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    Festival Internazionale del Film di Roma (8-17 novembre 2013) - PREMIO ALLA CARRIERA AL CINEASTA RUSSO ALEKSEJ JUREVIČ GERMAN. La consegna del Premio ai familiari del regista scomparso nel febbraio di quest'anno

    Presentata IN PRIMA MONDIALE l’attesa ultima opera del maestro, 'É DIFFICILE ESSERE UN DIO'


    08/10/2013 - Il Festival Internazionale del Film di Roma, su proposta del Direttore Artistico Marco Müller, consegnerà il PREMIO ALLA CARRIERA 2013 ai familiari del grande cineasta russo ALEKSEJ JUREVIČ GERMAN, scomparso nel febbraio di quest'anno. L'attribuzione del premio era stata comunicata al maestro pietroburghese a inizio inverno, così da accompagnare l'uscita del suo nuovo ambizioso lungometraggio, É difficile essere un dio. Per la prima volta nella storia dei festival europei, un premio alla carriera verrà dunque consegnato postumo. A ritirare il premio saranno Svetlana Karmalita, vedova del regista, complice di tutti i suoi progetti più personali e sceneggiatrice dei due ultimi film del maestro, insieme al figlio Aleksej A. German, capofila del rinnovamento del cinema russo contemporaneo (Leone d'argento a Venezia 2008 per Soldati di carta).

    A seguire la cerimonia di premiazione, verrà proiettato in prima mondiale É difficile essere un dio, epica opera di fantascienza filosofica tratta dal romanzo di culto dei fratelli Boris e Arkadi Strugatski (autori, tra gli altri, di Picnic sul ciglio della strada, che Andrej Tarkovskij ha portato al cinema con il titolo Stalker). Il libro è stato pubblicato in Italia da Marcos y Marcos con il titolo “È difficile essere un dio”.

    Il Direttore Marco Müller ha così commentato la decisione di attribuire il Premio alla carriera 2013 al maestro pietroburghese: "Quello di Aleksej German non è stato ‘un caso’. E ancora meno ‘un caso di censura’. Il meno prolisso dei grandi autori cinematografici russi ha rivendicato ogni sua personalissima opera, portata avanti contro tutto e contro tutti, in un itinerario artistico e filosofico assolutamente sconvolgente, che ha affermato una fortissima personalità d’autore già con il suo “vero” primo lungometraggio, l’eretico Controllo stradale (1971-1985). Figura scomoda per ogni regime, German ha iniziato presto le sue schermaglie con i censori e il sistema burocratico del cinema sovietico, continuate per tutto il periodo brezhneviano. Non solo perché i suoi film trasgredivano le regole e ignoravano volutamente le abitudini del realismo socialista post-disgelo, ma soprattutto perché il suo cinema, costruito sulla scrittura registica, se si fosse affermato, avrebbe ribaltato strutture e tematiche teoriche, etiche, stilistiche. Andava dunque fermata la sua spinta dirompente. German ha dunque potuto realizzare solo cinque film e mezzo (il ‘mezzo’ è una co-regia di debutto) in quarantasei anni di carriera registica. La sua attenzione alla differenza rispetto alla pretese del presente, la sua predilezione per il dissenso rispetto al consenso, finiscono per disturbare anche il sistema commerciale della Russia non-socialista, che inventa allora nuovi freni per gli ostinati slanci creativi del cineasta. Ma questo non gli impedisce di affrontare progetti ambiziosi, arrivando a realizzare film-limite come Chrustalëv, la macchina! (in concorso a Cannes nel 1998) e É difficile essere un dio che conclude la ricerca del regista sul tempo e la memoria, collegando l’assurdità del passato e del presente con quella del medioevo prossimo venturo.

    Il German di É difficile essere un dio è un cineasta che vuole raccontare storie fantastiche, rimanendo tuttavia fedele alle sue preoccupazioni di autenticità documentaria. È un documentarista che, penetrato nel mondo irreale dei quadri di Hyeronimus Bosch (secondo German, ‘Bosch è molto più realista di Rubens’), si ostina a catturarne ogni minimo dettaglio. Aleksej German è stato un artista tanto geniale quanto ostinato nella sua radicalità. Un artista che ha scelto di confrontarsi sempre con problemi insormontabili. Se avessi oggi in sorte la possibilità di pranzare un’ultima volta con lui, in uno di quei ristoranti dostoevskijano-lenigradesi cui era affezionato, gli avrei citato questo proverbio della sua terra: 'Per risolvere un problema difficile ci vuole un cinese. Ma per un problema impossibile ci vuole un russo'. Un genio russo come lui".

    ALEKSEJ JUREVIČ GERMAN

    La straordinaria integrità artistica del cineasta, equivalente a quella di maestri come Terrence Malick e Stanley Kubrick, e l’intervento della censura sovietica, che ha regolarmente bloccato l’uscita dei suoi film, ha limitato la produzione di German a soli cinque lungometraggi. Essi hanno rappresentato e rappresentano oggi un punto di riferimento imprescindibile. La statura di German ha pochi eguali nel cinema moderno: con Andrej Tarkovskij e Aleksandr Sokurov fa parte di una "trinità russa" che ha rivoluzionato il modo di pensare il cinema.

