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    Il cinema di Sally Field

    Biografia

    (A cura di ERMINIO FISCHETTI)

    (Pasadena, California USA, 6 novembre 1946)

    Una delle interpreti di maggior talento della sua generazione, SALLY (Margaret) FIELD è un’attrice nata per il piccolo schermo. Lei, come molte sue colleghe, vi è ritornata come “luogo” di salvezza nel corso di una altalenante carriera cinematografica, nella quale ha, però, saputo modulare le sue eccezionali doti drammatiche in indimenticabili ruoli femminili. Dalla metà degli anni Sessanta prende parte a sitcom come Gidget e The Flying Nun e a parecchi TV Movie, negli stessi anni in cui perde il ruolo di Elaine Robinson ne Il laureato (The Graduate). La gavetta è molto lunga ed è composta per lo più da piccole partecipazioni in serie televisive poco note. Sembra che il suo destino sia quello di emulare la carriera della madre Margaret (attrice poco nota che ha impersonato piccoli ruoli sul tubo catodico nell’arco di molti anni), ma il successo del grande pubblico arriva quando, alla metà degli anni Settanta, ottiene due parti accanto alle star del momento Burt Reynolds (con cui girerà, in pochissimi anni, molti film e all’epoca suo compagno nella vita privata), nella commedia d’azione The Smokey and the Bandit, e Henry Winkler, nell’intenso Herpes, film su un veterano del Vietnam, che con questa parte puntava ad imporsi come attore drammatico mentre aveva successo in Happy Days. Questi film, entrambi del 1977, più che dare una chance ai protagonisti maschili mettono in luce il grande talento della giovane Sally Field che, grazie a queste dimostrazioni, viene scelta da Martin Ritt per interpretare il ruolo che le fece guadagnare il primo dei suoi due Oscar, Norma Rae, ritratto di un’operaia tessile del profondo Sud che lotta insieme ad un sindacalista per ottenere maggiori privilegi lavorativi. Fino a questo momento, l’attrice non aveva ancora affrontato grandi prove drammatiche, la cosa per la quale è maggiormente portata, nonostante, fino a quel momento, avesse dato prove soprattutto in ambito comico. Vi è però un precedente nel dramma che fece guadagnare all’attrice il primo dei tre Emmy: un film per la televisione in cui impersonava una ragazza che soffre di personalità multipla, tratto dal romanzo di Flora Rheta Schreiber, Sybil, accanto ad una leggenda vivente come Joanne Woodward.

    Purtroppo, però, se le interpretazioni dell’attrice californiana sono sempre eccellenti, di minor valore risultano le opere a cui prende parte negli anni successivi, escludendone alcune come Diritto di cronaca (Absence Of Malice) di Sydney Pollack, al fianco di Paul Newman, in cui è una giornalista a caccia della verità (sulla scia del filone-inchiesta di Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula) e quella per la quale vinse il secondo Oscar nel 1984, Le stagioni del cuore (Places in the Heart), scritto e diretto da Robert Benton, traendo spunto dai suoi ricordi di infanzia negli anni Trenta. Buona anche la partecipazione, nel 1985, alla commedia L’amore di Murphy (Murphy’s Romance), sempre di Martin Ritt, in cui è una madre single che si innamora di un farmacista molto più grande di lei, interpretato da James Garner. Per l’ennesima volta la cosa più interessante è proprio l’interpretazione dei due protagonisti, tanto che il film sarà veicolo per l’unica nomination agli Oscar del sempre sottovalutato Garner e ai Golden Globe per entrambi.
    Field partecipa, come si è detto, a progetti discutibili, o nel migliore dei casi semplicemente sfortunati. È il caso di pellicole come C’è… un fantasma tra noi due (Kiss Me Goodbye), una delle ultime prove da regista di Robert Mulligan, che risulta un’opera malriuscita dove l’unico elemento positivo è la presenza della Field, che guadagnò l’unica menzione in assoluto per il film ai Golden Globe 1982. Nel 1987 è la volta delle commediole Mi arrendo… e i soldi? (Surrender) di Jerry Benson, al fianco di Michael Caine, pellicola dignitosa, che però non valorizza il talento di Sally, mentre l’anno dopo di L’ultima battuta (Punchline), in coppia con un ancora sconosciuto Tom Hanks. Nel 1989 ottiene la settima candidatura ai Golden Globe nel drammatico film corale al femminile Fiori d’acciaio (Steel Magnolias), ventunesima regia di Herbert Ross, dove è troppo giovane per interpretare la madre di una giovane Julia Roberts che muore per una crisi diabetica. In questo senso procede un po’ come la fama di Hilary Swank, ossia due grandi interpretazioni, due meritatissimi Oscar e poi magari cambiare agente!

