PANDORUM - L'UNIVERSO PARALLELO: LA TERRIFICANTE STORIA DI VARI EQUIPAGGI (TRA CUI L'ASTRONAUTA DENNIS QUAID) BLOCCATI IN UN GIRO DI NAVIGAZIONE FORZATA CHE SEMBRA NON AVERE VIA D'USCITA.
RECENSIONE - Dal 6 AGOSTO
"(Pandorum) Un disturbo psicologico causato da forte senso di claustrofobia che si prova a bordo di un'astronave e che provoca nevrosi e manie di grandezza".
L'attore Ben Foster
"Psicosi da spazio profondo, del tipo più terrificante; in sostanza claustrofobia unita all'assunzione di acidi.
Il produttore Paul W. S. Anderson
(Pandorum USA/GERMANIA 2009; thriller fantascientifico; 108'; Produz.: Constantin Film Produktion/Impact Pictures; Distribuz.: Eagle Pictures)
Due astronauti si risvegliano in una camera di ipersonno a bordo di un’astronave apparentemente abbandonata. E’ buio pesto, sono disorientati, gli unici rumori percettibili sono quelli di un rombo sordo e di un cigolio, che scoprono provenire dalla pancia dell’astronave. Gli astronauti non ricordano nulla: Chi sono? Quale sarà la loro missione? Guidato per mezzo di una radiotrasmittente dal Tenente Payton (Quaid), Bower si avventura all’interno dell’astronave e pian piano inizia a scoprire una realtà terrificante: qualcosa a bordo dell’astronave ha iniziato una caccia e loro sono la preda. Questa entità sconosciuta farà qualsiasi cosa pur di assicurarsi che nessuno di loro sopravviva. Nel frattempo, Bower scopre la presenza di altri due astronauti a bordo, anche loro intrappolati nel loro stesso incubo: Sono Manh (Le) e Nadia (Traue). Assieme, i quattro astronauti lotteranno per sopravvivere e per sfuggire alle oscure forze intenzionate a distruggerli. Lentamente e inesorabilmente, gli sconvolgenti e letali segreti dell’astronave verranno rivelati uno ad uno … e, finalmente, gli astronauti scopriranno che la loro sopravvivenza è molto più importante di quanto avrebbero mai potuto immaginare.
Dal >Press-Book< di Pandorum-L'universo parallelo
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
UNA STORIA DI RESPIRO ATAVICO PROIETTATA IN UN FUTTURO NON TROPPO LONTANO DAL NOSTRO OGGI, LA’ DOVE ALLE RADICI DI TUTTO C’E’ L’ANNOSA QUESTIONE, IN CONDIZIONI ESTREME (QUI E’ IL ‘PANDORUM’ DA CLAUSTROFOBIA), DELLA MORTE DI OGNI INIBIZIONE MORALE IN NOME DELLA PURA SOPRAVVIVENZA. COSI’ IL FUTURO AZZERA OGNI TEMPO TRASCORSO, OGNI CULTURA O FRENO INIBITORIO, MORALITA’ O ALTRA RESIDUA ANCORA DI SALVEZZA, PER RICONGIUNGERSI ALLA PRIMORDIALITA’ DI OGNI SINGOLA ESISTENZA
Si apprezzano anche in un periodo di ‘calma piatta’ come questo, in quanto ad affluenza al cinema da parte del pubblico italiano, i rari rigurgiti di fantascienza che, dopo lunga assenza, sembra far gradualmente ritorno sulla celluloide. E’ in imminente uscita anche Splice di Vincenzo Natali che proprio in materia di ‘respiro claustrofobico’ ha già dimostrato di sapere il fatto suo (The Cube). Agosto in Italia è per noi italiani il mese più idoneo alle seconde visioni da ‘cinema sotto
le stelle’ piuttosto che ai ‘rariora’ sci-fi in sala climatizzata. Ma dopo i gloriosi trascorsi in celluloide, tra cult classici - da Il pianeta proibito, il primo a manifestare la ‘bestia’ che giace nel profondo dell’essere umano pronta a tornare a galla in condizioni di estremo, sul piano temporale, isolamento, al primo Solaris, al mitico 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick o ad Alien di Ridley Scott, fino a Io sono leggenda di Richard Matheson rivisitato di recente da Francis Lawrence o La strada di Cormac McCarthy portato sulla celluloide da John Hillcoat - si riesce ad apprezzare in qualche modo anche il tentativo odierno da parte del giovane regista del thriller psicologico Antibodies e del recente Case 39 (appena uscito in DVD) Christian Alvart, che di quei classici sembra avere fresca memoria. Non importa quanta strada si sia fatta se si hanno le idee chiare e proprio
questi suoi due precedenti in celluloide hanno evidentemente dato il la sull’’Alvart Touch’ in fatto di stile. Così, per questo Pandorum - L’universo parallelo, in cui riprende il target di genere ‘thriller psicologico’, Alvart vira e approda sulla dimensione spaziale già battuta, senza pretese di marcata originalità , riuscendo d’altra parte a conferire alla pellicola un discreto livello tensivo mantenuto quasi costantemente dall’inizio alla fine di questa storia che, potremmo definire, fondamentalmente atavica, concettualmente parlando.
