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    Home Page > Movies & DVD > Jimmy P.

    JIMMY P.: GLI STRANI MALESSERI DI BENICIO DEL TORO!

    Dal 66. Festival del Cinema di CANNES - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by SCOTT FOUNDAS (www.variety.com) - Dal 20 MARZO

    "When I walked into a bookshop and just saw the title, I told myself that it was made for me. What I like about Devereux is that he has democratised psychoanalysis. He has taken it to the Indian reserves. He has given characters from humble backgrounds the nobility of characters in Thomas Hardy's work... The story revolves around two men, one from Montana, the other from France, who meet in the middle of nowhere. It is the story of two men who become American. What moved me most of all is that Jimmy never returned to his reserve. Afterwards he went to Seattle to live a different life... As Renoir said: 'Nothing resembles an Indian cobbler more that a Parisian cobbler'. I never said to myself that this was my first American film. I had to make this film and it could only be made there".
    Il regista e co-sceneggiatore Arnaud Desplechin

    (Jimmy P.; USA 2013; Drammatico; 114'; Produz.: Why Not Productions/Worldview Entertainment; Distribuz.: BIM Distribuzione)

    Locandina italiana Jimmy P.

    Rating by
    Celluloid Portraits:




    Titolo in italiano: Jimmy P.

    Titolo in lingua originale: Jimmy P.

    Anno di produzione: 2013

    Anno di uscita: 2014

    Regia: Arnaud Desplechin

    Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Kent Jones e Julie Peyr

    Soggetto: PRELIMINARIA - GEORGES DEVEREUX:

    Tratto da una storia vera, JIMMY P. è la trasposizione cinematografica del libro Psicoterapia di un indiano delle pianure di Georges Devereux (inedito in Italia). Pubblicato per la prima volta nel 1951, questo testo a cavallo tra antropologia e psicoanalisi riflette gli straordinari talenti interdisciplinari di un autore che è stato un pioniere dell’etnopsichiatria. E’ anche l’unico libro sulla psicoanalisi in cui viene interamente trascritta un’analisi, seduta per seduta, nei minimi particolari.

    Georges Devereux, un ebreo ungherese, si trasferisce a Parigi a metà degli anni ’20 del secolo scorso. Dopo aver seguito per un breve periodo studi scientifici (in particolare con Marie Curie), si dedica all’etnologia e all’antropologia. Contemporaneo di Claude Levi-Strauss, che all’epoca conduceva i suoi primi studi sugli indigeni dell’Amazzonia, Devereux sceglie il Nordamerica come campo privilegiato di ricerca.

    Così, si trasferisce negli Stati Uniti dove decide di specializzarsi nello studio degli indiani Mojave. Trascorre lunghi periodi tra loro, studiandone usi e costumi che diventeranno il soggetto della sua tesi di dottorato. Più che agli aspetti sociologici, però, Devereux si appassiona soprattutto ai problemi psicologici e psichiatrici che osserva all’interno della popolazione locale.

    Quando arriva al Topeka Winter Hospital, Devereux ha già lavorato come ricercatore in numerosi altri istituti. Questo ospedale militare – ricreato per il film – è stato uno dei primi in America a curare i reduci di guerra che soffrivano di disturbi post-traumatici.

    Uomo dal temperamento ribelle e anarchico, ancora oggi Devereux è considerato un personaggio controverso e una specie di fuorilegge, all’interno della comunità scientifica: “Troppo freudiano per gli antropologi, troppo etnologico per gli psicoanalisti, non abbastanza medico per gli psichiatri”, lo descrive Elisabeth Roudinesco, nella sua prefazione di “Psicoterapia di un indiano delle pianure”.

    Dopo la sua morte, le ceneri di Georges Devereux sono state portate a Parker, la riserva dei Mojave in Colorado, secondo la sua volontĂ .

