Katherine Vaskevich (Katya) Jerome Walter Stephens (Ibrahim) Brianna Eunmi Kim (Cammie) Paul Schneider (Courtney)
Musica: Alexi Murdoch
Costumi: John Dunn
Scenografia: Jess Gonchor
Fotografia: Ellen Kuras, ASC
Montaggio: Sarah Flack, A.C.E.
Casting: Ellen Lewis e Debra Zane
Scheda film aggiornata al:
25 Novembre 2012
Sinossi:
IN BREVE:
La storia di Burt e Verona, una coppia di trentenni che aspetta un bambino. La gravidanza procede bene fino a quando ricevono una notizia improvvisa e sconvolgente: gli eccentrici genitori di Burt annunciano che lasceranno il Colorado per trasferirsi in Europa. A questo punto, viene a cadere l'unica ragione per la quale avevano deciso di stabilirsi lì. Dove (e vicino a chi) dovranno mettere su casa per crescere il bambino in arrivo? I due ragazzi partono così per un viaggio che li porterà a far visita ad amici e familiari, in città diverse, per valutare tutte le possibili opzioni.
American Life è un titolo inappropriato quanto furbo per questo piccolo gioiellino di cinema indipendente. Infatti, oltre a riprendere l'insopportabile tradizione italiana di tradurre un titolo inglese con un altro titolo in inglese (perchè non lasciare il titolo originale se lo scopo non è quello di facilitarne la comprensione ad un pubblico che non conosce la lingua?), cerca più o meno velatamente di richiamare alla mente dello spettatore il più grande successo del regista American Beauty. Il fatto è che Away we go (titolo originale del film) ha veramente poco a che fare con l'opera prima di Mendes, e più in generale con la sua intera filmografia. Per la prima volta infatti ci troviamo davanti ad un film commedia che non ci risparmia momenti esilaranti ed episodi tragicomici, seppur con lo scopo di andare a trattare il tema tanto caro all'autore della famiglia e dell'impossibilità di costituirne una che sia all'altezza
delle proprie e delle altrui aspettative. In Away we go però questo argomento viene analizzato con la spensieratezza e la speranza che sono sempre mancate ai film del regista: gli innumerevoli pasti intorno al tavolo - ricorrenti nei suoi film quanto in tutti quelli che hanno caratterizzato la sua formazione cinematografica - non sono più silenziosi ed angoscianti, ma pieni di un'eccentrica vitalità che aiuta i personaggi ad esprimere non tanto la loro aggressività , quanto la loro irrazionale e a tratti irritante voglia di vivere, che va al di là di ogni schema preimpostato.
Burt e Verona riescono a non rimanere prigionieri di sè stessi e della società e attraverso l'espediente (abusato ma sempre adatto) del viaggio 'on the road' esplorano le proprie paure e tramutano le loro aspettative in realtà , comprendendo che non esiste un modello da seguire, un modo giusto in cui comportarsi, ma solo il "loro" modo, che
sarà quello migliore per crescere il proprio figlio. Il loro pellegrinaggio serve unicamente a scoprire che gli altri non sono affatto perfetti come credevano e che ognuno è vittima delle proprie debolezze e dei propri assolutismi. Questa volta però i personaggi non nascondono le loro imperfezioni dietro un'apparente perfezione esteriore, come accadeva in American Beauty o Revolutionary Road, ma abbassano le difese e gridano comicamente al mondo la loro inadeguatezza e la loro frustrazione. Il regista si fa così interprete della situazione attuale che non permette nemmeno più di fingere la felicità e ancora una volta trova il migliore dei mondi possibili lontano dagli Stati Uniti, in Canada, a Montreal. L'America che rappresenta sempre con tanta passione, ancora una volta delude le aspettative e spinge i personaggi e lo spettatore a spostare lo sguardo oltre il confine, oltre il fittizio sogno americano, per scoprire la bellezza della vita semplice, spontanea
e meno ipocrita di una coppia che nonostante i problemi si impegna giorno per giorno a costruire una famiglia sana ed è disposta ad accogliere "l'altro" a braccia aperte. I protagonisti infatti pensano di aver trovato proprio in loro la famiglia a cui ispirarsi, il luogo in cui poter mettere finalmente radici, ma un imprevisto li porta nuovamente lontano e rimanda ancora una volta il confronto con il dolore, con la fatica che comporta occuparsi di un essere umano, che sia un figlio o una coppia di amici in difficoltà . Alla fine però Burt e Verona fanno veramente il primo passo verso quella crescita personale che un giorno li porterà a diventare dei genitori responsabili; il primo occupandosi del fratello e la seconda prendendosi cura della nipote e affrontando il proprio passato.
A rendere il film così piacevole e coinvolgente contribuiscono in gran parte le performance degli attori, sia primari che
secondari. John Krasinsky e Maya Rudolph sono credibilissimi nella loro interpretazione della coppia imperfetta, in cui risulta tanto facile identificarsi e Maggie Gyllenhaal ed Allison Janney riescono come sempre a rendere profondi ed accattivanti dei personaggi tanto improbabili quanto realistici nella loro assurdità .
Mendes si conferma così un ottimo direttore di cast e grazie alla sua pluridecennale esperienza teatrale riesce a tirar fuori il meglio dai suoi attori, privilegiando la loro espressività rispetto ad ogni altro aspetto registico del film. Per la prima volta non si circonda dei collaboratori di una vita e avvalendosi di una troupe completamente nuova conferisce al film un tocco inedito e quanto mai inaspettato. I contrasti tra il bianco e il nero, il rosso e il blu e la fotografia curata a cui ci aveva abituati qui cedono il passo ad una rappresentazione della realtà meno patinata, più disincantata e simile ai personaggi che la popolano.
Come
i protagonisti, il paesaggio si mostra con la sua forza dirompente e con i suoi infiniti difetti che contribuiscono a renderlo familiare ed accogliente. Gli interni delle case sono pieni e claustrofobici, non più vuoti ed asettici, perchè c'è
qualcuno che li abita veramente, che non li considera delle prigioni, ma dei luoghi caldi in cui tornare e rifugiarsi la sera. Gli spazi aperti e quelli chiusi si alternano con la stessa frequenza in cui si muovono Burt e Verona offrendoci di volta in volta uno scorcio della vita che sarebbe possibile vivervi. La macchina da presa segue le vicende in maniera discreta, lasciando ai personaggi l'onere di raccontare la storia. I movimenti sono fluidi e calcolati, in modo di non interferire con gli avvenimenti, cosicchè lo spettatore possa seguire il viaggio della coppia come se vi stesse assistendo dal vivo e il mezzo freddo che si frappone tra lui e
la narrazione scompaia.
Il finale non può non includere una finestra, il filtro che Mendes frappone sempre tra la realtà che vivono i suoi personaggi e la realtà effettiva, ma se prima tutti vi si nascondevano dietro o vi si bloccavano davanti, ora la attraversano, abbattendo così l'ultimo ostacolo che li divide dalla libertà , dalla consapevolezza e dalla piena realizzazione personale.