SPECIAL ANNIVERSARY: IL 7 MARZO 1999 CI LASCIAVA STANLEY KUBRICK, ‘UN ILLUSTRATORE CONCETTUALE DELLA CONDIZIONE UMANA’
Se STANLEY KUBRICK, può definirsi un ‘cult artist’, appartenendo di diritto alla ristretta cerchia degli artisti immortali una ragione c’è.
07/03/2009
- “Talvolta la verità di una cosa non sta tanto nel pensiero di essa quanto nel modo di sentirla”.
Stanley Kubrick
Una delle ragioni dell’immortalità dell’arte e di conseguenza di chi l’ha creata, la si percepisce, tra le righe, dalle parole dello stesso STANLEY KUBRICK (New York, 26 luglio 1928 - Harpenden, 7 marzo 1999), quando guardava alla creazione di un’opera cinematografica come a un ‘privilegio sofferto’ ma anche estremamente appagante una volta approdati all’opera compiuta:
“… Chiunque abbia avuto il privilegio di dirigere un film sa anche che, sebbene possa essere un’esperienza simile a quella di scrivere Guerra e pace su un autoscontro in un parco di divertimenti, quando finalmente va in porto, non ci sono molte gioie nella vita che possano eguagliare questa sensazione".
Ma salta immediatamente agli occhi anche un’altra ragione che si appunta più direttamente e intimamente nella stessa arte kubrickiana, ovvero nello specifico, unico approccio di avviare ed elaborare una creazione per la celluloide, fino a raggiungere il ‘prodotto’ finito - finito secondo il target kubrickiano vale a dire ‘indefinito’ e intriso di ambiguità - pronto per essere fruito da pubblico e critica. E quest’altra ragione si annida proprio nella ‘fruizione’ dell’opera kubrickiana: di solito un genere di ‘fruizione’ inevitabilmente reiterata e non sempre per amore a prima vista. Il cinema di Kubrick non è difatti di quelli da bersi d’un fiato. Al contrario, è di quelli che vanno distillati come un elisir intenso ed avvolgente, su cui tornare più e più volte, in un sorseggiare lento ed elegante, paziente, per provare almeno a mettersi nella condizione ideale di catturare l’incredibile bouquet di fragranze che è in grado di emanare e profondere, non finendo mai di stupire fino a stordirci. Il che spiega la curiosa circostanza per cui Stanley Kubrick è divenuto nel tempo, secondo un fenomeno a quanto pare inarrestabile, un ‘caso editoriale’ per eccellenza: è forse il cineasta che più di ogni altro in assoluto ha sollecitato una mole di monografie, saggi e studi critici, a dir poco ‘ciclopica’ e per giunta, appunto, in perenne espansione.
E la cosa potrebbe apparire ancor più curiosa alla luce del fatto che notoriamente Stanley Kubrick amava coltivare la sua arte in assoluto isolamento e con cura lenticolare, in una sorta di eremitaggio volontario. Ma di siffatta maniacale devozione per la settima arte parlano pubblicamente oggi più che mai le sue opere, spesso complicate e scomode, quanto di una profondità tale da rilasciare nel tempo segni indelebili, ben incisi, con la promessa di aggiungerne altri ad ogni nuovo incontro. Steven Spielberg, che con l’eremita Kubrick ha avuto il privilegio di condividere un rapporto più o meno costante e amichevole, è riuscito a dare l’idea più illuminante di questo concetto:
“’Shining’ non mi era piaciuto la prima volta che lo vidi. Da allora l’ho visto venticinque volte. E’ uno dei miei preferiti. I film di Kubrick ti piacciono sempre di più. Vi sfido a nominare un film di Kubrick che riuscite a spegnere una volta iniziato. E’ impossibile! Hanno tutti questa specie di sicura!”.
La ragione dell’immortalità dell’arte kubrickiana sta dunque nel fatto che si tratta di un genere di cinema “che non consente visioni distratte e che offre continuamente una quantità notevole di spunti, di pensieri, di osservazioni”, come dichiarato da Livio Costarella - co-autore con Davide Magnisi (*) - quasi a giustificare la pubblicazione dell’ennesima monografia sul Maestro.
Un fenomeno affine a quanto sollecitato, in alcuni rari casi, da film unici, come ad esempio il Blade Runner di Ridley Scott. Film che incarnano il tipo di opera in grado di stimolare riflessioni all’infinito. E se è raro parlare di ‘cult’ per una singola opera figurarsi per un intero percorso artistico! Ma nel caso di Stanley Kubrick la ricerca del ‘cult’ non si ferma ad una singola opera, prosegue fino ad abbracciarne davvero l’intera ‘collezione’. Ciò che gli vale di diritto il posto d’onore nella ristretta cerchia degli artisti immortali, quelli in grado di sopravvivere sul filo di una ‘provocatoria riflessione infinita’.
Richard Anderson lo ha definito ‘scienziato cinematografico’, ma soprattutto - ancora una volta sposiamo l’opinione di Steven Spielberg che del Maestro Kubrick e della sua opera sembra averne saputo cogliere l’essenza - “Si reinventava con ogni singolo film che dirigeva. Come regista, per me era un illustratore concettuale della condizione umana”. ‘Illustratore concettuale’ a tutto tondo, per quel ‘modo di sentire la verità’ che Stanley Kubrick riusciva ad afferrare guardando al cinema come alla più sapiente ed elegante sintesi di tutte le arti, dalla fotografia (esordisce proprio come fotografo), alla musica (‘compositore di vere proprie sinfonie visive’ con il frequente ricorso alla musica classica), fino al tocco ad affresco pittorico che sapeva dare ad alcune sequenze: una per tutte, la scena dell’orgia del celebre Eyes Wide Shut, quell’indimenticabile ‘dramma sulla mente’ donatoci da uno “Shakespeare moderno”.
(*) Davide Magnisi-Livio Costarella, Gli orizzonti del cinema di Stanley Kubrick, Bari 2003, (Mario Adda Editore)
(A cura di PATRIZIA FERRETTI)
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