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    SCHINDLER'S LIST

    Giorno della Memoria 2023 - RECENSIONE - Liam Neeson nazista dal cuore d'oro, Ralph Fiennes gerarca cinico e folle, Ben Kingsley contabile ebreo polacco, nel piu' bel film dell'intero percorso spielberghiano. Un film da 7 OSCAR!

    Già scelto come il film più rappresentativo di tutti i tempi per onorare la Giornata della Memoria: I bellissimi di ‘CelluloidPortraits’

    "Ho l'impressione che la sua (di Schindler inizialmente) fosse di riempire la sua cassaforte dei profitti della guerra... Poi credo ci sia stata una lenta evoluzione che lo trasformò in un grande essere umano. E gli ci vollero un bel pò di anni per rendersi conto di quello che stava succedendo attorno, per capire, anche in fondo al cuore, che se non si trovava dall'altra parte, tra le vittime, era soltanto per caso... Avevo maggiori qualifiche per fare questo film che per qualsiasi altro film abbia fatto, penso anche a 'E. T.' e a 'Incontri ravvicinati del Terzo Tipo'. Le mie vere radici sono qui (in 'Schindler's List') 'Schindler's List' è certamente controcorrente rispetto al genere di film che sono abituato a fare. Ho cercato di essere un cronista più che un regista appassionato, coinvolto emotivamente, perché voglio trasmettere informazioni... Con questo film non voglio riaprire vecchie ferite, ma incoraggiare a un risveglio. I giovani che vedono il film al cinema e a scuola, se anche non capiranno immediatamente che cosa fu l'Olocusto, almeno dovrebbero essere stimolati a fare domande, a leggere, a chiedere agli insegnanti di parlargliene".
    Il regista Steven Spielberg

    (Schindler's List; USA 1993; Biopic storico-drammatico; 195'; Produz.: Universal Pictures/Amblin Entertainment; Distribuz.: UIP)

    Locandina italiana Schindler's List - La lista di Schindler

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    Celluloid Portraits:



    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: Schindler's List - La lista di Schindler

    Titolo in lingua originale: Schindler's List

    Anno di produzione: 1993

    Anno di uscita: 1993

    Regia: Steven Spielberg

    Sceneggiatura: Steven Zaillian

    Soggetto: Dal romanzo omonimo di Thomas Keneally.

    Cast: Liam Neeson (Oskar Schindler)
    Ben Kingsley (Itzhak Stern)
    Ralph Fiennes (Amon Goeth)
    Caroline Goodall (Emilie Schindler)
    Jonathan Sagalle (Poldek Pfefferberg)
    Embeth Davidtz (Helen Hirsch)
    Malgorzata Gebel (Victoria Klonowska)
    Shmulik Levy (Wilek Chilowicz)
    Mark Ivanir (Marcel Goldberg)
    Beatrice Macola (Ingrid)
    Geno Lechner (Majola)

    Musica: John Williams

    Costumi: Anna Biedrzycka Sheppard

    Scenografia: Allan Starski

    Fotografia: Janusz Kaminski

    Montaggio: Michael Kahn

    Makeup: Christina Smith (supervisore); Pauline Heys e Jane Royle (Regno Unito); Waldemar Pokromski (Polonia)

    Casting: Tova Cypin, Lucky Englander, Fritz Fleischhacker, Liat Meiron, Magdalena Szwarcbart e Juliet Taylor

    Scheda film aggiornata al: 28 Gennaio 2023

    Sinossi:

    Cracovia, 1939, poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, una volta terminata l'invasione della Polonia, gli ebrei polacchi che risiedono nei dintorni della città sono obbligati a recarvisi per essere registrati e schedati. L'enorme afflusso di persone induce l'imprenditore tedesco Oskar Schindler ad approfittare del divieto imposto agli ebrei di avere attività commerciali, al fine di trovare il denaro necessario per impiantarvi un'azienda che produca pentole e tegami da fornire all'esercito tedesco.