    Gli anni Novanta rappresentano per l’attrice il decennio peggiore della sua carriera poiché oltre ai brutti progetti arriva anche una destabilizzante nomination ai ‘Razzie Awards’. Il film in questione è il discusso Mai senza mia figlia (Not Without My Daughter). La pellicola diretta da Brian Gilbert racconta la storia di Betty Moohmudy, donna americana che viene portata con l’inganno dal marito nel paese di origine di lui, in Medio Oriente, per poter ottenere la custodia della propria figlia. In realtà l’interpretazione di Sally non è tanto terribile da farle meritare la nomination, ma rappresenta più un segnale della cattiva piega che sta prendendo la sua carriera e dei pessimi progetti a cui prende parte (stesso significato assume la nomination di Jessica Lange nel 1998 con l’inclassificabile Hush (Obsession) di Jonathan Darby, dove la pessima prova dell’attrice è dovuta alla ridicola sceneggiatura, o di Diane Keaton nel 2007 con Because I Said So, in Italia Perché lo dice mamma, monito sulla necessità di interrompere la partecipazione a commedie, sempre peggiori negli ultimi dieci anni).
    In seguito, escludendo proprio la dignità delle sue interpretazioni televisive, ben poche sono le cose interessanti fatte per il cinema. Spesso i ruoli interpretati sono inadatti alla sua età o, come Meryl Streep in She-Devil, rappresentano la parodia di se stessa. È questo il caso di Soapdish (Bolle di sapone), nel quale veste i panni di un’attrice di soap-opera fallita che interpreta da anni sempre lo stesso personaggio. L’anno è il 1991, lo stesso di Not Without My Daughter, definibile anche come quello dell’inizio definitivo del declino per la sua carriera cinematografica. Nel 1993 fa da spalla a Robin Williams, come ex-moglie, nel blockbuster Mrs Doubtfire di Chris Columbus. L’anno dopo, invece, interpreta la madre di Tom Hanks nel pluripremiato Forrest Gump di Robert Zemeckis (forse l’unico progetto cinematografico di rilievo a cui partecipa in tutto il decennio), film nel quale la buona interpretazione di Sally viene bissata dall’attenzione che la critica pone nei confronti dello stesso Hanks e di una Robin Wright alle prime prove importanti. Nonostante tutto arriva una candidatura agli Screen Actors Guild come ‘Miglior Attrice Non Protagonista’, vinto però da Dianne Wiest per Bullets Over Broadway (Pallottole su Broadway) di Woody Allen.
    L’anno dopo è protagonista e produttrice esecutiva della splendida miniserie A Woman Of Independent Means, lavoro per il quale otterrà nuovamente l’attenzione che merita e il plauso della critica. Tratto dal bestseller di Elizabeth Forsythe Hailey, racconta la storia di Bess Alcott Steed, donna dell’alta borghesia texana, dall’inizio del secolo scorso fino agli anni Settanta. Il personaggio portato alla luce dall’attrice è assolutamente straordinario, tanto che riesce ad essere credibile, a 48 anni, sia nella veste di giovane sposa, ignara delle tragedie a cui andrà incontro, sia pluriottantenne con il cerone sul viso, cosa che renderebbe ridicolo il lavoro di qualsiasi interprete. Nonostante venga trasmesso da NBC in un periodo dell’anno lontano dalle campagne dei premi televisivi, febbraio, Field ottiene meritatamente candidature agli Emmy, ai Golden Globe e agli Screen Actors Guild, ma non vince e viene sconfitta da colleghe del suo stesso stampo (agli Emmy da Glenn Close per il film Serving In Silence: The Margarethe Commermeyer Story di Jeff Bleckner, amaro ritratto di una donna militare omosessuale, ai Golden Globe da una Jessica Lange nell’ennesima versione di Blanche DuBois in Un tram che si chiama desiderio, mentre agli Screen Actors Guild da Alfre Woodard per l’adattamento teatrale di Hallmark Hall Of Fame di The Piano Lesson, diretto da Lloyd Richards).
    L’anno dopo, con il thriller di bassa qualità, La prossima vittima (Eye for an Eye) di John Schlesinger, torna al cinema. Pessimo prodotto sotto ogni aspetto, il film è meritatamente un flop. L’attrice californiana decide, così, di affrontare una nuova sfida: la regia. Questa parentesi, però, non sarà delle più felici. Nel 1996 dirige, scrive e produce un film per la televisione volto ad un pubblico per famiglie. L’albero di Natale (The Christmas Tree), una pellicola che si ispira ai film natalizi del cinema classico, vede come protagonista un’anziana Julie Harris. Oltre alla correttezza narrativa non contiene molto altro. Peggio ancora sarà l’opera seconda Beautiful del 2000. Improbabile racconto di una donna decisa a diventare Miss America che nasconde alla figlia della sua migliore amica di essere la vera madre di quest’ultima. Pur di vincere farà questa sua confessione di fronte alle telecamere. Tutto, ovviamente si risolve nel migliore dei modi. Il finale zuccheroso, melenso di questo lavoro (recitato malissimo da una ridicola Minnie Driver) non lascia spazio ad alcun commento.

