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    LA FINE E' IL MIO INIZIO

    RECENSIONE - Dal 1° APRILE

    (Das End ist mein Anfang, GERMANIA/ITALIA 2010; drammatico; 98'; Produz.: Collina Filmproduction in coproduz. con: B.A. Produktion/Bayerischer Rundfunk (BR)/Südwestrundfunk (SWR)/ARTE/Degeto Film/Beta Film/Rai Cinema con il sostegno di: Azienda USL 3 di Pistoia/Comune di Pistoia/Mediateca Regionale Toscana/Toscana Film Commission; Distribuz.: Fandango Distribuzione)

    Locandina italiana La fine è il mio inizio

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    Titolo in italiano: La fine è il mio inizio

    Titolo in lingua originale: Das Ende ist mein Anfang

    Anno di produzione: 2010

    Anno di uscita: 2011

    Regia: Jo Baier

    Sceneggiatura: Ulrich Limmer e Folco Terzani

    Soggetto: Tratto dal best seller di Tiziano Terzani edito in Italia da Longanesi.

    Cast: Bruno Ganz (Tiziano Terzani)
    Elio Germano (Folco Terzani)
    Erika Pluhar (Angela Terzani)
    Andrea Osvàrt (Saskia Terzani)
    Nicolò Fitzwilliam-Lay (Novi)

    Musica: Ludovico Einaudi

    Costumi: Gerhard Gollnhofer

    Scenografia: Eckart Friz

    Fotografia: Judith Kaufmann

    Montaggio: Claus Wehlisch

    Makeup: Brigitte Dettling

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    Al termine della sua vita densa di avvenimenti, il grande viaggiatore, appassionato giornalista e autore di libri di successo, Tiziano Terzani, si ritira a vivere con sua moglie nell'appartata casa di famiglia in Toscana. Vede chiaro in se stesso, è preparato a chiudere il cerchio della sua vita. Convoca a sé il figlio Folco, che vive a New York. Gli vuole raccontare la storia della propria vita, l'infanzia e la giovinezza a Firenze, i tre decenni trascorsi come corrispondente dall'Asia per il Corriere della Sera e Repubblica, e infine lo sconvolgente viaggio dentro sé stesso, quando a causa del cancro si congeda dal giornalismo e si apre a esperienze spirituali in Asia. Tre anni presso un grande saggio nell'isolamento dell'Himalaya diventano per lui l'esperienza decisiva. Gli rendono possibile guardare alla morte pacatamente. Ora Tiziano vorrebbe trasmettere queste esperienze al figlio Folco. Attraverso i dialoghi tra i due nascono momenti di grande intimità e si possono sciogliere vecchie tensioni tra padre e figlio. Dopo la morte del padre, Folco sparge le sue ceneri al vento dei monti della Toscana settentrionale. E pubblicherà il libro come suo padre gli aveva chiesto: “La fine è il mio inizio”.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    Jo Baier è nato nel 1949 a Monaco di Baviera. Dopo la maturità ha studiato Scienze dello spettacolo, germanistica e americanistica presso l’Università Ludwig-Maximilian e nel 1980 ha conseguito il dottorato in filosofia, ha iniziato infine il suo lavoro come regista nel 1979, inizialmente con documentari. Fino a oggi ha girato più di 60 film documentari e lungometraggi per la tv. Dal 1984 sono stati realizzati parecchi film di fiction per i quali ha scritto lui stesso anche le sceneggiature, tra cui alcuni insigniti di Premi.

    Questo scorcio biografico del regista Jo Baier ci appare indicativo delle priorità e consuetudini stilistiche, ancorate al documentario e al piccolo schermo, che spiegano, aiutando a comprendere meglio, i toni accordati a quel capitolo di 'para-cinema’ che risponde al titolo La fine è il mio inizio, di forte valenza biografica, filosofico-esistenzial-spirituale applicata ad un personaggio di spicco nel mondo della cultura internazionale quale Tiziano

    Terzani, le cui note biografiche qui sotto riportate, danno un’idea sufficiente della portata, nel film cadenzate da logorroici monologhi la cui assoluta mancanza di sintesi e lo scadere in insistenti ripetizioni dei medesimi concetti mortificano più che esaltarne i contenuti:

    Nato e cresciuto a Firenze. Studia giurisprudenza a Pisa e sinologia a New York. Per 30 anni Tiziano Terzani è stato corrispondente dal Sud-Est asiatico per "DER SPIEGEL" in viaggio per tutto il mondo. L’Asia era la sua grande passione, la Cina è stata per lungo tempo la sua speranza e il suo sogno di un mondo più giusto. Il suo modo di vedere, inconsueto e senza preconcetti, che metteva sempre al centro gli interessi della “piccola” gente. Nel 1971 Terzani si trasferisce con la famiglia a Singapore e da lì intraprende numerosi viaggi per reportage più o meno rischiosi. Scrive corrispondenze anche da Saigon, quando i Vietcong avevano già conquistato