    La sua abilità nelle pubbliche relazioni lo porta in breve tempo a stringere rapporti con i vertici delle SS, che amministrano il territorio occupato, con un giovane borsista nero, con l'incarico di reperire merci rare da utilizzare come regalie, per ottenere i permessi necessari per iniziare la sua attività e soprattutto con un contabile ebreo, Itzhak Stern, in quel momento impiegato presso lo Judenrat Cracovia, il Consiglio ebraico, ma in passato amministratore di una fabbrica, che si incaricherà di reperire le somme necessarie per iniziare la nuova attività; lo scetticismo dell'anziano contabile nei suoi confronti è evidente ma, riscontrate le sue intenzioni ed i possibili vantaggi che deriverebbero per i cosiddetti "investitori", acconsente di farlo incontrare con alcuni anziani ebrei che, in cambio di merci da scambiare al mercato nero, gli forniranno il denaro necessario.

    Esaurite le formalità burocratiche viene inaugurata la Deutsche Emaillewarenfabrik (DEF), dove quotidianamente più di mille lavoratori ebrei, molti salvati dalla deportazione nei campi di concentramento dallo stesso Stern, tra i quali insegnanti, intellettuali o scrittori, ritenuti "non necessari" dalle autorità naziste, vi si recano a lavorare, godendo di una posizione privilegiata rispetto alla maggioranza della popolazione ebraica, costretta a vivere in condizioni estremamente difficili all'interno del ghetto, mentre l'imprenditore inizia ad accumulare grandi quantità di denaro, grazie anche all'apertura del nuovo fronte ad est.

    La situazione sembra essere avviata, nonostante maltrattamenti ed esecuzioni sommarie da parte delle SS, ad una sorta di stabilità ma in città giunge l'untersturmführer Amon Göth, con l'incarico, nel quadro dell'Operazione Reinhard, di avviare la costruzione del nuovo campo di concentramento di Kraków-Plaszów, e di liquidare l'eccedenza di persone ammassate nel ghetto di Cracovia e Schindler è costretto non soltanto ad assistere impotente al massacro che si svolge sotto i suoi occhi ma anche a subire l'arresto della sua attività, non potendo più utilizzare la manodopera che gli era stata concessa fino a quel momento.

    Temendo per la fine dei propri affari e del proprio arricchimento, ma anche preoccupato per la sorte delle persone a cui ha cominciato ad affezionarsi, l'imprenditore modifica la produzione della fabbrica, portandola da civile a militare, iniziando a produrre armamenti quali munizioni e granate, traendo beneficio dalla benevolenza, ben ricambiata, del comandante del campo e continuando in questo modo ad avere il sostegno delle SS e la loro protezione, ed allo stesso tempo reclutando ulteriore personale ebraico, tra i quali i figli degli internati, per preservarli dalle deportazioni.

    Con l'approssimarsi delle truppe sovietiche tuttavia, il comandante Göth riceve l'ordine da Berlino di riesumare ed incenerire i resti degli ebrei assassinati nel ghetto, di smantellare il campo di Plaszów e di trasferire gli ebrei sopravvissuti nel campo di concentramento di Auschwitz, allo scopo di occultare le prove dello sterminio di massa, e Schindler, raggiunto dalla moglie dopo un periodo di libertinismo, sembrerebbe intenzionato a smantellare la sua attività ed a fare ritorno in Cecoslovacchia, suo paese natale, ma la sua coscienza gli suggerisce di "comprare" i suoi lavoratori, pagandoli uno ad uno a Göth, compilando insieme a Stern una lista di coloro che saranno salvati, per trasferirli nella zona di Zwittau-Brinnlitz, in Moravia, al riparo dal sicuro destino del cosiddetto "trattamento speciale", ossia la soluzione finale, e solo allora l'anziano contabile prende totalmente coscienza di ciò che l'imprenditore sta realizzando.

