Di nuovo al cinema dal 13 Maggio - VINCITORE di 7 David di Donatello 2021: 'Miglior film'; 'Miglior regista' (Giorgio Diritti); 'Miglior Attore Protagonista' (Elio Germano); 'Miglior Autore della Fotografia' (Matteo Cocco); 'Miglior Scenografo' (Ludovica Ferrario, Alessandra Mura e Paola Zamagni); 'Miglior Acconciatore' (Aldo Signoretti); 'Miglior suono' - David di Donatello 2021: 15 Nominations - Di nuovo al cinema dal 15 Agosto - Dalla Berlinale 2020: VINCITORE dell'Orso d'Argento al 'Miglior Attore' (Elio Germano) - Nel biopic di Giorgio Diritti sulla vita di Antonio Ligabue è Elio Germano a vestire i panni del grande pittore naif emiliano, figura di rilievo dell'arte contemporanea e internazionale, artista che amava dipingere leoni e giaguari, gorilla e tigri, tra gli sterminati boschi di pioppi, sulle banchine del fiume Po - RECENSIONE - Uscito al cinema il 4 Marzo
(Volevo nascondermi; ITALIA 2019; Biopic drammatico; 120'; Produz.: Rai Cinema e Palomar con il sostegno della Regione Emilia-Romagna; Distribuz.: 01 Distribution)
Sceneggiatura:
Giorgio Diritti e Tania Pedroni con la collaborazione di Fredo Valla
Soggetto: Giorgio Diritti e Fredo Valla.
Il regista Giorgio Diritti porta al cinema la storia di Antonio Costa, conosciuto come Ligabue, immaginifico pittore dalla tragica vita nato in Svizzera e cresciuto a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, dove è morto nel 1965. L'artista, affetto da rachitismo e soggetto ad attacchi di ira talmente violenti da richiederne il ricovero psichiatrico, è impersonato da Elio Germano.
Preliminaria - Elio Germano e i personaggi del passato storico:
Volevo nascondermi non è il primo film in cui Elio Germano interpreta un grande personaggio del passato: nel 2016, diretto da Renaud Fely e Arnaud Louvet, l'attore aveva impersonato San Francesco D'Assisi ne Il sogno di Francesco, mentre nel 2014 si era trasformato in Giacomo Leopardi ne Il giovane Favoloso di Mario Martone.
Con lo sfortunato poeta e scrittore di Recanati, l’Antonio Ligabue di Volevo nascondermi ha in comune il talento artistico e un'esistenza piuttosto dolorosa.
Nato a Zurigo nel 1899, Antonio Ligabue, al secolo Antonio Costa, ebbe un'infanzia difficile, segnata da problemi fisici come il gozzo e il rachitismo, e più tardi accusò disturbi mentali che lo portarono a penosi soggiorni in ospedali psichiatrici. Al contrario di Leopardi, che visse in ambienti aristocratici e frequentò il bel mondo intellettuale, trascorse la maggior parte del suo tempo sulle rive del Po, fra gli sconfinati pioppeti e le golene. E proprio il fiume ispirò i suoi dipinti, che passarono dalle raffigurazioni di animali sia domestici che esotici ai numerosi autoritratti, e da colori spenti e contorni sfumati a pennellate più corpose e tonalità più accese.