    la città e in seguito, sfuggendo per un soffio alla morte, sulla Cambogia dei Khmer Rossi. Terzani è uno dei primi corrispondenti occidentali che nel 1980 riesce ad entrare in Cina. Alla ricerca di un’alternativa al capitalismo occidentale, in un primo momento resta profondamente impressionato dal pensiero di Mao Tse Tung. Tuttavia, più si immergeva nella nuova Cina di Mao – viveva con la sua famiglia senza approfittare dei consueti privilegi per gli occidentali – più il suo sguardo e i suoi reportage diventavano critici. Alla fine nel 1984 viene arrestato ed espulso per “attività controrivoluzionarie”. Profondamente deluso deve riconoscere che il sogno di una società più giusta non si realizza né con le guerre né con le rivoluzioni. Dopo alcuni anni in Giappone, dove non riesce mai ad ambientarsi, si stabilisce con la sua famiglia a Nuova Delhi. La riflessione sulla dottrina di Mahatma Ghandi prepara la strada per

    successive esperienze spirituali. Terzani arriva all’importante convinzione che l’unica rivoluzione che produce cambiamenti durevoli è quella che avviene dentro se stessi. La sua personale rivoluzione inizia quando, seguendo una profezia, nel 1995 per un anno non sale più su aeroplani e viaggia per il mondo soltanto via acqua o via terra. Oltre ai suoi lavori giornalistici, Tiziano Terzani ha pubblicato anche numerosi libri. Quando ha la sensazione di ripetersi come giornalista, a 58 anni va in prepensionamento. Poco tempo dopo gli viene diagnosticato un tumore. Terzani si ritira sull’Himalaya e là vive per tre anni da eremita. Le esperienze che accumula in questo periodo sono risultate le più decisive nella sua vita, e lo preparano alla morte vista come una “ultima avventura”. L’uomo famoso, che ha ottenuto così tanto, diventa un senza nome: “Sono stato molte cose e alla fine non sono niente”, così riassume per il figlio la sua

    ricca vita. L’aspirazione alla giustizia, ad una società migliore è stata sempre la molla propulsiva più potente di quest’uomo straordinario – insieme a una inesauribile curiosità per gli uomini e per la vita.

    E dire che il personaggio di Tiziano Terzani è qui incarnato da un illustre interprete come Bruno Ganz, in grado di reggere, come in questo caso, un focus da primissimo piano estremamente prolungato e assolutamente accentratore. Personaggio ricco e complesso quanto la sua parabola evolutiva esistenzial-spirituale, come avete potuto constatare, che il figlio Folco (Elio Germano) è chiamato a raccogliere in un libro che ne immortalerà l’essenza. Un patrimonio di esperienza culturale ed umana assolutamente rilevante di per sé, che nel film La fine è il mio inizio, finisce per restare ‘mortificato’ da una non proprio felice scelta cinematografica, esasperatamente affidata al monologo più o meno costante del nostro protagonista giunto sul limitare dell’ultimo atto della sua esistenza.

    Non un flashback o altro artificio tecnico è chiamato in causa a supporto del racconto in prima persona, tanto che a un certo punto si ha l’impressione di trovarci su un palcoscenico di teatro più che al cinema, e a tratti anche la recitazione sembra ricalcarne i toni, resi ancor più cupi e gravosi dalle tematiche affrontate che spaziano per l’appunto dalle infatuazioni ideologiche marx-lenin-maoiste alle varie fasi di maturazione e ripensamenti sull’onda di argomentazioni di economia politica, di consumismo del mondo occidentale, con una sorta di ‘vivisezione’ della guerra, fino alla rigenerante spiritualità di marca buddista-tibetana, con ampi e ripetitivi spazi dedicati alla visione panteista del microcosmo umano come parte integrante dell’universo, sostando qua e là tra le profondità dei pensieri di Gandhi. Tutto espresso e trasmesso, ahimè, come un logorroico fiume in piena, quasi si trattasse di un seminario di didattica collettiva. Al povero Folco (Elio Germano) e

    alla moglie Angela (Erika Pluhar) è toccato il ruolo di rispettosi spettatori con ben poco da fare se non arginare e sostenere questa ingombrante e asfissiante presenza, assolutamente dominante dall’alto delle sue teorie ed esperienze meditative che lo hanno portato ad un’Illuminazione neppure troppo consapevole, qui trattata all’acqua di rose. Storia, personaggio e i suoi contorni, compreso il protagonismo di una natura che avrebbe dovuto risaltare come l’anima del personaggio stesso, finiscono dunque per restare schiacciati e asfissiati dalla parola più che dai silenzi e dall’intensità irradiante dell’interiorità del protagonista, silenzi che pur non mancando, non si caricano abbastanza di quella pienezza che riscopriamo invece in numerose pellicole di marca orientale.

    Pressbook:

    PRESSBOOK in ITALIANO di LA FINE E' IL MIO INIZIO

    Links:

    • Elio Germano

    • Bruno Ganz

    • Andrea Osvàrt

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