    Tutto sembra procedere ma un errore burocratico modifica la direzione del treno su cui viaggiano le donne ed i bambini, che, invece di raggiungere il treno precedente su cui viaggiavano gli uomini, arriva ad Auschwitz; informato della notizia Schindler accorre e, grazie ad un'ulteriore corruzione, realizzata con la consegna di alcuni diamanti, al comandante del campo Rudolf Höss, riesce ad ottenere la loro liberazione ed il loro trasporto a Zwittau-Brinnlitz, dove alle SS assegnate alla fabbrica viene fatto divieto di uccidere o di maltrattare i lavoratori. Riavviata la produzione Schindler, pensando ingenuamente di accorciare la guerra, inizia a produrre proiettili non funzionanti, arrivando a comprare armamenti da altre industrie per rivenderli come sue, finché il denaro finisce.

    Terminata la guerra in Europa con la resa della Germania, Schindler, ancora ufficialmente membro del Partito Nazista, deve allontanarsi precipitosamente, al fine di evitare la cattura da parte dei soldati sovietici, non prima però di avere evitato l'ultimo inutile massacro da parte delle guardie tedesche, convinte, a dispetto degli ordini ricevuti, a fare ritorno a casa senza macchiarsi di una inutile strage. Al momento del commiato, gli operai gli consegnano una lettera da esibire nel caso venisse catturato, in cui spiegano che egli non è un criminale nazista ma che è stato l'autore della loro salvezza, ed oltre alla lettera, gli donano un anello in oro forgiato di nascosto, su cui è incisa una citazione del Talmud, "Chi salva una vita salva il mondo intero".

    Dopo che l'imprenditore è partito insieme alla moglie, il gruppo di ebrei, composto da più di mille persone, passa la notte all'interno dei cancelli della fabbrica, ed al mattino un soldato sovietico a cavallo annuncia loro la liberazione, tacendo mestamente, alla domanda di Stern, se siano rimasti ebrei in Polonia, informandoli che essi sono tuttavia sgraditi sia ad est che ad ovest, consigliandoli di fermarsi nella città più vicina. Le ultime immagini mostrano i superstiti, accompagnati dagli attori che li rappresentano, porre le pietre sulla tomba di Schindler, deceduto nel 1974.

    SHORT SYNOPSIS:

    Oskar Schindler is a vainglorious and greedy German businessman who becomes unlikely humanitarian amid the barbaric Nazi reign when he feels compelled to turn his factory into a refuge for Jews. Based on the true story of Oskar Schindler who managed to save about 1100 Jews from being gassed at the Auschwitz concentration camp. A testament for the good in all of us.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    Non sono tanti i film nella storia del cinema, dalle sue origini ad oggi, che ti entrano dentro come questo. Se esiste un dramma vero e vibrante che possa testimoniare, rievocando tanta cruda verità storica al cinema, questo è Schindler’s List, capolavoro tra i capolavori, e indubbiamente capolavoro assoluto di una vita dedicata da Steven Spielberg alla settima arte. Uno tra i più tragici capitoli di una storia che non avremmo mai voluto leggere sui libri, né vederne le incredibili pieghe nefaste, con i suoi infiniti cunicoli di oscurità ed abiezione morali, sul grande schermo. Avremmo preferito non doverne dolorosamente celebrare la memoria, ma la Storia non si cancella, neppure quando qualche folle tenta di negarla fuori tempo massimo. Fotografia, vicende, singole persone, intere famiglie, folle sgomente e terrorizzate, maree sterminate, l’espressione più tragica di un’umanità ‘stuprata’, ‘violata’ nella dignità e nei diritti più elementari, prima della fine. Ecco i

    primi protagonisti di una tragedia immane come la shoah, mentre ci si fa largo, di ghetto in ghetto, di lager in lager. E di tutto questo, rivisto al cinema in una girandola di momenti e di interpretazioni diversi, che ne ha fatto Steven Spielberg? Cosa ha fatto mentre scopriva una storia vera come quella di Schindler’s List? Ne ha filmato l’anima e gli è riuscito di farlo come mai nessuno prima e dopo nella storia del cinema, perché lo spettatore riesce a sentire a pelle ogni respiro, ogni tremito, ogni speranza vanificata, ogni vibrazione mossa da un terrore allo stato puro, che nasce dal profondo, in grado di far sentire freddo anche in piena estate, quando la neve che continua a cadere giù non ha più il candore del fenomeno atmosferico ma si tinge del grigio di una fuliggine che ha radici ‘umane’.