Cast: Elio Germano (Antonio Ligabue) Oliver Ewy (Ligabue adolescente) Leonardo Carrozzo (Ligabue bambino) Pietro Traldi (Renato Marino Mazzacurati) Orietta Notari (Madre di Mazzacurati) Andrea Gherpelli (Andrea Mozzali) Denis Campitelli (Nerone) Filippo Marchi (Vandino) Maurizio Pagliari (Sassi) Francesca Manfredini (Cesarina) Daniela Rossi (Madre di Cesarina) Mario Perrotta (Regista Andreassi) Paolo Dallasta (Giornalista Canova) Gianni Fantoni (Industriale Antonini) Paola Lavini (Pina)
Musica: Marco Biscarini e Daniele Furlati (musiche originali, edizioni musicali Ala Bianca Group e Palomar)
Makeup: Lorenzo Tamburini, Giuseppe Desiato e Aldo Signoretti
Scheda film aggiornata al:
24 Maggio 2021
Sinossi:
Il film racconta la vita dell'artista, che sin da bambino trova nella pittura il suo personale riscatto al senso di solitudine ed emarginazione. Toni, questo il nomignolo di Antonio, ha vissuto un'infanzia e un'adolescenza altrettanto difficili. Figlio di una donna italiana migrata in Svizzera, viene affidato a una coppia del posto, con la quale ha sempre avuto rapporti di amore e odio. Dopo aver aggredito la madre adottiva, viene espulso dalla Svizzera e malandato in Italia, dove vive sulle rive del Po, patendo non solo il freddo, ma anche la fame e soprattutto la solitudine. È in questo periodo che inizia a dipingere per impiegare il tempo e placare le ansie. È l'incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati che lo convince a dedicarsi completamente all'arte, unico modo per rintracciare la sua identità e per emergere in quel mondo di disperazione. Ed è così che quell'uomo un po' nomade, solitario, per nulla attraente, spesso schernito e noto in Italia come “El Tudesc†dipinge e da quella riva del Po crea un nuovo mondo, fatto di colori e di animali esotici.
La storia di Antonio Ligabue rappresenta un'occasione per riflettere sull'importanza della "diversità ", intesa come qualità , talento e dote preziosa che appartiene a ogni essere umano, che lo rende unico e capace di offrire qualcosa di utile alla società .
In altre parole:
Toni, figlio di una emigrante italiana, respinto in Italia dalla Svizzera dove ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza difficili, vive per anni in una capanna sul fiume senza mai cedere alla solitudine, al freddo e alla fame. L’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati è l’occasione per riavvicinarsi alla pittura, è l’inizio di un riscatto in cui sente che l’arte è l’unico tramite per costruire la sua identità , la vera possibilità di farsi riconoscere e amare dal mondo. “El Tudesc,†come lo chiama la gente è un uomo solo, rachitico, brutto, sovente deriso e umiliato, diventa il pittore immaginifico che dipinge il suo mondo fantastico di tigri, gorilla e giaguari, stando sulla sponda del Po. Sopraffatto da un regime che vuole “nascondere†i diversi e vittima delle sue angosce, viene richiuso in manicomio. Anche lì in breve riprende a dipingere. Più di tutti, Toni dipinge se stesso, come a confermare il suo desiderio di esistere al di là dei tanti rifiuti subiti fin dall’infanzia. L’uscita dall’Ospedale psichiatrico è il punto di svolta per un riscatto e un riconoscimento pubblico del suo talento. La fama gli consente di ostentare un raggiunto benessere e aprire il suo sguardo alla vita e ai sentimenti che sempre aveva represso. Le sue opere si rivelano nel tempo un dono per l’intera collettività , il dono della sua diversità .
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
"Volevo nascondermi… ero un uomo emarginato, un bambino solo, un matto da manicomio, ma volevo essere amato"
Con Volevo nascondermi Giorgio Diritti ha costruito una pellicola sofisticata, dai
tempi dilatati, e di un’accuratezza - scenografia, fotografia, musiche, costumi e personaggi tipo - che trasuda studio lenticolare e appassionato da tutti i pori. Così se Volevo nascondermi è questa piccola perla traslucida tra follia e genio, miseria oggettiva e ricchezza derivata da un’arte forse mai del tutto compresa, tra delirio dell’immaginazione e realtà dei tempi, si deve anche ad un tocco di regia di indubbio rilievo e di innegabile sensibilità , capace di addentrarsi nella fitta selva di una mente labirintica, in cui ogni suono, rumore o ‘lingua animale’ è arrivato amplificato alla massima potenza, prima ancora di ‘spalmarsi’ in quelle corpose e grasse pennellate che tutt’oggi gridano dalla tela, o di plasmarsi in sculture ‘urlanti’ di rimando. Ovvero, prima di tradursi in un’arte vissuta e sentita a pelle come sofferenza, specchio del consapevole dolore di non essere accettato, compreso e tanto meno amato.