    Questi ultimi anni, al cinema, hanno visto Sally Field impegnata in progetti su cui sarebbe meglio stendere un velo pietoso, tra cui ricordiamo a titolo di cronaca, Qui dove batte il cuore (Where the Heart Is), pessimo film dal cast importante che diede a Natalie Portman uno dei primi successi di pubblico, e Dimmi che non è vero (Say It Isn’t So), forse per parafrasare l’irrazionale bruttezza del film stesso, una “commedia” (spiace usare tale termine) inquietantemente degradante sia sul piano della carriera che personale. Infatti vi è una scena in cui il personaggio interpretato dall’attrice prima di portare i toast all’odiato marito se li passa sotto le ascelle! Qualsiasi commento su quest’opera sarebbe superfluo. Il Morandini, dizionario dei film, scrive a tal proposito: “… è una perversa commedia romantica stravolta in farsa demenziale, formicolante di trovatine repellenti che puntano accanitamente sul cattivo gusto e su una collosità comatosa. Spiace vedervi implicata un’attrice come S. Field.”
    Interessanti solo i due film per la televisione cui prende parte, in particolare A Cooler Climate, in cui Field è una borghese cinquantenne impoverita dal divorzio che trova lavoro come governante presso una facoltosa donna in crisi matrimoniale, interpretata da una memorabile Judy Davis. L’iniziale rapporto di conflitto si trasforma pian piano in amicizia quando entrambe capiranno la solitudine reciproca. Il film trasmesso da Showtime nell’agosto 1999 si avvale di una origine letteraria prestigiosa, un romanzo di Zena Collier, e di un adattamento per il piccolo schermo della scrittrice teatrale, vincitrice del Premio Pulitzer per il dramma ‘Night, Mother, Marsha Norman. Tantissime critiche positive per le due protagoniste, in questa pellicola tutta al femminile (infatti è diretta da Susan Seidelman), assolutamente perfette nel delineare due donne così diverse eppure incredibilmente simili. Ovviamente non poterono che arrivare nomination salomoniche per entrambe, agli Emmy e agli Screen Actors Guild (anche se il ruolo della Davis in realtà è di non protagonista), ma non ai Golden Globe (dove quell’anno l’unica a ricevere la menzione fu Judy Davis, ma per un altro film, il biopic sugli autori, compagni nella vita, Dashiell Hammett e Lillian Hellman nell’esordio alla regia di Kathy Bates in Dash & Lilly, realizzato per il canale via cavo A&E e trasmesso il 31 maggio 1999).
    L’altra produzione televisiva che vede coinvolta Sally Field è l’adattamento americano per TNT del più popolare romanzo di Charles Dickens, David Copperfield, in cui a 54 anni è troppo giovane, ancora una volta, per vestire i panni della vecchia zia Betsey Trootwood, ma il suo lavoro resta impareggiabile e indescrivibile.
    Negli ultimi anni è stata guest star nella settima, nona e tredicesima stagione della serie più popolare d’America, ER, in cui interpreta la madre piena di problemi personali e psichiatrici dell’infermiera, poi diventata medico, del pronto soccorso più famoso di Chicago, Abby Lockart, che ha il volto dell’attrice Maura Tierney. Arriva, ovviamente, un’altra vittoria ai premi Emmy come guest star nel 2001 e una candidatura nel 2003.
    Poi ancora la mediocrità, qualche altro film dal dubbio valore come il sequel de La rivincita delle bionde.