    Basterebbe l’inizio. Da manuale. Letterale ed altamente metaforico

    insieme. L’accensione delle candele in primo piano per il rito (Shabbat) della consueta preghiera ebraica in famiglia. Uno scorcio di umanità intimamente legata ad una sua spiritualità, lasciata andare sui titoli di testa prima di passare la parola alle candele stesse, rimaste sole in una stanza vuota: moccoli consumati pian piano finché non spirano definitivamente lasciando quel classico fil di fumo. E’ su quel fil di fumo che Steven Spielberg ne colloca in sovrimpressione un altro, ben più imponente, simbolo tragicamente inequivocabile. E non c’è bisogno di aggiungere o spiegare nient’altro, perché la storia ci ha già trasmesso quella tragica, atroce, verità. E verità è anche la chiave di lettura stilistica con cui Steven Spielberg apre la sua finestra sul suo Schindler’s List. Uno sguardo prolungato (195’) che richiede ad un musicista del calibro di John Williams di accompagnare questo ‘verismo’ con note che sono diventate l’emblema lirico di una

    sentenza di morte. Le struggenti note di una melodia che si fa strenua lotta per la sopravvivenza, laddove il confine tra la vita e la morte è spesso appeso al filo della insania mentale di qualche folle seduto sugli scranni di un temporaneo potere in tempo di guerra. Le note didascaliche nello Schindler’s List di Steven Spielberg sono invece ridotte allo scheletrico rispetto storico. Lo spazio è riservato interamente al filo dell’emozione teso fino allo spasimo in ogni persona, come un elastico che ha raggiunto il suo limite prossimo alla rottura. E lo sguardo è minimalista e preciso al punto da non lasciare nulla, ma proprio nulla, all’approssimazione narrativa o alla genericità dell’affresco epocale. A cominciare dalla sua vestizione, che lo definisce prima ancora che si presenti. Non parlano per lui tanto le camicie, le cravatte, i gemelli, il denaro che raccoglie, ma quella spilla, appuntata per ultima sulla sua

    uniforme. Lo vediamo di spalle, imponente tanto quanto il suo alto e nobile interprete. Ed è il tedesco nazista Oskar Schindler che prende il corpo e l’anima, immensa, espansa oltre ogni potenziale barriera, con un monumentale Liam Neeson, qui nel ruolo che resta la punta di diamante della sua intera e gloriosa carriera.

    La sua entrata in scena cambia la Storia. La vera Storia e per questo degna di essere raccontata sul grande schermo, il mezzo più potente di comunicazione per trasmettere di generazione in generazione un qualcosa che non può e non deve essere dimenticato. Oggi possiamo dire la perla più lucente per onorare una Memoria che non dovrebbe andare a Giornata. Come un’ape industriosa, Oskar/Neeson inizia a darsi da fare con strategici contatti per risollevare la propria situazione finanziaria, prima che eventi e persone non ne mutino per sempre scopi ed obiettivi. E mentre Oskar architetta modi e strategie

