TRACKS - ATTRAVERSO IL DESERTO: 9 MESI, 2.700 KM, 4 CAMMELLI, 1 CANE. L'EPICA TRAVERSATA DI ROBYN DAVIDSON FINO ALL'OCEANO INDIANO SI TRASFERISCE SUL GRANDE SCHERMO GRAZIE A JOHN CURRAN ('IL VELO DIPINTO', 'STONE'). NEL CAST MIA WASIKOWSKA E ADAM DRIVER
RECENSIONE ITALIANA IN ANTEPRIMA e PREVIEW in ENGLISH by JUSTIN CHANG (www.variety.com) - Dalla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica - Dal 30 APRILE
"Ero una purista e non volevo che i diritti andassero a Hollywood. Doveva essere un film australiano, e trasmettere i valori che hanno ispirato il viaggio e gli hanno dato un senso".
L'autrice Robyn Davidson
Soggetto: Tracks si basa sulla storia vera di Robyn Davidson e della sua straordinaria traversata in solitario da Alice Springs a Uluru, fino all’Oceano Indiano. Dal libro autobiografico di Robyn Davidson Orme – Una donna e quattro cammelli nel deserto australiano, pubblicato per la prima volta nel 1980.
Cast: Mia Wasikowska (Robyn Davidson) Adam Driver (Rick Smolan) Emma Booth (Marg) Rainer Bock (Kurt) Jessica Tovey (Jenny) Robert Coleby (Pop) Tim Rogers (Glendle) Melanie Zanetti (Annie) John Flaus (Sallay) Lily Pearl (La giovane Robyn Davidson) Darcy Crouch (Tolly) Felicity Steel (Gladdy) Daisy Walkabout (Ada) Roly Mintuma (Eddie)
Costumi: Marriott Kerr
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Alexandre de Franceschi
Effetti Speciali: Tim O'Brien (tecnico)
Casting: Nikki Barrett
Scheda film aggiornata al:
17 Maggio 2014
Sinossi:
IN BREVE:
Il film Tracks è tratto dalla storia vera di Robyn Davidson. Nel suo straordinario viaggio in solitaria da Alice Springs a Uluru e fino all’Oceano indiano, Robyn ha percorso a piedi 2.700 chilometri di deserto australiano – un ambiente spettacolare ma spietato – accompagnata solo dal suo cane Diggity e da quattro cammelli.
Rick Smolan, giovane e carismatico fotografo del New Yorker e del National Geographic, l’ha seguita in alcune delle tappe del viaggio per raccontare la leggendaria traversata di uno dei più impervi deserti del mondo. Per finanziare il proprio viaggio, Robyn ha accettato a malincuore la presenza occasionale di un fotografo, pur vedendo Rick come un intruso e una minaccia per la riuscita del suo viaggio. Eppure, quello che era nato come un rapporto difficile tra due persone molto diverse si sarebbe lentamente trasformato in una grande e inaspettata amicizia che dura ancora oggi.
Sullo sfondo di uno dei luoghi più selvaggi, pericolosi e spettacolari del pianeta, questo viaggio senza precedenti ha spinto Robyn al limite della sua resistenza fisica e emotiva, e le ha insegnato che a volte bisogna staccarsi dal mondo per sentirsene veramente parte. Seguendola in questo viaggio straordinario, ci rendiamo conto che l’impossibile, in fondo, è alla portata di ognuno di noi.
esperienza, porta non solo in bocca alla meta dell'Oceano Indiano ma opera una inevitabile trasformazione mentale e di coscienza che flirta con una vera e propria catarsi. Tra doc., romanzo e biopic, 'Tracks' si impone all'attenzione del pubblico di oggi quale esperienza esemplare ancora attuale, tanto piĂą in una societĂ come la nostra, perennemente connessa tecnologicamente parlando e programmata fino all'ultimo respiro
Un classico fu galeotto per questa nuova pellicola del regista de Il velo dipinto e di Stone John Curran, a suo modo figlia elettiva di quella 'beat generation' che sognava di elevarsi al di sopra delle banalitĂ del quotidiano per raggiungere un piano piĂą alto, quello del sogno che diventa reale esperienza in grado di raggiungere l'essenza della vita, attraverso la conquista dell'essenziale. Un genere di conquista che mette in comunicazione con una filosofia di pensiero ancora da scrivere, sulle personalissime pagine di una lotta per la sopravvivenza direttamente
combattuta sul campo. Fu questa l'esperienza di vita vissuta da Robyn Davidson avviata negli anni Settanta con un viaggio nel cuore dell'Australia desertica per 2700 Km circa, cui lei stessa dette pubblica voce con un articolo prima e con il bestseller Tracks dopo, cui il film di Curran si ispira mantenendo il titolo ma soprattutto lo spirito di fondo, trovando un discreto equilibrio tra il biopic, il reportage documentaristico (del resto la stessa Davidson era legata per contratto, seppur riluttante, al National Geographic, sponsor ufficiale del suo viaggio) e la fiction che non rinuncia a qualche venatura romanzata. Presente in conferenza stampa l'autrice ha del resto ammesso qualche licenza poetica sulla sua diretta esperienza a cominciare dalle pagine del suo libro.
