LETTERA APERTA A ROBIN WILLIAMS, 'UMORISTA MALINCONICO'. Forse ti dobbiamo delle scuse ancora prima di ringraziarti di cuore per l'ARTE che ci hai lasciato, l'unica che resta a consolarci della immensa perdita.
Perchè come tu stesso tramite il prof. John Keating de L'attimo fuggente ci hai detto: 'Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita'.
13/08/2014
- Occhi grandi color del cielo spalancati sul mondo: il sorriso sempre aperto con cui non hai mai cercato di nascondere quel trasparente, eppur palpabile, velo di malinconia sotterranea, quello con cui convivevi e con cui sapevi render così speciale l'arte della recitazione, professata su piccolo e grande schermo come una fede, a specchio delle umanità più diverse che popolano la vita.
Correva l'anno 2005 quando ti ho incontrato a Roma per un film sofisticato e di nicchia come quel The Big White diretto da Mark Mylod. Un film di nicchia perché non dotato del fulgore poetico illuminante come L'attimo fuggente di Peter Weir, dell'ondata prorompente e provocatoria di Good Morning, Vietnam, e neppure della portata favolistica morale di Mrs. Doubtfire, celebre e amatissima farsa appena umidificata da quella rugiada di commozione che parlava di un dramma dando l'illusione di non apparire tale. Quel ruolo che proprio di recente era tornato a tormentarti perché in odore di sequel. Sono d'accordo con te: far tornare in vita personaggi iconici come quello, vissuti in una storia dal finale intonso per scelta, non è mai una gran bella mossa, fatta eccezione per le operazioni di marketing che tanto piacciono ad Hollywood, e alle circostanze che obbligano a far di necessità virtù.
Sei stato proprio tu a definire questa piccola storia raccontata in The Big White e rileggendo oggi questa tua dichiarazione un brivido mi percorre la schiena, rammentando ancora una volta quanto la vita dà all'arte e quanto l'arte dà alla vita, fin quasi a non riuscire più a distinguere dove inizia l'una e dove finisce l'altra:
"E’ una storia strana, popolata da personaggi eccentrici che lottano per sbarcare il lunario. In questo film anche il personaggio meno importante ha una sua risonanza. (Paul) E’ un uomo che cerca di restare con i piedi per terra, mentre tutto il suo mondo va in pezzi. Lo conosciamo in un momento assolutamente drammatico della sua vita; è praticamente al verde e ha dei problemi con la moglie con la quale sta cercando di risolvere le cose ma purtroppo lui ha un’agenzia di viaggi in Alaska, siamo nel mezzo dell’inverno, e considerata la congiuntura economica e via dicendo, si trova proprio in brutte acque. Ma poi succede qualcosa, un evento importante, 'habeas corpus', e lui si mette in moto".
Ora, dirti grazie per le tante emozioni contrapposte (sorrisi e lacrime) che ci hai regalato, suona scontato, persino banale, ma vorrei anche porgerti le mie più sentite scuse, a nome di tutto il pubblico planetario che ti ha bene o male, chi più chi meno, seguito, tallonando le orme della tua arte, godendo del tuo sostegno negli anni che ti hanno visto trasformarti nei mille volti della celluloide con l'intento di regalare un sorriso, una riflessione, un momento di autentica commozione... e che nulla ha potuto nei confronti della tua disperata umanità, nel momento in cui la lacrima del dramma ha soffocato per sempre ogni sia pur flebile scintilla di sorriso. E voglio anche chiederti scusa a nome della grande fucina Hollywoodiana che si è servita dei tuoi 'ferri del mestiere' per oltre un quarantennio, relegandoti nell'ombra della 'sopravvivenza artistica', quando più avevi bisogno di sentirti vivo e di sostenerti anche economicamente con ruoli degni della tua levatura.
Non mi sono mai piaciute le etichette, e ancora meno quando si rivelano inappropriate e limitative come quelle che circolano rincorrendosi sulla carta stampata o sul web, del tipo 'Clown senza pace', il 're del sorriso'... etc. Così, se proprio dovessi usare io stessa un'etichetta nei tuoi confronti oggi, userei di nuovo quella di "umorista malinconico" con cui richiamavo l'attenzione su quel piccolo film che è stato The Big White appunto, visto nell'anteprima romana anni or sono. Ma quel che a mio avviso meglio ti definisce da sempre, al di là dei limiti e confini che di recente ti sei trovato parati davanti, a detrimento della vera portata della tua libertà di espressione, è solamente Artista. Un grande Artista! Un Artista a tutto tondo e di una versatilità incomparabile nel vestire i ruoli più diversi che molti tuoi giovani colleghi oggi possono solo sognarsi, a dispetto delle rapide e facili scalate sull'onda del fumetto o di soggetti di connaturato appeal e di facile presa. Un Artista capace di scalare su un infinito numero di marce emotive, pescando da quel pozzo inesauribile, con le sue contrapposte correnti, che è il caleidoscopio umano. Proprio quell'umanità che quando c'è da prendere non si fa pregare e quando c'è da dare - non si sa bene come - ma non è mai raggiungibile nè disponibile.
Eppure anche i grandi Artisti, fuori dai riflettori, e dai vari red carpet, sono persone, con il loro bagaglio di difficoltà, problemi e fragilità che, ahimé, non interessano evidentemente a nessuno, e che restano lettera morta tanto a lungo da creare un vuoto insostenibile. Nulla togliendo a responsabilità e scelte individuali, viene da chiedersi: quanto pretende Hollywood dai propri artisti e quanto riesce a prendersi cura di loro, tutelando la persona che sta dietro l'espressione artistica o - ma non è certo il tuo caso - dietro una maschera commerciale? La risposta è implicita nella domanda e, come sempre, la VITA scompare, l'ARTE resta.
Perciò, caro, indimenticabile Robin, di nuovo scusa e tante grazie
Arrivederci sulle frequenze del grande spettacolo celeste
Patrizia Ferretti
Post scriptum: A riprova di quel che era logicamente intuibile sull'enorme solitudine di Robin Williams degli ultimi tempi è la dichiarazione della vicina di casa Sonja Conti: "Con lui non era come avere a che fare con una celebrità. Spesso mi chiedeva come stesse il mio cane, che aveva soprannominato 'Dudè (Damerino; ndr). Era semplicemente un tipo normale, una bella persona. La gente lo ha lasciato solo".
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