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    PER UNA CHE VA UN’ALTRA NE VIENE: DA VENEZIA 64. A ROMA II° ATTO

    Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?


    05/10/2007 - “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?Roma insidia Venezia? Al di là del dichiarato spirito di interattiva collaborazione che nulla dovrebbe avere a che vedere con gare di ‘bellezza’ presunte, si direbbe di si. L’ombra lunga di un inevitabile confronto, la responsabilità di inserirsi, in seconda istanza, in un programma culturale a sfondo cinematografico, usando a tutto diritto lo stesso marchio di fabbrica ‘made in Italy’ su scala internazionale, e per di più come capitale, ha spinto Roma verso un target che non poteva permettersi un debutto in sottotono. Difatti, le manìe di grandezza della neonata ‘capitolina’ si sono manifestate fin dalla prima edizione, in contraltare alla parallela, veterana e standardizzata kermesse lagunare. Manìe di grandezza accolte peraltro l’anno scorso con aperto disappunto da quella parte di popolazione romana costretta ad un tenore di vita non propriamente hollywoodiano. Ma non poteva essere altrimenti: l’allievo giovane che alla fine supera l’anziano maestro, sul filo della passione e dell’ambizione, per non dire del lauto ritorno economico, non è neppure cosa tanto nuova. E se allora Venezia propone una o due mostre, uno o più eventi, in seno alla propria Kermesse, Roma deve giocare al raddoppio e oltre in un colpo solo: da Luchino Visconti a Marcello Mastroianni (eventi alla Casa del Cinema), da Roberto Rossellini a Digital Party, da Mario Soldati (Eventi Casa delle letterature) alla Casa del Jazz (Il Jazz nel cinema italiano) e chi più ne ha, ne metta. Questo sempre per citare, con alcuni tra i molteplici esempi, l’esperienza trascorsa con l’esordio della neo Festa del Cinema del 2006. Esordio con cui Roma è stata difatti in grado di sfoderare tale dispiegamento di forze, da dare l’impressione che il ‘Marco Aurelio’ potesse immediatamente intimidire, e dunque sminuire, il ruggito del ‘Leone’. Manìe di grandezza cui, d’altra parte, non si può negare il vanto di una fresca ventata di giovinezza.

    Per quanto non il massimo a livello di acustica e soprattutto dispendiosi da riadattare, i locali dell’Auditorium della Musica preposti ad accogliere la kermesse cinematografica romana, hanno di positivo che sono nuovi, moderni e funzionali ai grandi flussi di pubblico, anche se studiati per la musica, appunto, e non per il cinema. Sta di fatto che il complesso dell’Auditorium è come un ventre materno, generoso e capace di non negare la nascita a nuovi germogli - il cinema dopo la musica - compatibili purché cresciuti a distanza di sicurezza l’uno dall’altro.
    E se poi si guarda a quel che più conta, ossia al cuore dei contenuti, e dunque alla selezione cinematografica, si ha come l’impressione di spiare il canonico, conflittuale, rapporto tra sorelle, là dove la minore, sbirciando la maggiore, ne segue le orme e si prefigge di fare meglio inserendo qualche variante per non dare troppo nell’occhio. Dietro le quinte di tutto questo discorso a doppio binario, al di là della ‘maschera della promozione culturale’, c’è la vera anima di tutta l’operazione, il business. A Roma così come a Venezia, intendiamoci. Business mancato per Roma finché non si è decisa a scendere in campo, insidiando inevitabilmente il calcagno della beneamata kermesse lagunare, malgrado la dichiarata collaborazione di contro alla guerra fratricida presunta. La bella Mostra di Costumi dal film di Bernardo Bertolucci, L’ultimo Imperatore, ideata dal Settore Teatro de La Biennale di Venezia, docet.

