THOR: IL NUOVO DRAMMA DI KENNETH BRANAGH SI PORGE COME AVVENTURA ANCHE IN 3D MA LA LEZIONE DI FONDO HA IL SAPORE ANTICO DELLA SCOPERTA DEL VERO EROISMO
Seconde visioni - Cinema sotto le stelle - RECENSIONE IN ANTEPRIMA - Dal 27 APRILE
Sceneggiatura:
Ashley Miller, Zack Stentz e Don Payne
Soggetto: Da una storia di J. Michael Straczynski e Mark Protosevich e dal fumetto di Stan Lee, Larry Lieber e Jack Kirby.
PRELIMINARIA:
Paramount Pictures e Marvel Entertainment presentano l’atteso adattamento cinematografico di Thor, un personaggio che fa parte del pantheon dei leggendari supereroi della Marvel che hanno ispirato intere generazioni di lettori.
L’epica avventura di Thor trasporta l’universo Marvel dal mondo d’oggi al mistico regno di Asgard. Al centro della storia c’è il Mitico Thor, un eroe forte ed arrogante, le cui azioni sprezzanti riaccendono un antico conflitto. Di conseguenza Thor viene bandito dal suo regno e catapultato sulla Terra, dove è costretto a vivere fra gli esseri umani. Quando l’essere più malvagio e pericoloso del mondo invia le sue forze oscure per invadere la Terra, Thor capirà cosa significa essere un vero eroe. Thor è il racconto del viaggio fisico e spirituale di un uomo, un principe presuntuoso destinato al trono, che imparerà il valore del comando, diventando un vero supereroe.
Thor (Chris Hemsworth), guerriero forte e potente quanto arrogante, con le sue azioni irresponsabili finisce per riaccendere un'antica guerra. Thor viene mandato sulla Terra dal padre Odino (Anthony Hopkins) ed è costretto a vivere tra gli umani. Una giovane e bella scienziata, Jane Foster (Natalie Portman), ha una profonda influenza su di lui, e finisce per diventare il suo primo amore. E' mentre vive sulla Terra che Thor impara cosa serve per diventare un vero eroe, e quando la persona più pericolosa del suo mondo, Loki, manda le sue forze oscure per invadere la Terra...
SHORT SYNOPSIS:
The powerful but arrogant warrior Thor is cast out of the fantastic realm of Asgard and sent to live amongst humans on Earth, where he soon becomes one of their finest defenders.
Commento critico (a cura di ERMINIO FISCHETTI)
Bisogna dire che Thor se li porta bene i suoi quasi cinquant’anni. Infatti, il fumetto creato dalla Marvel nel 1962 dai leggendari Stan Lee e Jack Kirby, che si ispira alla mitologia nordica raccontando del dio che vive nel regno celestiale di Asgard, ha alla sua base temi universali e sempre contemporanei. Era quindi fisiologico che prima o poi, in questo marasma di franchising che è diventato il cinema, per forza di cose su un’onda di restyling e contaminazioni, adattamenti e remake (che acquistano valore solo se hanno una loro identità che li decontestualizzi dall’originale), se ne facesse un film.
Però, non c’è niente di peggio che far dirigere una pellicola tratta da un fumetto ad un regista che depaupera il sottotesto letterario e ideologico a favore di una struttura fatta solo d’azione. Non è questo il caso, infatti la cosa migliore che la produzione potesse fare era quella di affidare
la regia ad un professionista che con questa tipologia di (non)sviluppo narrativo non c’entrasse nulla permettendo così di concentrarsi sulla pellicola anche su altri aspetti della struttura che non fossero solo il mero combattimento. All’inizio sentire il nome di Kenneth Branagh legato a quello di Thor può stupire chi non ha masticato molto le leggende del dio che brandisce il martello, ma chi le conosce sa bene che invece non poteva esserci sulla carta scelta più azzeccata. Infatti, alla base ritornano temi universali come vendetta, amore, sangue, potere che circolano come satelliti intorno ai conflitti familiari in una struttura narrativa di matrice spiccatamente shakespeariana; il conflitto fra fratelli per il regno paterno che si spacca per i loro conflitti, la figura di un padre morente che mette alla prova i due giovani permeano il tessuto del fumetto di storie intrise di materiale letterario complesso e multiforme, temi riutilizzati massicciamente anche
nelle pellicole di fantascienza della fine degli anni Settanta e degli anni Ottanta, seppure molto banalizzati, e dei quali si omaggia l’estetica di scenografie e costumi.
Alla fine resta una certezza: eccettuati i primi due Spider Man di Raimi, l’adattamento del fumetto al cinema voluto dalle case di distribuzione americane trova una sua estetica solo attraverso registi europei (o meglio inglesi), vedasi quel piccolo capolavoro di Kick-Ass. Anche se in questo caso siamo su registri più bassi, Branagh fa del suo meglio, ma contro la massificazione è dura combattere.