    Nel 2006 la svolta inaspettata, totalmente televisiva, la fa tornare all’attenzione del pubblico americano. La serie Brothers & Sisters le permette di costruire un altro meraviglioso personaggio. Il prodotto, targato ABC, analizza la complicata vita di una famiglia alto-borghese californiana nel momento in cui il patriarca muore improvvisamente, lasciando la sua vedova e i suoi cinque figli a risolvere i problemi che aveva lasciato insoluti. Le dinamiche famigliari sono ben affrontate e la struttura dei personaggi è tale che li rende caratterialmente differenti l’uno dall’altro.
    Come tutte le serie corali della ABC, partono con una protagonista dominante, ma in breve tempo la produzione comprende l’importanza e l’efficacia degli altri personaggi e la produzione diventa assolutamente corale. Così è accaduto con il personaggio di Susan Mayer, interpretato dall’attrice Teri Hatcher, che all’inizio della prima stagione di Despereate Housewives era dominante rispetto alle altre tre protagoniste oppure con quello di Meredith Grey (Ellen Pompeo) in Grey’s Anatomy. In questo caso la sciatteria del personaggio protagonista, poco interessante rispetto alla dinamica psicologica degli altri, ha permesso, col tempo, lo sviluppo più interessante (sia da un punto di vista di scrittura che di recitazione) degli altri protagonisti, dotati di più sfumature e angolazioni interessanti. Nel caso di Brothers & Sisters il ruolo della Field parte come supporto, in quanto è “la madre”, in una serie pubblicizzata con la presenza dell’ex Ally McBeal, Calista Flockart, come personaggio protagonista. Kitty Walker, figliol prodigo, repubblicana e conservatrice, ritorna a casa, nell’assolata California, per lavorare in un talk-show politico. L’improvvisa e prematura morte del padre rimette in discussione i complicati rapporti famigliari. Quasi costretta a rimanere a vivere con sua madre, rimasta sola, dovrà fare di nuovo i conti con i numerosi fratelli, la sorella Sarah e, soprattutto, con la madre stessa Nora con la quale non ha mai avuto un buon rapporto. Nora Walker è una donna totalmente diversa da sua figlia. Democratica, indomita, progressista (come la stessa Field, negli anni, ha dimostrato tramite il suo impegno politico), la donna ha nei confronti di Kitty un atteggiamento molto duro e pieno di recriminazioni. In particolare, Nora non perdona alla figlia le sue idee politiche, né soprattutto di aver indotto il fratello Justin ad andare in Iraq, dal quale è tornato con seri problemi di dipendenza dalle droghe e una forte depressione autodistruttiva. Fondamentalmente Calista Flockart non può che uscire sconfitta nella gara di bravura contro Sally Field, la cui presenza sullo schermo non può che essere dominante e dirompente. Lo spettatore segue ammaliato il suo flusso recitativo, specie per un ruolo che sembra cucito e nato apposta per lei (anche se l’episodio pilota originale fu girato da Betty Buckley). E, inoltre, con la sua Sarah, non si può non amare anche il lavoro di Rachel Griffiths, altra straordinaria attrice dal talento poliedrico, divisa tra cinema e televisione in tre continenti diversi (nomination agli Oscar per Hilary & Jackie, al fianco di Emily Watson, e protagonista con il complesso personaggio di Brenda Chenowith del capolavoro seriale Six Feet Under). In questo modo, Calista Flockart e la sua Kitty devono fare un passo indietro per fare posto ai suoi “brothers & sisters” e soprattutto a questa ingombrante madre che sta raccogliendo una pioggia di menzioni, riconoscimenti e premi, primo fra tutti l’Emmy (il terzo per lei) come migliore attrice in una serie drammatica.
    Credete che sia finita per questa eccellente interprete? Io non credo proprio, considerato, inoltre, che Steven Spielberg la vuole protagonista nel suo prossimo film, il biopic su Abraham Lincoln in cui vestirà i panni di una delle First Lady più amate e studiate d’America, Mary Todd Lincoln, un ruolo per il quale era in lizza anche la più giovane Marcia Gay Harden.

    Bibliografia: James Bonderoff, Sally Field, St. Martin Pr., New York, 1987; Toby Goldsten, Sally Field, PaperJaks, 1988.

    Data di pubblicazione: (24 Luglio 2008)

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