    Ma un fatto è certo, pur variando sulle diciture delle varie sezioni, la sostanza non cambia di molto. Inoltre, chi va a Venezia non va a Roma e viceversa. Così se Keira Knightley, Charlize Theron, Richard Gere, George Clooney, Diane Kruger, Heath Ledger, Brad Pitt, Ridley Scott, Rutger Hauer e Daryl Hannah, per citarne solo alcuni, sono approdati in laguna, per quanto avrebbe potuto farlo seguendo entrambi i suoi ultimi film, Cate Blanchett non ha di contro presenziato alla 64° Mostra per Io non sono qui su Bob Dylan, malgrado le sia valso la Coppa Volpi, mentre invece sarà lei - dopo Nicole Kidman che dette avvio alla I edizione del 2006 - ad inaugurare la Festa del Cinema di Roma di quest’anno con il film in ‘Premiere’ Elizabeth: The Golden Age (sequel di Elizabeth) di Shekhar Kapur.
    Tra le varianti romane rispetto al binario lagunare di tradizionale percorrenza, degna di nota c’è invece l’impostazione degli incontri di stampa e pubblico con le star. Un’idea che prende forma si direbbe più sull’onda dei talk show americani che sulla conferenza stampa tipo. E sembrerebbe questo un punto a favore per Roma. Ma il lato positivo svanisce presto (si spera che da ora in poi le cose vadano meglio) quando, ad esempio, ci si trova ad un passo da Nicole Kidman e, per quanto si possa alzare ripetutamente la mano per una domanda, la paura che sia inopportuna o che altro, fa sì che il moderatore o la moderatrice di turno non si accorgano minimamente di voi sino alla fine dell’incontro, con buona pace delle migliori intenzioni interlocutorie. A questo punto sarà meno ‘in’, ma alle luci soffuse sul soppalco che accoglie le varie star, affiancate dai moderatori seduti in comode poltroncine rosse, è preferibile la semplice e pur funzionale luce diurna in quel di Venezia, dove almeno non si può accampare la scusa di non essere visti.
    Per non parlare dell’incontro-evento con Sean Connery, un po’ fumé per chi non è dotato di una vista da aquila e si ritrova con altri numerosi colleghi della stampa ad essere parcheggiato in ‘loggione’, non certo per scelta. Incontro strutturato analogamente, anche se in veste più seria, ad una delle trasmissioni televisive americane di Jay Leno o David Letterman, là dove il dialogo con l’ospite è intervallato dal commento pilota del conduttore, una sorta di intervista pubblica scandita dalla proiezione di brani selezionati dalla filmografia della star in questione. Tutto molto bello e accattivante, con un’anima didattica assestata su un target fresco e giovane, oltre che interessante, ma, per certi versi, più che a un incontro con il pubblico, sembra di assistere ad un qualcosa a metà strada tra la rappresentazione teatrale e la lezione accademica, là dove, talora legnosamente, è mantenuto il pieno controllo di battute umoristiche eventuali. Con Sean Connery davanti, per quanto distante, il pubblico assiste compiaciuto anche se gli si riservano solo un paio di fugaci interventi finali. Così, non possiamo fare a meno di imbatterci in una contraddizione di fondo: incontro con il pubblico si, ma di stampo piuttosto elitario. Là dove, di contro alle centinaia di posti vuoti, peraltro non belli da vedere e non dignitosi per una star del calibro di Sean Connery, si sono fatte sentire le rimostranze di moltitudini insoddisfatte per l’accesso negato all’incontro. Più popolare di così! E dire che la ‘lezione’ era di indubbio interesse e ben condotta. Peccato! Un’opportunità irripetibile mancata per molti.

    Ma questo accadeva un anno fa. Era la prima volta e già si era puntato in alto senza alcun rodaggio. Vedremo da ora in poi. Del programma di quest’anno ci occuperemo a breve nella sezione EVENTI. Ma resta pur sempre la questione di fondo Venezia-Roma. Al di là del confronto, sono entrambe necessarie? O meglio indispensabili, ogni anno? Il lieve snellimento dei rispettivi programmi - il che è tutt’altro che negativo, soprattutto per l’opulento ‘calderone’ romano in veste più ‘festaiola’ - potrebbe far sorgere una riflessione che ci porta di nuovo sul registro del business.

    Se fosse per un discorso prettamente culturale ed equo, per una sola nazione basterebbe e avanzerebbe una sola, unica grande Kermesse una volta all’anno, magari alternando le sedi più papabili: un anno una, un anno l’altra. Non si scontenterebbe nessuno e si conterrebbero i costi e le fatiche anche da parte della stampa che non è romana. A cominciare dalle piccole redazioni indipendenti come questa che, al momento, avendo i numeri ma non i Santi in Paradiso, si autofinanziano per sopravvivere, fino ad esaurimento scorte energetiche. Inoltre, si eviterebbero gli ingorghi di ‘film-zavorra’ (di marca orientale per Venezia) indispensabili a riempire grassi programmi, oltre la rosa dai petali contati delle varie Premiere, degli Extra o di qualche raro fiore all’occhiello tra i ‘Fuori Concorso’. Cosa sarebbero Venezia e Roma senza le selezionate presenze anglo-statunitensi? Quale appeal per il cinema italiano, fatte le dovute eccezioni, naturalmente?
    In ultima istanza, non può esser sempre festa, soprattutto in una nazione come questa che fa acqua da tutte le parti, in particolar modo per la gestione e la diffusione culturale che non sia quella di un ristretto, elitario, manipolo di prescelti. Nulla è per caso e mai autenticamente popolare.

    (A cura di PATRIZIA FERRETTI)

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