    per reclutare mano d’opera ebrea per la sua fabbrica di recipienti smaltati ad uso militare, l’obiettivo della macchina da presa allarga il campo su quel che succede nell’intorno. Ed è la visione endoscopica della nascita dei ghetti, di partenze forzate, di valigie preparate in fretta e furia con i beni più cari, più tardi smaltiti ad insaputa dei legittimi proprietari, in una sorta di frazionamento differenziato per generi, tra cui ori e argenti, protesi dentarie comprese. Proprietà immobiliari espropriate, devastazione ovunque, ma soprattutto lo sgomento personale di quei volti che ancora non immaginano ciò che li aspetta e che quello è solo il male minore. Volti che bucano lo schermo per disperazione o trepidante speranza. Volti che bucano lo schermo al punto da farci dimenticare che si tratta di una ricreazione artistica, perché il verismo di questo film, che d’altra parte scarta dal documentario in senso stretto, è del tipo

    che arriva a percuotere, a ferire e travolgere, fino ad ammutolire e a far provare lo stesso sgomento dei deportati. Un ritratto ad personam prima ancora che di massa. Volti neorealistici che non recitano, vivono letteralmente quel momento storico, fino a tirarci dentro il vortice in cui affetti e famiglie vengono disintegrati, spazzati via come in un tornado. Sono questi i momenti in cui la tragedia aguzza l’ingegno di adulti ma anche di bambini diventati improvvisamente grandi. Questi aspetti emergono con tutta la forza e i colori dell’arcobaleno di queste anime, a dispetto di una pellicola illuminata e illuminante dall’alto di uno splendido bianco nero e dalla superba sceneggiatura farcita da generosi dialoghi o, per meglio dire, latrati, nella madre lingua tedesca senza sottotitoli. E non solo di rigore lessicale si tratta, ma della miglior metafora di un qualcosa destinato a riecheggiare nell’eternità, come assolutamente inconcepibile, prima ancora che incomprensibile.

    E

    chi meglio di lui, tra molti altri sul campo, poteva incarnare il senso dell’inconcepibile e dell’incomprensibile? Ralph Fiennes tradotto nel gerarca nazista Amon Goeth, è un qualcuno, o, per meglio dire, qualcosa, di indefinitamente sospeso, tale da lasciare semplicemente a bocca aperta. E’ come un’ascia in attesa di calarsi sul ceppo, con la testa di chicchessia da spazzar via, non necessariamente con un perché. Sconvolgente come uno tsunami la sua interpretazione introversa, di poche parole, drammaticamente melliflua, stratificata nelle sottili sfumature multiple con cui va a vestire la schizofrenica linfa criminale che lo pervade come una febbre. Il tipo che spara alla gente per strada come se si trovasse al tiro a segno! Il tipo attratto dalla sua domestica ebrea (la Helen Hirsch di Embeth Davidtz), selezionata tra tante, con cui sa che non ha futuro e che percuote dandole la colpa, a seguito di un dialogo condotto da solo.

    Spuntarla su di lui non sarà affatto immediato né scontato per Schlinder/Neeson, e le dinamiche di trattative che tradiscono il tentativo di salvare le vite di centinaia di ebrei dalla inconsulta furia sterminatrice nazista, avanzando la copertura degli operai specializzati e necessari per la sua fabbrica, rivelano al contempo la struttura di una mente malata e il modo cui si può arrivare a circuirla. I rapporti umani, sempre più intensi, viscerali e minimalisti, senza perdere mai di vista lo scenario generale in cui, tra i vari lager di sterminio, non può mancare Auschwitz, sono proprio quelli che innervano lo Schindler’s List di Steven Spielberg. “Per legge devo dirle che sono ebreoâ€. E’ così che inizia il rapporto tra Oskar Schindler ed il futuro direttore della sua fabbrica Itzhak Stern, personaggio credo unico anche nella pur illustre carriera di Ben Kingsley. Sembra che Spielberg abbia contagiato ogni interprete in campo con

    la sua sofferta verità tradotta in sofferta verità. La verità per la verità. Uno scambio alla pari che al cinema suona quasi come un miracolo.