A dar anima e corpo sul grande schermo alla vera protagonista e soprattutto allo spirito di questa esperienza sopra le righe - in qualche modo affine, fatta eccezione per
l'epilogo diametralmente opposto, a quella raccontata Nelle terre estreme dallo scrittore e scalatore americano Jon Krakauer e portata poi sul grande schermo da Sean Penn con Emile Hirsch nei panni del protagonista Christopher McCandless - è stata chiamata all'unanimità Mia Wasikowska (Alice in Wonderland, Albert Nobbs, Lawless, Stoker). E la scelta non poteva essere migliore, non tanto per affinità fisiognomica con la stessa Davidson, quanto per il naturale spessore psicologico che è riuscita ad imprimere al suo intenso dialogo con la natura e con gli animali, i suoi cammelli e ancor più la sua amatissima cagna. Un'esperienza di quelle che lasciano il segno e tornano a restituire un senso alla vita stessa, quel senso affannosamente ricercato, ognuno per motivi diversi e personali, proprio quando, quasi come funamboli dilettanti allo sbaraglio, ci si inoltra fino ad arrivare al cuore del rischio in condizioni estreme, generalmente a contatto con la natura
selvaggia, selvaggia al punto giusto per portarci dritti dritti sugli impraticabili limiti di una sopravvivenza perennemente in bilico.
La motivazione di fondo di una simile esperienza risulta chiara fin dall'inizio dalla voce fuori campo della stessa Robyn: "Ci sono nomadi che si sentono a casa ovunque, io non mi sentivo a casa da nessuna parte", ma è con il procedere di questo suo percorso, per il quale Curran si è lasciato forse un pò prendere la mano, dilatando un pò troppo i tempi la giostra dei bivacchi a cielo aperto, che si schiudono si distendono le rughe interne di quest'anima in cerca . Un percorso in solitario per scelta, che si tradurrebbe in un perfetto 'one woman show' se non fosse, almeno in parte, di fatto 'assistito': dallo stesso fotografo inviato dal National Geographic, qui interpretato da Adam Driver nella squisita persona paziente e generosa per quanto non infallibile, da alcuni
troppo a lungo, legami affettivi giĂ archiviati in qualche angolo oscuro di una coscienza che sembra ora rivendicarli con forza.
Così se il Tracks letterario di Robyn Davidson, ora sottoscritto anche dal film di Curran, ancora oggi si impone alla pubblica attenzione come un classico di grande successo, significa che l'esigenza di isolarsi, scollegarsi dal proprio nucleo di vita 'programmata', è sempre esigenza di grande attualità , ancor più per le giovani generazioni della nostra società odierna, costantemente connesse, o per meglio dire, imprigionate nel polifunzionale polmone d'acciaio tecnologico, in una sorta di soffocante dipendenza.
Secondo commento critico (a cura di JUSTIN CHANG, www.variety.com)
Robyn Davidson’s international bestseller about her arduous but rewarding nine-month trek through the Australian outback has been brought to the screen with impeccable craftsmanship and considerable sensitivity in “Tracks.” Anchored by a fine and flinty performance from Mia Wasikowska, director John Curran’s gorgeously rendered adventure saga succeeds not only in capturing the harshness and wild beauty of Davidson’s journey, but also in mapping a delicate interior pathway into the heart of this most atypical explorer. Prestigious fall festival berths should help court critical attention and discerning sales interest for this classy production en route to a solid arthouse destination.
Over the course of his four previous features (“Praise,” “We Don’t Live Here Anymore,” “The Painted Veil” and “Stone”), American-born, Australian-based helmer Curran has proven himself something of a specialist in the behavioral habits of prickly and unpredictable individuals. In this he makes an ideal fit for Davidson’s literary touchstone, a
story of self-discovery written by someone whose actions, as presented here, were born of a desperate craving for solitude and a thorough disenchantment with so-called civilized society.