    Aleksej Jurevič German nasce a Leningrado nel 1938. Il padre, Jurij P. German, celebre (e premiatissimo) scrittore sovietico "umanista", amico del regista Vsevolod Ėmil'evič Mejerchol'd, lo convince ad iscriversi alla facoltà di regia teatrale di Leningrado. Dopo la laurea, German collabora con Grigorij Tovstonogov, figura chiave del teatro sovietico negli anni Cinquanta e Sessanta. Nel 1964, il regista inizia a lavorare alla Lenfilm, gli “studios” più vecchi dell’Unione Sovietica, diventati culla del cinema d’autore. Nel 1967, insieme a Grigorij L. Aronov, firma il suo primo film, Sed′moj sputnik (Il settimo compagno di strada). Nel 1971, German finisce Proverka na dorogach o Operacija "S novym godom" (Controllo sulle strade o Operazione Anno nuovo), tratto da una novella scritta dal padre. La pellicola, ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, viene subito proibita con l’accusa di falsificazione dei fatti storici: uscirà in sala nel 1985. Nel 1977, il regista gira Dvadčat′ dnej bez vojny (Venti giorni senza guerra), tratto dal romanzo di Konstantin Simonov, noto scrittore legato al partito che difende il film di fronte ai vertici del Comitato Centrale e ne consente la distribuzione. Nel 1984, German utilizza di nuovo un romanzo del padre e gira il suo film più famoso, Moj drug Ivan Lapšin (Il mio amico Ivan Lapšin), ambientato nei primi anni Trenta. Il ritratto della storia sovietica fatto da German non piace al partito ed il film viene immediatamente ritirato dalle sale. Per sopravvivere, German scrive sceneggiature assieme alla moglie Svetlana Karmalita, firmate solo con il cognome di lei. Quella di German è stata una parabola di vita e creazione scandita da vicende tanto difficili quanto drammatiche, che hanno diradato per lui le opportunità di realizzare direttamente i suoi progetti. Nel più lungo periodo di stasi registica, German e la sua compagna di vita e di lavoro hanno comunque creato (nel 1988) e diretto, alla Lenfilm, lo Studio per le opere prime e i film sperimentali, una struttura legata ai debutti di nuovi registi che ha prodotto otto lungometraggi, assieme a film brevi e d’animazione.

    Con gli anni Novanta e la nuova situazione politica, German lavora sul film Chrustalev, mašinu! (Chrustalev, la macchina!), che esce nel 1998, dopo essere stato presentato in concorso al Festival di Cannes. In questo film, German giunge all’affermazione che dopo gli orrori dell’epoca staliniana l’arte non può esistere nella forma precedente. Nel 2000, il regista, ormai riconosciuto come uno dei maestri della cinematografia russa, premiato con numerose onorificenze, comincia a lavorare sul gigantesco progetto di É difficile essere un dio, tratto dal famoso omonimo romanzo dei fratelli Strugazkij, che lo impegna per tredici anni di duro lavoro. Con É difficile essere un dio, German ritrae sul grande schermo un’intera civiltà, che riassume la storia dell’umanità con spietata precisione e enorme pietà. Aleksej German muore il 21 febbraio del 2013: il film viene portato a compimento da Svetlana Karmalita e dal figlio Aleksej A. German.

    FILMOGRAFIA (COME REGISTA)

    Sed′moj sputnik (1967)

    Proverka na dorogach (1971-1986)

    Dvadčat′ dnej bez vojny (1977-1979)

    Moj drug Ivan Lapšin (1984-1986)

    Chrustalev, mašinu! (1998)

    Trudno byt’ Bogom (2013)

    LA PRODUZIONE DI É DIFFICILE ESSERE UN DIO

    É difficile essere un dio è un progetto al quale German pensava già dalla metà degli anni Sessanta. German, infatti, prova a realizzarlo nel 1964, come sua "vera" opera prima, ma per rispettare le regole della Lenfilm, la storica casa di produzione per cui il regista ha sempre lavorato, gira invece Controllo stradale.

    Successivamente, il progetto viene approvato dal Goskino, l’ente statale incaricato di organizzare l'attività cinematografica in Unione Sovietica, ma nel 1968, dopo la ribellione di Praga, l’autorizzazione gli viene negata per ragioni ideologiche. Vent’anni dopo il regista torna sul progetto, ma decide invece di girare un film che lo impegnerà a lungo, Chrustalev, la macchina!. Dieci anni più tardi, dopo aver dichiarato “Non mi interessa altro che la possibilità di costruire da zero un mondo, una civiltà intera”, German rivolge tutti i suoi sforzi in direzione di É difficile essere un dio. Le riprese si sono svolte dall’autunno 2000 all’agosto 2006: vengono addirittura costruiti dei castelli vicino a Praga e nei teatri di posa della Lenfilm; durante una lavorazione così lunga alcuni attori muoiono di vecchiaia; la postproduzione del film lo impegna per oltre un lustro. German muore il 21 febbraio 2013: il film viene ultimato dalla moglie e sua più stretta collaboratrice, Svetlana Karmalita, e dal figlio Aleksej A. German.

    SINOSSI

    Geniale trasposizione cinematografica del romanzo cult degli anni Sessanta “È difficile essere un dio” di Boris e Arkadij Strugazkij. Alcuni scienziati vengono inviati sul pianeta Arkanar per aiutare la popolazione locale che sta vivendo una fase storica equivalente al nostro medioevo, in cui sono stati messi al bando non solo gli intellettuali, ma anche chi sa semplicemente leggere e scrivere. Ai protagonisti, che operano in incognito, è stato vietato di influenzare le vicende politiche e storiche del pianeta restando neutrali. Tuttavia, il protagonista, Don Rumata, cerca di salvare dalla gogna gli intellettuali locali e non può evitare di schierarsi: “Cosa faresti al posto di Dio?”.

    LA REDAZIONE

    Nota: Si ringrazia Cristiana Caimmi (Fondazione Cinema per Roma - Capo ufficio stampa Festival Internazionale del Film di Roma)

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