Games,†“Clear and Present Danger,†“Saltâ€), tries to turn Lowry’s elegant, open-ended climax into a large-scale setpiece involving speeding motorbikes, drone aircraft and storm-trooper thugs rounding up dissidents into a Guantanamo-like prison.
The movie begins well enough, with our introduction to the community and its functional “dwellings†where Jonas
lives with his dutiful but distant parents (Alexander Skarsgard and Katie Holmes) and younger sister, Lily (Emma Tremblay). Working on a modest budget, production designer Ed Verreaux and costume designer Diana Cilliers have given the film the spare, modular look of mid-century modernism — a feeling further enhanced by Noyce’s decision to shoot almost the entire first 30 minutes of the movie in low-contrast black-and-white, with color only gradually seeping into the frames as Jonas learns to “see beyond†(a variation on the technique employed by the 1998 “Pleasantville,†which itself may have been influenced by Lowry).
From there, “The Giver†goes on to chart the developing bond between the Receiver (Bridges) and Jonas, who has been selected to inherit the great storehouse of memory and carry on the older man’s legacy. The Receiver is Bridges in full-on stoner Buddha mode — a routine the actor has done so many times
now (most recently in “Tron: Legacyâ€) that it should have descended into self-parody. And yet, Bridges is the most affecting thing in the movie — a man physically and spiritually exhausted by having to carry the emotional weight of the world on his shoulders. The same, unfortunately, can not be said of Thwaites, who barely registered as the young prince in “Maleficent†and makes even less of an impression here. As Jonas takes on ever more of the Receiver’s wisdom and experience, he’s meant to be shaken and stirred, pushed to the very brink of psychological endurance, but Thwaites plays it all with the same unwavering expression of sleepy, dumbstruck awe, more Harry Styles than Harry Potter.
Elsewhere, Israeli newcomer Odeya Rush flashes an entrancing come-hither stare, but otherwise sets off few sparks as the unrequited object of Jonas’ proscribed affections (or “stirrings,†as they’re known in community-speak), while country star
Taylor Swift feels like the equivalent of human product placement in a thankless walk-on. But it’s hard to know what exactly to feel for Holmes, who’s casting as exactly the kind of dead-eyed Stepford wife the tabloids proffered during the TomKat years seems like someone’s idea of a cruel joke.
This year at the movies has given us two superior dystopia tales — “The Lego Movie†and “Snowpiercer†— rich in the kind of real emotion “The Giver†talks about a lot but never achieves. Instead, the more vibrant experience supposedly flows into the movie, the more canned everything seems. In the novel, Lowry conveyed the Receiver’s transmitted memories as indelible fragments of primal experience: the feeling of sun and snow against bare skin; the suffering of an innocent animal; the aftermath of a bloody combat. Noyce gives us those sensations, too, but he isn’t content to stop there, amping up
Jonas’ visions into frenetic montages of global chaos and togetherness that feel like a cross between a Microsoft ad and a Save the Children infomercial. Skydivers plummet from dizzying heights, river rafters navigate raging rapids, the Berlin Wall crumbles and Tiananmen Square revolts. All that’s missing is a Peter Gabriel song.
Perle di sceneggiatura
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Notorious Pictures e Ornato Comunicazione