LETTERS TO JULIET: SULLA SCIA DELLA SHAKESPEARIANA GIULIETTA E DELL''AMORE-CORAGGIO' AMANDA SEYFRIED, VANESSA REDGRAVE, FRANCO NERO E UN'ITALIA DA CARTOLINA TRA LA NORDICA VERONA E LA SOLARE TOSCANA APPUNTATE SULLA BACHECA DEL ROMANTICISMO
RECENSIONE IN ANTEPRIMA - Dal 25 AGOSTO
“La cosa meravigliosa di questa tradizione (quella del cortile) e dell’amore in generale, è che ci vogliono credere tutti... La cosa che trovo più interessante, complicata ed universale, è ciò che concerne i rapporti fra le persone e le loro emozioni. Per alcuni è come se la loro vita fosse una scacchiera. Sono su un quadrato e si spostano in quello accanto a causa delle circostanze. Ma immaginate cosa significherebbe cambiare la propria vita solo in base al coraggio, e fare un importante salto senza essere spinto".
Il regista Gary Winick
(Letters to Juliet USA 2010; commedia romantica; 105'; Produz.: Applehead Pictures/Summit Entertainment; Distribuz.: Eagle Pictures)
Una giovane coppia in viaggio in Italia legge un messaggio indirizzato a Giulietta scritto da una donna in cerca di un suo antico amore, incontrato proprio in Italia molti anni prima. La giovane decide così di recarsi in Toscana per ritrovare l'amore perduto della donna misteriosa.
IN DETTAGLIO:
La semplice percezione dell’amore romantico può spingere una persona a provare la sua vitalità , la sua risonanza e infine il coraggio che ci vuole per non giocare solo sul sicuro, per cambiare la propria vita. Questa è l’idea che alimenta la commedia romantica Letters to Juliet.
Sul muro del balcone di Giulietta a Verona donne di tutto il mondo scrivono le loro lettere sulle loro pene amorose. Le sue segretarie, facenti parte di un club composto da volontarie, rispondono a tutte le lettere che vengono attaccate sul muro o vengono spedite.
Una commedia romantica, che trae spunto da questa iniziativa e ovviamente dalla tragedia shakespeariana immortale di Romeo e Giulietta e che racconta di un amore antico e perso e un amore che sta per nascere. Passato e futuro si intrecciano tra i vicoli della nostra Verona e la campagna toscana e di positivo non c’è che lo splendido aspetto da cartolina di un’Italia da esportazione, che esiste solamente nell’immaginario del turista medio americano.
La commediola di Gary Winick è un prodotto melenso e scialbo realizzato per un pubblico ingenuo e anestetizzato dove a spiccare sono una serie di difetti che si dipanano in moltissimi
aspetti della sua realizzazione, a cominciare da una sceneggiatura mediocre, scritta da Jose Rivera e Tim Sullivan (autori dal passato ben più glorioso, il primo candidato agli Oscar per I diari della motocicletta, il secondo notato con i melodrammi britannici Il matrimonio di Lady Brenda e Monteriano - Là dove gli angeli non osano metter piede), e due protagonisti antipatici, insulsi, anonimi, biondo-slavati, privi di attrattive e mediocri in tutti i sensi possibili (il repentino successo di Amanda Seyfried da Mamma Mia! in poi resta un mistero inspiegabile, tra l’altro lanciatissima e impegnata in una serie di progetti di dubbio interesse l’abbiamo già sopportata recentemente nell’altrettanto pessimo Dear John, regia di Hallstrom su romanzo strappalacrime di Nicholas Sparks, e nel poco più che mediocre Chloe, thriller del talentuoso - tranne in questo caso - Atom Egoyan con una splendida e sprecata Julianne Moore, mentre questo Christopher Egan peggiore non lo
sapevano trovare e con un po’ di fortuna non farà strada).
produttore di vino che gestisce nel 2010 la sua azienda come se fossimo nel 1910 con tanto di abbigliamento del periodo, cavallo e tavolo in legno sul quale mangia a capotavola contornato da tutta la sua progenie e una moglie defunta, santa donna, che non può non chiamarsi Rosa.
Un discorso privato e professionale a parte andrebbe fatto sulla coppia Vanessa Redgrave - Franco Nero, che come nella realtà si ritrovano sulla scia del perduto amor, a suo tempo consumato, poi perso, poi successivamente ritrovato, coronato come ogni favola che si rispetti nel matrimonio. Fermo restando che è veramente un dolore di cuore vedere la povera dama del cinema inglese e americano implicata in un lavoro del genere, che pur brillando ovviamente della luce del suo stile e della sua eleganza inimitabile, sembra purtroppo un povero fantasma perso e distratto e fa ancora più tenerezza se si pensa che è stato il primo film al quale l’attrice
ha partecipato dopo la prematura e accidentale scomparsa dell’amata figlia Natasha (Richardson). C’è da dire che l’arte imita la vita, ma la imita veramente male e senza alcuno stile.