Stasera, 13 Giugno, in TV, su Sky Romance, Canale Sky, ore 21.00 - Il film riunisce Ridley Scott e Russell Crowe dopo Il Gladiatore (2000)
"I produttori di vini fanno sicuramente una vita difficile ma se le cose vanno bene, possono avere delle ottime annate. E’ quello che direbbe un produttore di vini francesi: ‘E’ stata una buona annata’".
Il regista Ridley Scott
Dal >Press-Book< di Un'ottima annata - a good year
Commento critico (a cura di Patrizia Ferretti)
DELIZIOSA E FELICEMENTE RILASSANTE PELLICOLA, ROMANTICA MA NON SDOLCINATA, RESA ZAMPILLANTE DA UNA COMICITA’ LIEVEMENTE FRIZZANTE, COME QUALCHE BUON VINO D’ANNATA. APPARENTEMENTE COSTRUITO SU UNA MORALUCCIA ELEMENTARE E, PERSINO SCONTATA, ‘UN’OTTIMA ANNATA- A GOOD YEAR’ SI IMPONE ALL’ATTENZIONE COME IL GENERE DI ‘FILM-ALCOVA’ DOVE CI SI ACCOCCOLA VOLENTIERI, RESPIRANDO E ASSIMILANDO IL FIORITO BOUQUET DI UN’ATMOSFERA DA OASI DI PACE, LA’ DOVE I VIGNETI E IL VINO DI PROVENZA PORGONO UNA FILOSOFIA DI VITA CON UN’ANIMA SUA PROPRIA, IMBIBITA DI SINCERITA’ E ONESTA’. IDILLIACO AFFRESCO, PARAFRASATO IN APERTURA DA RIDLEY SCOTT, SULLA PUNTA DEL PENNELLO IMPRESSIONISTA DI MONET, IN GRADO DI CONTRASTARE, FINO AD INGHIOTTIRLA, L’OPPOSTA FEDE NEL DIO DENARO PROFESSATA DALL’INCALLITO ‘MAXIMILIONE’ RUSSELL CROWE, IMPAVIDO E CONVINTO ‘FABBRICATORE DI SOLDI’ FINCHE’ NON CADE SULLA (BENVENUTA) ‘BUCCIA DI BANANA’ DEI RICORDI D’INFANZIA: TRASCORSI CADENZATI DA UNA SANA E GENUINA MORALE DI CUI AVEVA PERSO LE TRACCE NEL DIMENTICATOIO PERSONALE, DESTINATI
A RIAFFIORARE, QUESTA VOLTA PER RESTARE, COME PER MAGIA.
Primo piano su delle ninfee, una barchetta solitaria. Ma dove siamo? In una pittura di Monet? La citazione dell’incipit di Un’ottima annata - A Good Year è tutt’altro che casuale, dovendo inoltrare lo spettatore nel cuore di una delle più fascinose regioni della Francia: la Provenza. E se pensiamo che il celebre pittore impressionista Monet, affascinato dai riflessi della luce sull’acqua e dalle sue variazioni, ha dedicato proprio alle Ninfee un’intera serie pittorica che gli è valsa la nomea di precursore dell’astrazione lirica, possiamo capire quanto questo si leghi a Ridley Scott, cultore e sperimentatore d’arte, e di pittura in particolare, fin dalla giovinezza. Ma, soprattutto, cogliamo al volo, fin dai primi fotogrammi del film, l’anima del soggetto che Ridley Scott ci teneva evidentemente a mostrare fin dalle prime istanze. Forse mai prima d’ora la campagna, i giardini, gli angoli più infrattati
tra il verde, oltre che nei ricordi di un’infanzia ormai perduta e lontana, furono così protagonisti come in questa deliziosa e felicemente rasserenante pellicola che Scott ha reso zampillante di una comicità lievemente frizzante, presumibilmente come alcuni dei vini d’annata qui tanto celebrati nei termini di vera e propria cultura. Ridley Scott e con lui la sua stella di punta Russell Crowe - che qui del temerario gladiatore Massimo ha conservato solo la radice comune del nome proprio, Max - sembrano aver riscoperto, con gusto, una vena romantica quasi d’altri tempi. L’eredità improvvisa di un Eden in quel di Provenza (scenari campestri da mille e una notte) sopraggiunta con la morte di un parente quasi del tutto dimenticato, ribalta, in una dinamica di tutto contrasto, la vita di Max che, con quel mondo vissuto nei trascorsi d’infanzia, si trova a riconfrontarsi “molte vendemmie dopoâ€, con il fermo proposito di liquidare
la faccenda con tanto di vendita e di relativo incasso. Ovvio che le cose andranno diversamente.
Indubbiamente romantico, ma non sdolcinato (come fu invece il caso di Il profumo del mosto selvatico), Un’ottima annata-A Good Year, apparentemente costruito su una moraluccia elementare, persino scontata, si impone all’attenzione come il genere di ‘film-alcova’ in cui ci si accoccola volentieri, quasi assimilando lo spirito ‘panteistico’ che trasuda dall’insieme, e di cui si respira tutto il fiorito bouquet, fin quasi a restarne risucchiati. Atmosfera da oasi di pace, là dove i vigneti e il vino sono di casa per farne gli onori, porgendo una filosofia di vita con un’anima sua propria. Non è un caso che si rimarchi il ‘carattere’ del vino, come sincero e onesto, l’unico in grado di dire la verità . Filosofia che poi finisce per essere la vera incontrastata protagonista di questo film, recuperata gradualmente da parte di chi ne
aveva smarrito ogni traccia nel dimenticatoio personale, alimentato da una vita modellata - un tantino di troppo - sul denaro. Condotta tradita persino, all’apparenza, dallo stesso soprannome di Max, ‘Maximilione’, nato invece da motivazioni un po’ più costruttive, legate in un certo senso al valore di una proprietà da conservare, coltivare, amare e veder crescere.