    Cast: Benicio Del Toro (Jimmy Picard)
    Mathieu Amalric (Georges Devereux)
    Gina McKee (Madeleine)
    Larry Pine (Dr. Karl Menninger)
    Joseph Cross (Dr. Holt)
    Gary Farmer (Jack)
    Michelle Thrush (Gayle Picard)
    Misty Upham (Jane)
    Jennifer Podemski (Doll)
    Michael Greyeyes (Allan)
    Lily Gladstone (raggio di sole appena sorto)

    Musica: Howard Shore

    Costumi: David C. Robinson

    Scenografia: Dina Goldman

    Fotografia: StĂŠphane Fontaine

    Montaggio: Laurence Briaud

    Casting: Avy Kaufman

    Scheda film aggiornata al: 03 Aprile 2014

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Alla fine della seconda guerra mondiale, Jimmy Picard, un nativo indiano della tribù dei Blackfoot che aveva combattuto in Francia, viene ricoverato all’Ospedale militare di Topeka, in Kansas: un istituto specializzato in malattie psichiatriche. Jimmy accusa sintomi diversi, come vertigini, cecità temporanea, perdita dell’udito. E si è chiuso in se stesso. In assenza di cause fisiologiche, viene diagnosticato come schizofrenico. L’ospedale, però, decide di sentire il parere di Georges Devereux, un antropologo francese che è anche psicoanalista e studioso della cultura degli indiani d’America.

    JIMMY P. è la storia dell’incontro e dell’amicizia tra due uomini che in circostanze normali non si sarebbero mai conosciuti e che apparentemente non hanno niente in comune. Insieme, intraprenderanno un viaggio di esplorazione dei ricordi e dei sogni di Jimmy, procedendo come una coppia di detective legati da una sempre maggiore complicità.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    CINEMA DI SGUARDI, DI SILENZI E DI INCONSUETE, TALORA VERBOSE, SEDUTE PSICHIATRICHE, LA' DOVE IL NUOVO METODO PSICANALITICO SFUMA IL CONFINE TRA PAZIENTE (BENICIO DEL TORO AL TOP DI UNA DELLE SUE PIU' INTENSE PROVE DI INTROSPEZIONE) E MEDICO (IL CONTRAPPOSTO MATHIEW ALMARIC ALL'INSEGNA DI UNA VIVACE LOQUACITA') IN UN GENERE DI SOLIDALE INTERAZIONE, FATTA DI RECIPROCA COMPRENSIONE FINO ALL'AMICIZIA. UNA STORIA VERA CHE IL REGISTA FRANCESE ARNAUD DESPLECHIN PORTA SUL GRANDE SCHERMO CON SFRONTATO CORAGGIO IN UNA CIFRA METALINGUISTICA TRA CINEMA VERITE' E MESSE IN SCENA DA PIECE TEATRALE, CON CUI RICHIEDE ALLO SPETTATORE UNA PIU' CHE PAZIENTE E ATTENTA VISIONE, PERCHE' IL VERO SPETTACOLO E' QUELLO DI UN'ANIMA IN PENA CON LE SUE BUONE RAGIONI. RAGIONI CHE NON POSSONO CHE TRACIMARE MOLTO LENTAMENTE DAL BARILE DI UN'UMANITA' STRACOLMA DI LIQUAMI TOSSICI DA BONIFICARE. LIQUAMI DEPOSITATI NEL CORSO DI UN'ESISTENZA NON FACILE, IN CUI L'ETNIA INDIANA E LA GUERRA

    NON SONO CHE LE PUNTE PIU' SPORGENTI, MA NON DI FATTO QUELLE DETERMINANTI, DI UN PRISMA PSICOLOGICO COMPLESSO E ALQUANTO SFACCETTATO.