“I just want to be by myself,” says Wasikowska’s Robyn when she’s asked why she wants to walk nearly 2,000 miles from the remote northern outpost of Alice Springs to the Indian Ocean, with only four hard-earned camels and her faithful dog, Diggity, for company. As set forth in Marion Nelson’s skillful adaptation, which subtly incorporates and speculates on background material not included in the book, Robyn’s battle seems to be less with nature than with other people. Friends, family members and passing observers prove less than fully supportive of her endeavor, and once she sets off into the desert in April 1977 with her four-legged friends in tow, she’s continually hounded by tourists, spectacle-seekers and reporters as word of the eccentric “camel lady”
spreads throughout Australia and the world beyond.
Robyn is so opposed to outside meddling that she only grudgingly accepts the occasional company of American photographer Rick Smolan (Adam Driver), who drives out to meet her at several points for pictures — a condition of her contract with National Geographic magazine, which has agreed to fully finance her trip. In a role significantly expanded upon from the book, Driver’s winning performance as this enthusiastic, awkwardly ingratiating tag-along emerges as one of the film’s chief pleasures. Although Rick initially exasperates with his insensitivity to local customs and his insistence on photographing everything in sight, he eventually disarms Robyn as well as the audience with his patience and persistent kindness.
One of the few other people to earn Robyn’s trust is an Aboriginal man named Mr. Eddy (a terrific Rolley Mintuma), who accompanies her for a leg of the trip, imparts plenty of regional wisdom
and does his part, in the film’s funniest scene, to scare off some unwanted groupies. Moments of levity aside, Robyn’s encounters with Aboriginal men and women along the way allow “Tracks” to touch lightly on the undercurrents of racism and misogyny that were ingrained in the culture at the time, and that partly inspired Davidson’s flight into the desert to begin with.
Although the quotes and voiceover snippets from Davidson’s prose can scarcely begin to replicate the singular quality of her voice, Curran and Wasikowska do an expert job of revealing character through action, etching a full-fledged portrait of a person who did her part to defy what was expected of a young woman of her time and place. (The way Robyn treats Rick here serves as a neat inversion of the usual gender norms for this sort of relationship onscreen.) Yet Davidson’s life decisions can scarcely be reduced to a
strictly feminist reading, and her ethos is perhaps best summed up by the modest self-assessment she offers here: “I’d like to think an ordinary person is capable of anything.”
The narrative is punctuated by perhaps one too many slow-motion childhood flashbacks as the film relentlessly circles some formative trauma, which will in due time account for Robyn’s stubborn withdrawal from society as well as her natural affinity for animals. But if the revelations seem a bit tidy, as revelations usually do, Wasikowsa’s characterization feels so authentically jagged and lived-in that it easily supports such explanations without in any way relying on them. A refusal to court the audience’s sympathy has been a hallmark of Wasikowska’s performances in films as distinct as “Jane Eyre” and the recent “Stoker,” and with “Tracks” she adds one more to her gallery of guarded, fiercely independent-minded heroines, somehow leading with her frown yet still managing to
achieve a wrenching emotional payoff by film’s end.
Curran deploys the formal conventions of the travelogue ably enough, using maps and montages early on to chart Robyn’s pace of about 20 miles per day. The trip’s episodic progression across hundreds of miles of dry, cracked terrain imparts a necessary sense of monotony without devolving into tedium, conveying each new peril, as well as each unexpected blessing, in vivid cinematic language. From the hazards of training a temperamental camel or navigating a dusty windstorm to the pleasures of diving into a man-made oasis after weeks without bathing, Robyn’s experiences gain heft and resonance from Curran’s direction, which patiently teases out individual moments rather than rushing to get them over with.
Lensed at the beginning of the hot season in the deserts of South Australia and the Northern Territory, “Tracks” further benefits from d.p. Mandy Walker’s magnificently composed and textured widescreen images; the result
is a film so persuasive in its aridity (borne out by Robyn’s increasingly disheveled appearance and sun-damaged skin) that it demands to be seen with an ice-cold beverage in hand. Dusty oranges and rusty reds dominate a palette heavily influenced by Smolan’s photographs (singled out in the credits), as well as such atmospheric classics of ’70s outback cinema as Nicolas Roeg’s “Walkabout” and Ted Kotcheff’s “Wake in Fright.” Alexandre de Francesci’s well-judged editing and Garth Stevenson’s gently moving score round out an excellent technical package; credit camel wrangler Andrew Harper and his team for ensuring that the 19 camels used maintain the production’s high acting standards.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano BIM Distribuzione e Xister Pressplay