D’altra parte la metamorfosi avuta in età adulta da parte del ragazzino Max, cresciuto con lo zio Henry, un’ottima compagnia di gioco (dal nuoto, al tennis e agli scacchi), con il vino come cultura, è stata notevole: oggi Max, manager di borsa che chiama simpaticamente ‘mezze seghe’ i collaboratori subordinati - dal canto loro agguerriti soffiatori di poltrone di comando alla prima occasione - ha una sua ben diversa filosofia: “Vincere non è tutto, è l’unica cosaâ€. Un impavido ‘fabbricatore di denaro’ alla Borsa londinese nella cui mente, una volta a tu per tu con
i luoghi di infanzia, riaffiorano sempre più numerosi, i ricordi, con cui si ritrova, suo malgrado, a fare i conti, e sul serio. E di fronte a un tale idilliaco affresco, a chi non verrebbe voglia di trastullarsi qualche tempo? Una dimora-fattoria in stile agrituristico alla provenzale, dove le cantine appaiono ai nostri occhi alcove magiche senza tempo, in grado, appunto, di dissotterrare i ricordi più sommersi, e dove tavole imbandite con piatti tipici, presentati in dettaglio agli ospiti ( e allo spettatore), rubano la scena per pochi minuti per restare a lungo nel cuore e nei desideri inespressi dai palati più esigenti.
Non vi è dubbio sul fatto che Scott abbia lavorato molto su questo contrasto tra la dimensione ‘provenzal-campagnola’ e la ‘spietata dinamica del mondo degli affari di borsa’ nella Londra contemporanea, sfruttando però anche la vena ironico-comica tipica della commedia, in cui incastona peraltro divertenti personaggi spalla,
tra cui, ad esempio, la segretaria personale di Max. A Ridley Scott sono sufficienti poche rapide battute per tratteggiare fin dall’inizio i contorni di questa contrastante dualità , incarnata poi gradualmente dal personaggio di Max, così come non rinuncia al contrasto andando a chiudere la storia, orchestrato con il susseguirsi di nuove inquadrature sui personaggi o su scorci paesistici, giocati tra fermo immagine e breve scorrimento di pellicola, tra bianco e nero e colore. Una carrellata che sfuma la “Fin†(e) traccia, in rapida successione, senza tradire le note soft con cui si era avviato il tour, gli schizzi di un immaginario ‘story board’ per un ideale proseguo di percorso.
ALBERT FINNEY (lo zio Henry): "Max conserva dei ricordi dello zio che risalgono a quando trascorreva le vacanze con lui da bambino. E sono ricordi piacevoli, positivi che ci fanno capire che si divertiva molto a stare con lo zio Henry. Il giovane Max amava stare in compagnia dello zio e la filosofia che Henry impartisce al ragazzo ha a che fare soprattutto con il vino, anche se è comunque una filosofia che insegna a godersi la vita. E credo che sia un’ottima influenza per quel ragazzo".
FREDDIE HIGHMORE (Max da ragazzo): "Credo che il pubblico dopo aver visto il film riscoprirà i ricordi della sua infanzia. Il film spingerà tutti a guardarsi indietro e a considerare le cose che ci sono successe nella vita. Quando era un ragazzo, Max non si rendeva conto di quanto fossero importanti gli insegnamenti dello zio Henry ma una volta adulto, tornando in quei luoghi si rende conto di quanto abbiano contribuito alla sua crescita e a fare di lui l’uomo che è".
ABBIE CORNISH (Christie Roberts): "Christie è una ventunenne americana della Napa Valley in California. Ad un certo punto scopre che il suo vero padre è vivo e vive nel sud della Francia e di conseguenza decide di andare a trovarlo... Purtroppo, appena arrivata viene a sapere che Henry è morto ma incontra un cugino, Max, che non aveva mai sospettato di avere. Quando Christie arriva alla porta del castello, aggiunge un qualcosa alla situazione che cambierà Max. All’inizio lui non crede affatto che quella sia la figlia dello zio, e si tiene a distanza ma alla fine, i due personaggi troveranno qualcosa l’uno nell’altra che farà sì che vadano d’accordo".
MARION COTILLARD (Fanny Chenal): "... Fanny è la proprietaria del ristorante. E’ una donna con il cuore spezzato che ha deciso che la vita è molto più facile, e meno dolorosa, senza amore e si è organizzata la vita in maniera da non dover soffrire più. Il suo locale si chiama La Renaissance, che vuol dire ‘rinascita’. Ma a volte, e per nostra fortuna, è la vita a portarci ciò di cui abbiamo bisogno, anche se non sappiamo ancora di cosa si tratti. E sebbene Fanny non voglia confessare il suo bisogno d’amore, in realtà è esattamente così. E inoltre, se lo merita".
La scenografa SONJA KLAUS: "La Canorgue è molto interessante. Abbiamo dovuto risistemare il giardino aggiungendo statue e decorazioni. Per quanto riguarda gli interni volevamo ottenere un ambiente che apparisse leggermente trasandato, molto vissuto e di conseguenza caldo ed accogliente, una sorta di chic-trasandato, che fa molto casa, focolare domestico. Volevamo che il pubblico lo percepisse come la vecchia e accogliente casa di famiglia, dove passare il tempo con lo zio o la zia del cuore".