    Tratto da una storia vera, Jimmy P., presentato in concorso al 66. Festival del Cinema di Cannes, è la trasposizione cinematografica del libro Psicoterapia di un indiano delle pianure (1951) di Georges Devereux (inedito in Italia). Un testo a cavallo tra l'antropologia e la psicoanalisi, pionieristico dell'etnopsichiatria. Beh, devo dire che soggetto piÚ originale da portare al cinema il regista francese Arnaud Desplechin (Racconto d'inverno) non poteva trovarlo. Ardua scelta, non c'è che dire! E se ardua è stata la scelta del soggetto, una sorta di sfrontato coraggio ha sostenuto la sfida della sua trasposizione cinematografica, alla fin fine, di una sorta di manuale scientifico avanguardista al punto da non trovare un'esatta collocazione in seno all'esatta disciplina di competenza: "Troppo freudiano per gli antropologi, troppo etnologico per gli

    psicoanalisti, non abbastanza medico per gli psichiatri". Pure l'unico testo, a quanto pare, in cui viene interamente trascritta un’analisi, seduta per seduta, nei minimi particolari. Difficile distaccarsi da una veste psicoanalitica minimalista come l'originale. Difficile rinunciarci, soprattutto, quando al microcosmo interiore di un personaggio così particolare e complesso come il paziente indiano Jimmy P. - reduce di guerra naturalizzato americano, il cui vero nome indiano ha un significato del tipo 'tutti quanti parlano di lui' - non si poteva rendere miglior giustizia di quella emersa attraverso i suoi monosillabici indizi e ai suoi scorci onirici ricavati dai suoi sogni notturni, rivelati molto gradualmente di seduta in seduta, ripercorsi sul grande schermo, filtrati dalla soggettiva del protagonista che li ricorda nella sua mente. Visioni comunque ancorate ad una realtà in cui dominano gli spazi aperti di pianure o boschi, palcoscenico prediletto di oggetti e persone alter ego di qualcuno o qualcosa

    non sempre facili da decifrare nel continuo rapporto con l'esistenza del nostro primo protagonista.

    - "Che cosa vede?"

    - "Io posso raccontarle quello che vedo ogni notte. Vedo un muro alto, io ci sto sopra in piedi, poi mi sento come cadere nel vuoto ma non cado mai"

    I fatti stanno in questi termini: alla fine della seconda guerra mondiale, Jimmy Picard, un nativo indiano della tribù dei Blackfoot che aveva combattuto in Francia, viene ricoverato all’Ospedale militare di Topeka, in Kansas: un istituto specializzato in malattie psichiatriche. Jimmy accusa sintomi diversi, come vertigini, cecità temporanea, perdita dell’udito. E si è chiuso in se stesso. In assenza di cause fisiologiche, viene diagnosticato come schizofrenico. L’ospedale, però, decide di sentire il parere di Georges
    Devereux, un antropologo francese che è anche psicoanalista e studioso della cultura degli indiani d’America.

    E' dunque da questi disturbi, presunti traumatici post bellici - grandi mal di testa accompagnati da sfarfallii

    di luce - che il regista Desplechin ci presenta il suo Jimmy P. in celluloide, incarnato con spettacolare visceralità da Benicio Del Toro (21 Grammi-Il peso dell'anima), attraverso un reticolo di tormenti interiori talmente importanti da prendere corpo attraverso disturbi fisici reali. Disturbi tali da rendere necessaria l'ospedalizzazione, appunto, e da richiedere un consulto medico d'eccezione, rappresentato dall'antropologo francese Georges Delveraux, vestito con vivace e logorroica disinvoltura da Mathiew Almaric (Venere in pelliccia). I due non potrebbero essere piÚ opposti caratterialmente: "il tuo paziente non è un tipo facile, in due settimane non ha detto una parola", avvertono Delvearux/Almaric appena arrivato i colleghi medici. Eppure da queste scarne basi, in breve il medico sentenzierà la sua prima diagnosi che esclude la pazzia o altra patologia similare per il suo paziente: "Allora di cosa soffre quell'uomo", gli chiedono. "Di quello che soffriamo un pò tutti", risponde il medico speciale di Jimmy

    P.