    A dire il vero Spielberg opera veramente un piccolo miracolo in seno al miracolo verista del suo cinema incarnato da Schindler’s List. Ed è la tanto celebrata immagine di bambina con il cappottino rosso che vaga tra la folla in attesa di essere deportata, in cerca del suo nascondiglio. Il nascondiglio impossibile di una salvezza fittizia solo temporanea prima di scorgerla esanime sopra un barroccio carico di morti. E’ sullo sguardo attonito di Schlinder/Neeson mentre la scorge - tra una folla spenta da una superba fotografia in bianco e nero desaturata e polverosa, vestita di quel suo cappottino rosso anemico e fumoso che la sovraespone - che si innesca la scoperta, il riconoscimento, della più straordinaria metafora. Metafora di tante cose, che scrivono in una sola

    immagine, il film nel film: un film che sa di sangue innocente versato senza logica alcuna, di identità e vita negate, all’ombra di un’infanzia mancata e senza futuro. E se colpiscono, schiaffeggiandoci fino a far provare vergogna, le dinamiche di questa storia rivissuta sul grande schermo, al cospetto di questa bambina e del suo cappottino rosso, il simbolo di un’icona elettiva che diventa il cuore della storia, vorremmo scomparire del tutto, come risucchiati dalla spirale di questa stessa visione surreale. Non ci si sente d’altra parte meglio di fronte a tutte quelle persone che impariamo a conoscere una da una, ridotte a masse di carne umana, accatastate sui treni per bestiame senza acqua né cibo e mandata al macello. In quegli stuoli di persone, nude e crude, nei loro corpi emaciati, denutriti, smagriti e privati di ogni dignità, traspare un’umanità allo stato larvale che sembra consumarci la vista mentre si

    rafforza la memoria.

    Di tanto sangue versato sulla scia di una febbre da follia omicida contagiosa, restano per l’appunto la memoria e, in alcuni casi, la testimonianza diretta, cui Steven Spielberg ama dar l’ultima parola. “La lista di Schlinder è vitaâ€. E questo valeva allora, come oggi. Può ancora dircelo la litania di persone sopravvissuta, quella vera, con le generazioni successive cui ha dato avvio. Persone che sfilano nel film, con i rispettivi nomi e cognomi, a rimarcare il recupero, ognuno della propria identità. Persone che, magia del cinema, emergono dalla profondità del grande schermo dopo la liberazione, a guerra finita, in cammino verso una nuova vita futura: persone che avanzano verso una nuova meta futura, fino a lasciarsi dietro le spalle il bianco e nero della memoria, acquisendo il colore della vita vera, del presente storico, mentre guadagnano il primo piano. Altro brano da manuale della cinematografia spielberghiana. E’ un

    avanzare che aggancia la verità ricreata della memoria alla verità della vita vissuta che, d’altra parte, quella memoria non può proprio dimenticare. Lo testimonia quella stessa processione di persone - sopravvissuti ed interpreti - che insieme sfilano per porre una piccola pietra sulla tomba di colui che ha pianto, si è rammaricato del suo egoismo per aver trattenuto per sé cose ed oggetti anziché venderli e riuscire così a salvare qualche vita in più. Così quando per l’eroe tedesco, denudatosi dei suoi beni per salvare vite umane diventa criminale di guerra braccato, e costretto alla fuga, non dimenticheremo mai quel suo appassionato commiato, ricreato in celluloide con quel pianto viscerale, così come non dimenticheremo mai il dono di quell’anello, simbolo di una gratitudine inesprimibile di tutti i sopravvissuti grazie al suo operato, celebrato nella frase dell’incisione: “chiunque salva una vita salva il mondo interoâ€. E se i discendenti degli ebrei

    della lista di Schlinder sono oggi più di 6.000, qualcosa Oskar Schlinder ha davvero concretizzato. E questa è Storia, non cinema. Ed è la Storia che ha generato e partorito il nostro Presente.

    Commenti del regista

    "SONO UN EBREO SUI GENERIS"

    "Prima mi vergognavo di essere ebreo. Adesso ne sono orgoglioso. Non so quando è avvenuto il cambiamento..."

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