Cavalcando il respiro assolutamente dark, cadenzato fin dagli inizi con il traumatico risveglio dall’iper-sonno nelle capsule, con i conseguenti, canonici effetti collaterali di perdita di memoria, alterazioni psico-sensoriali-reattivo-comportamentali, Alvart è all’ambientazione ‘claustrofobica’ portata fino all’estremo che affida il ruolo di ‘prima donna’: il suo interessante talento riguardo ai movimenti di macchina da presa l’affianca per fare il resto. Il cast è piuttosto corale e al completo servizio della storia, fatta eccezione per le due punte di
diamante cui neppure Alvart riesce a rinunciare. Una di queste due punte è Ben Foster (l’interprete di The Messenger-Oltre le regole), il primo a risvegliarsi da quel che si profilerà davanti ai suoi occhi ‘incubo nell’incubo’, ma di lì a poco avrà degnissima compagnia: il secondo a risvegliarsi è nientemeno che Dennis Quaid quale Tenente Payton, rusticissimo ‘esemplare’ ammantato nel suo naturale look da uomo dell’era primordiale. L’effetto sembra studiato ad hoc, alla luce di quel che succederà nell’immediato, sull’onda di quella disfunzionalità mentale-nevrotica in progress denominata Pandorum, indotta per l’appunto da un forte e prolungato senso claustrofobico. La psicosi da spazio profondo tende a portare alle origini, ai primordi dell’uomo, là dove le griglie e i limiti comportamentali su base morale erano, come dire, alquanto più elastici, proprio in virtù della assoluta regalità conferita alla sopravvivenza, l’unico bene assoluto da perseguire e salvaguardare, punto e basta. Ma in situazioni
estreme - e non è sempre la claustrofobia a provocarlo - l’istinto primordiale, selvaggio, della sopravvivenza, prende di nuovo il sopravvento (ricordate l’episodio Una freccia verso il sole della serie anni Sessanta Ai confini della realtà ? Per un po’ d’acqua si lascia morire un uomo ferito, la moralità scompare fino ad arrivare ad uccidere il proprio prossimo per poi scoprire che il gruppo, ridotto ad un solo uomo, reso avido e insano dalla disidratazione sotto il sole cocente, non era finito su un altro pianeta ma si trovava ancora sulla Terra. In tutta semplicità il concetto che lì si esprimeva era proprio quello).
A togliere d’impaccio Alvart sull’evidente pericolo di limitarsi a seguire binari già ampiamente - e alle volte anche autorevolmente - percorsi prima di lui è proprio, per così dire, il suo stile di guida, attraverso la scelta di sequenze corte e rapide, animato dalla costante preoccupazione di
coprire le scene da ogni angolatura con scatti alquanto repentini. E’ lo stesso Ben Foster ad informare che alle volte c’erano 72/75 inquadrature per ogni scena. Una sorta di mosaico fatto di tanti piccoli frammenti che dovevano poi incastonarsi l’uno a fianco dell’altro e far funzionare l’effetto d’insieme. Quel che si dice un’impresa alquanto impegnativa e d’altra parte rispondente al meglio all’atmosfera generale, così come al respiro dei nostri protagonisti - spuntano gradualmente altri in numero crescente - intrappolati in un’astronave di inimmaginabili proporzioni, braccati e ferocemente inseguiti da mostri ‘halloweeniani’, ovviamente cannibali, di cui abbiamo variamente già fatto conoscenza (anche con il recente, succitato, Io sono leggenda). Ma Alvart ha almeno il buon gusto di evitare la ripresa piena e letterale, di muoversi per frammenti e a scatti, appunto, con repentini movimenti di macchina che per lo più ammiccano e lasciano solo intravedere: ad eccezion fatta per la suggestiva
sequenza - metaforica di un inferno ripensato come possibile in un non lontano futuro - in cui Foster, ammantato in putride spoglie per nascondere il naturale odore umano, cammina sui corpi e sulle teste dei mostri addormentati in una sorta di nuova alcova degli inferi (Alvart avrà sicuramente letto l’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri) per raggiungere il reattore da resettare. Un’altra The Descent – Discesa nelle tenebre che non si fa mancare il suo ‘Benvenuto all’Inferno!’. E malgrado tutto, neppure a questo oceano dark, in cui il nero sembra il colore preferito da Alvart nella tavolozza che ha selezionato per il suo mosaico di paura dallo spazio profondo - non a caso il film inizia con la voce fuori campo a schermo nero e in seguito largheggiano scorci visivi di primissimi piani parziali su fondo nero - si nega una luce in fondo al tunnel.