    Il fatto è che per capire chi Ê Jimmy P. e perchÊ soffre di quei disturbi, occorrerà tempo, e molto! Vi dovrete sorbire, centellinate in numerose sedute diverse - che poi, con poche digressioni, diventano il corpo centrale dell'intero film - tante di queste domande: 'In che lingua fa i suoi sogni?'... 'Mi parli dei suoi genitori'... 'Lei che tipo di donna vuole?'... 'Ha sognato stanotte?'... 'Dove si svolgeva il suo sogno?'... Saranno difatti proprio i sogni, gli incubi e la loro analisi, i primi protagonisti di Jimmy P., la 'nota dolens' della religione (cattolica del paziente), la paura di lasciarsi andare all'ubriachezza e di non essere pienamente se stessi senza di essa, uno scorcio di cinema nel cinema, uno spettacolo con burattini, di lÏ a poco passato dallo stesso protagonista al setaccio della psicoanalisi: quando Jimmy P. confessa di sentirsi come il burattino storto, non riuscendo a stare dritto

    in piedi da solo e quando deve realizzare che lo spettacolo altro non inscenava se non due uomini che si battevano per una donna, argomento delicato per lui, al punto da causargli malessere. Solo passando da questa gradinata di piccole tappe-seduta, si vedranno due uomini diversi allacciare un legame altro dal semplice rapporto medico-paziente e, man mano, scopriremo molte cose del nostro introverso indiano Jimmy P., con una madre dal "cuore virile" per dire 'dura' quanto basta e rendere le cose non facili, con la sorella alter ego di una madre rifiutata - e sapremo a suo tempo il perchĂŠ - un primo amore mai dimenticato, una figlia al momento adolescente mai seguita, le ragioni del divorzio dalla moglie e molto di altro. Ma scopriremo anche come i problemi radicati in quel complesso microcosmo abbiano ben poco a che fare con l'etnia indiana e la guerra, quanto con ferite

    universalmente riconoscibili in molti altri spaccati di umanità altra nel mondo. E dunque come questo particolare capitolo esistenziale abbia molto da dire e far riflettere sulla vita, sulle sue difficoltà e sul modo di affrontarle e superarle senza subirne semplicemente il peso con i suoi sensi di colpa. Aprire una breccia nell'oscura spelonca della solitudine può offrire un'opportunità di rinascita.

    CosÏ, se inoltrandovi nella visione del film, vi capiterà di chiedervi, come si chiede lo stesso paziente da lungo tempo in terapia: "Quanto tempo devo ancora restare qua?", mantenete la calma necessaria perchÊ varrà per voi la stessa risposta che è stata data a lui: "Quanto tempo occorre per recuperare dei cavalli in fuga?". Non certo poco, ma ne varrà la pena, almeno credo. Quando vi troverete all'altezza di una sorta di analisi auto esortativa del nostro Jimmy/Del Toro: "Mi conosco piÚ di ogni altro e sono il mio maestro, me

    lo ha insegnato lei", capirete che la storia del nostro protagonista si trova ad un buon punto della sua parabola evolutiva, verso una liberatoria, presa di coscienza, la catarsi necessaria per l'inizio di una vita nuova.

    Secondo commento critico (a cura di SCOTT FOUNDAS, www.variety.com)

    The prosaic, marquee-challenging title tells mostly all in the case of “Jimmy P. (Psychotherapy of a Plains Indian),” Arnaud Desplechin’s profoundly Freudian study of loss and healing in post-WWII America, as seen through the experience of a dynamic shrink and his prize Native American patient. Largely a two-hander for stars Benicio Del Toro and Mathieu Amalric, both working at the top of their craft, this demanding but highly absorbing closeup on the analyst/analysand relationship seems sure to earn a warmer reception than the iconoclastic French auteur’s previous foray into English-lingo period filmmaking (with 2000’s unfairly maligned “Esther Kahn”). Pic’s highly specialized subject matter, however, presents a significant sales and marketing challenge, especially for distribs still licking their wounds from last year’s similar-themed “The Master.”

    Sporting one of the more unusual literary sources ever adapted into a feature film, the pic draws its inspiration from “Reality and Dream,” a book-length case study

    by the ethnologist and psychoanalyst Georges Devereux (played by Amalric) about his treatment of one James Picard (Del Toro), a Blackfoot Indian whom Devereux encountered at Topeka’s famed Menninger Clinic in 1948. But as adapted by Desplechin, together with co-screenwriters Julie Peyr and Kent Jones, “Jimmy P.” constantly searches for — and finds — cinematic equivalents for Devereux’s clinical language.

