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    SHADOW: DOPO LA COMMEDIA GROTTESCA 'NEROBIFAMILIARE' FEDERICO ZAMPAGLIONE REALIZZA UNA PELLICOLA INTERNAZIONALE IN OMAGGIO ALLO SPAGHETTI-HORROR DEGLI ANNI SETTANTA-OTTANTA

    I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - RECENSIONE - Dal 14 MAGGIO

    (Shadow ITALIA 2009; Thriller Horror; 80'; Produz.: Blu Cinematografica; Distribuz.: Bolero Film)

    Locandina italiana Shadow

    Rating by
    Celluloid Portraits:




    Titolo in italiano: Shadow

    Titolo in lingua originale: Shadow

    Anno di produzione: 2009

    Anno di uscita: 2010

    Regia: Federico Zampaglione

    Sceneggiatura: Federico e Domenico Zampaglione, Giacomo Gensini

    Soggetto: Il film si ispira ad un episodio capitato realmente allo stesso regista mentre si trovava in bicicletta con la sua compagna nei boschi.

    Cast: Jake Muxworthy (David)
    Karina Testa (Angeline)
    Ottaviano Blitch (Fred)
    Chris Coppola (Buck)
    Nuot Arquint ((Mortis)
    Emilio De Marchi (Dottore)
    Matt Patresi (Sergente americano)
    Giampiero Cognoli (avventore)

    Musica: Federico Zampaglione, The Alvarius

    Scenografia: Davide Bassan

    Fotografia: Marco Bassano

    Montaggio: Eric Strand

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    David (Jake Muxworthy) è un giovane soldato tornato da poco dall'Iraq che sta subendo i postumi dei traumi vissuti in guerra. Deciso a superare quella difficile fase della sua vita parte per un tour in Europa. E proprio quando si trova immerso nella tranquillità dei boschi del centro Europa David incontra Angeline (Karina Testa). I due giovani condividono percorsi in bicicletta ma cadono ben presto vittime di due spietati cacciatori che prendono ad inseguirli con l'intento di ucciderli. A David sembrerà che le atrocità della guerra siano servite a spianare la strada per un incubo acor peggiore.

    Commento critico (a cura di ENRICA MANES)

    Ricordate quei film anni ottanta in cui l’orrore, o meglio, il terrore e la paura erano sotto casa, in agguato come animali feroci che potevano colpire durante una vacanza, o cogliere indifesi in foreste buie immerse nelle nebbie, ed avrete l’inizio della storia.

    Né flash back e né flash forward, Zampaglione non lascia nulla al caso, allestisce una fitta rete di rimandi e dettagli, una fitta linea di cui la vicenda vive, grazie a sapienti citazioni, coltissime e tratte dal cinema di genere più raffinato.

    Difficile poter fare di meglio.

    Un inizio che riecheggia il celebre incipit di Shining, la montagna, la strada, il viaggio, solo che questa non è una strada che crea un intaglio serpeggiante sul crinale, ma sale quasi diritta, in mezzo a pascoli verdi che non sono un posto solo, ma potrebbero essere moltissimi. Ciò che importa non è il luogo, né l’ambiente riconoscibile, perché spazio e tempo, come

    la legge di questo genere thriller detta, sono dilatati e indefiniti e vittime indiscutibili del sogno.

    Onirico come il recente Antichrist di Lars Von Trier, Shadow si ciba dei modelli cui questo genere si ascrive ed in cui la natura è matrigna nel risvegliare gli istinti primordiali ed il male dell’uomo.

    Tutto inizia come il più classico dei thriller anni ottanta, quelli che sul finire del secolo appena trascorso, venivano talvolta presentati nelle serate del sabato sera, vere e proprie chicche di un filone narrativo cinematografico che presenta la coppia alle prese con il dolore, l’avventura che si trasforma in una caccia all’uomo, con sparatorie, furibondi inseguimenti, avvistamenti, smarrimento fisico o dell’anima, e la ricerca di pace e di serenità che diviene presto un incubo da vivere fino in fondo.

    Così Zampaglione conduce attraverso il cifrario naturale, spettatore e protagonisti in un intricato gioco di segni, perché dove inizia un genere, se ne

    colloca subito un altro non lasciando alcuno spazio alla giustapposizione.

    La casa dell’orco è nel buio del bosco, in una radura, come nelle peggiori fiabe, meta ultima dopo la folle corsa verso la salvezza, e il topos è quello di Pollicino che arriva, dopo un lungo peregrinare - che per il David qui protagonista è un ritmo serrato di cadute, spari e corse, ritmato dalla colonna sonora tamburellante - ad una casa nel bosco, attirato da una luce accesa. E qui, ad accogliere il malcapitato ci sono anche i fari di un pickup, occhi malevoli e assassini, un altro tassello del cifrario classico del thriller.

    Ma la casa non è soltanto una villa degli orrori.

    Qui il punto di vista del regista si muove in più direzioni, si sdoppia e si immerge in una plurivocità di simboli e di significati presentati tutti allo spettatore che resta avvinto dalla trama che sembra una

    cosa ma ne diventa un’altra.

    La natura, la morte, la vita, il sogno, è tutto qui e l’abilità di Zampaglione sta nel non porre un freno all’interpretazione, ma a giocare con gli specchi e coi rimandi, ricreando un gioco del tutto nuovo che stupisce perché non è mai come sembra.

    In un primo confronto con la parte iniziale, il salto di genere sembra netto ma non è così, poichè è soltanto una delle tante sfumature ad essere veicolata e svelata mano a mano.

    Ci troviamo davanti al terzo genere che Zampaglione cita e dal quale attinge, quello recentemente molto diffuso dell’horror masochistico-patologico in cui a colpire è un essere malato che per vendetta colpisce uomini sulla cui coscienza grava una colpa; ma qui si va oltre. Non si tratta più di una lotta contro umani, né contro le paure recondite dell’animo, ma una vera corsa contro la morte, una Morte che assume le

    sembianze delle stesse paure e delle colpe degli uomini, dei delitti più efferati, dei mali del mondo e della storia, di tutte le guerre, di tutti i crimini messi in atto. Perché dove l’uomo uccide, la Morte è lì, a montare una pellicola che può essere rivista molte volte e resta nell’archivio nero della storia. La Morte secondo Zampaglione ha i mille volti delle vittime dei crimini, dei prigionieri dei campi di concentramento, dei dittatori di ogni tempo e paese, il ghigno malevolo e le sembianze smagrite di un alieno, della Morte alla Bergman ne Il settimo sigillo.

    Si sospende il giudizio sulla morte, come sulla guerra; i ruoli, d’altra parte, sono molto chiari fin dal principio, buoni e cattivi, e il protagonista non a caso è un reduce di guerra. Uno che gli orrori li ha vissuti ed ora desidera soltanto ritornare a casa. Ma The Shadow è il suo

    passaggio obbligato e, giusto per non lasciare da parte nessuno dei sapienti simboli e dettagli che Zampaglione semina come indizi di questo universo a tratti espressionista in cui la vita è sogno (tema caro a tutta la cultura filosofico-letteraria tra ‘600 ed ‘800), ad accoglierlo c’è un oste che gli offre da bere… o forse no.

    La morale e la visione del mondo, d’altra parte, è molto vicina a quella cara a Stephen King, perché non importa dove e quando, e perché gli uomini davanti al male ed alla ferocia sono tutti uguali e tutti vittime o carnefici.

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    Galleria Video:

    Shadow - trailer.flv

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