Lo si scopre subito fin dai primi
fotogrammi, quel nobile tocco di regia che abbraccia a cuore aperto tutte le asperità del personaggio Ligabue, mentre si cede di proposito il timone alla sua mente psicotica, avviluppata nelle spire degli ossessivi rigurgiti di un’esistenza minata, fin dall’infanzia. Diritti ne sfoglia ossessioni e paure incontrollate, mentre traduce in un’immagine potentissima il titolo del film - volevo nascondermi - che esprime tutta la drammatica dimensione interiore del personaggio: lo dicono quell’occhio che emerge appena dall’oscurità di un drappeggio nero in cui si nasconde volontariamente; la soggettiva che segue e squadra con ansia le manovre del medico che lo ha in cura; quei rumori che gli rimbombano nella testa amplificati da farsi insopportabili e che innescano rievocazioni di episodi di un’infanzia travagliata sul filo della derisione e dell’emarginazione. Non si può fare a meno di notare come in questi frangenti suoni paradossalmente tragicomica l’amplificazione mentale applicata per l’appunto sui colpi di
monocromo, ammiccante ai momenti di isolamento del protagonista. Dal canto suo, Elio Germano, tradotto nel suo Ligabue, ha fatto un lavoro straordinario riuscendo a sventare il pericolo di scadere nel ‘macchiettismo’ - il che, considerate le esasperate e reiterate esternazioni del personaggio non era poi così improbabile - anche grazie all’impeccabile gioco di montaggio e a un percorso orchestrato come drammatica ‘sinfonia’ - illuminate anche le scelte musicali di accompagnamento - in grado di penetrare nella mente e nel cuore di un uomo nato diverso, in tempi in cui la carcerazione o gli ospedali psichiatrici si riconoscevano come i metodi più ortodossi.
E come poteva risollevarsi, o anche solo tentare di riscattarsi un’anima smarrita come Ligabue nella sua epoca? L’incontro, provvidenziale, con lo scultore Renato Marino Mazzacurati che lo convince a dedicarsi completamente all'arte, unico modo per rintracciare la sua identità e per emergere da quel mondo di disperazione, lo
salverà . Così, quell'uomo tutt’altro che attraente, un po' nomade e solitario, schernito regolarmente con tanto di appellativo dispregiativo - “El Tudesc†- su quella riva del Po inizia a creare un nuovo, eccentrico mondo, fatto di colori e di animali esotici, non di rado con le fauci spalancate, in un grido silente cui dà voce lo stesso Ligabue, in una involontaria, plateale, esternazione, nel disperato tentativo di affermare la propria esistenza, sia pure primitiva o, per meglio dire, primordiale. Ed ecco che il suo speciale ‘bestiario’ dipinto, o scolpito, diventa la ‘famiglia’, con cui sentirsi ‘a casa’. Una pittura che privilegia l’urlo interiore attraverso il tratteggio più semplice, se non semplificato, la realtà rievocata al di sopra della realtà stessa. Un linguaggio che esplode in tutta la sua fierezza dai primissimi piani di quelle pennellate ‘pastose’ che scorrono una dopo l’altra, sui titoli di coda: l’omaggio accorato all’essenza di un’arte
scaturita dall’animo martoriato di questo uomo che solo nell’arte ha potuto trovare il suo miglior riscatto. Così come nel piano sequenza dello splendido finale, sulle note di un vero e proprio inno dedicato all’invisibile, all’irrazionale, e alla diversità in senso lato, Ligabue ha potuto finalmente spiccare il volo verso la libertà e la luce piena.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)
trailer ufficiale:
clip 'I dipinti':
clip 'L'albero della cuccagna':
clip 'Verso Reggio Emilia':
Perle di sceneggiatura
"Si dice che non avete un lavoro, non avete una moglie, non contribuite in alcun modo alla crescita dell'Italia fascista!"
"Ma lei sa far solo delle bestie?!"
"Ligabue non può non scuoterci! Non convincerci!"