    The early scenes, set in Montana, show the former Army Cpl. Picard suffering from blinding headaches and dizzy spells possibly related to a skull fracture he suffered during his service. Initially taken to a Topeka military hospital by his concerned sister (an excellent Michelle Thrush), Picard is soon transferred to the nearby Menninger Clinic, where he stymies the staff by showing perfectly normal brain activity. Counting only one other Native American among their patients, the good Dr. Menninger (Broadway vet Larry Pine) decides to call in a specialist, choosing Devereux

    for his extensive knowledge of Indian life, including two years doing fieldwork with the Mojave.

    In his fifth collaboration with Desplechin (who has typically cast him as characters in, or in dire need of, therapy themselves), Amalric here gets a bonafide star entrance, the camera dollying in on an unseen figure puffing smoke behind a newspaper in a Brooklyn bar. The excitable Devereux is quite literally waiting on Menninger’s call and happily hops on the next train heading West, where his supposed one-shot consultancy on the Picard case evolves into the series of lengthy analysis sessions. Picard is, in Devereux’s estimation, suffering from “what we all suffer from,” and that it is the damaged man’s soul — not his skull — that is in true need of repair.

    While onscreen therapy is hardly a novelty in the era of “The Sopranos,” “In Treatment” and David Cronenberg’s “A Dangerous Method,” few

    films have focused so intently on the minutiae of psychoanalysis as Desplechin does here — an uncompromising strategy that will undoubtedly distance some viewers while drawing others further in. As doctor accompanies patient on a tour of childhood traumas, oedipal complexes and abandonment issues, Desplechin and cinematographer Stephane Fontaine imaginatively render the journey as a series of waking dreams, Devereux and Picard walking about inside the latter’s mind like audience members at a most unusual picture show.

    Among their other virtues, the scenes between Amalric and Del Toro bristle with an energetic contrast in personalities and acting styles, as the jittery, irrepressible Devereux slowly coaxes the stoic, monosyllabic Picard out of his shell. At first, Del Toro seems to be working in an extremely narrow range, but his ability to show the subtlest of gradations in Picard’s gradually improving condition becomes one of the quiet astonishments of this impeccable performance.

    Occasionally, Desplechin breaks away from his intense central focus to show Devereux’s interactions with other Menninger staff and his visiting married mistress (well played by Gina McKee), but “Jimmy P.” is never better than when its two leads share the screen, a relationship all the more resonant and moving for Desplechin’s refusal to make it cutesy or contrived. (“Awakenings” this certainly isn’t, even if a breakthrough does loom at the end of the long, dark night.)

    Like Picard, Devereux is himself something of a stranger in a strange land, a Hungarian-born Jew who has come to the U.S. via Paris, but who remains very much unmoored, looking for a place to call home. That he should find it in the flatlands of Kansas evinces Desplechin’s abiding belief in the power of not only therapy, but America itself as a wellspring of new beginnings.

    Topnotch work by production designer Dina

    Goldman and costume designer David C. Robinson adds to the pic’s polished period look, while the moody, melodramatic original score by Howard Shore enhances as many scenes as it threatens to drown out.

    Bibliografia:

    Nota: Si ringraziano Bim Distribuzione e Samantha Dalla Longa (QuattroZeroQuattro)

    Pressbook:

    PRESSBOOK COMPLETO in ITALIANO di JIMMY P.

    Links:

    • Benicio Del Toro

    • Mathieu Amalric

    • Misty Upham

    • Gina McKee

    • Jennifer Podemski

    • Lily Gladstone

    1| 2

    Galleria Video:

    Jimmy P. - trailer

    Jimmy P. - trailer (versione originale sottotitolata in francese)

    Jimmy P. - clip 'Hai soltanto una vita'

    Jimmy P. - clip 'Un consulente speciale'

    Jimmy P. - clip 'Quell'uomo non è pazzo'

    Jimmy P. - clip 'Senso di colpa'

    Jimmy P. - clip 'Giochi di ruolo'

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