I ‘RECUPERATI’ di ‘CelluloidPortraits’ - Dalla 14. Festa del Cinema di Roma - Premiato al Sundance Film Festival 2019 - Film autobiografico, scritto da Shia LaBeouf sotto pseudonimo 'Otis Lort' (nome composto tedesco-danese traducibile come "ricco stronzo") durante un periodo trascorso in clinica per disintossicarsi dall'alcool - RECENSIONE
Soggetto: Honey Boy sarebbe ispirato alla storia del tormentato rapporto di Shia LaBeouf con il padre Jeffrey, tossico e alcolizzato: "Tutto lo schifo della mia vita - ha detto l'attore in un'intervista - viene da là , viene da lui".
Preliminaria - Dalla vita al cinema:
Artista di strada a San Francisco, il padre di Shia LaBeouf, Jeffrey, era entrato in crisi dopo il servizio militare in Vietnam, da cui era tornato gravemente dipendente dall'eroina. Disintossicatosi, e riciclatosi come insegnate di karate in una scuola cattolica, l'uomo aveva conosciuto per caso la madre di Shia, Shayna, un'ambulante. La coppia si era trasferita quasi subito in un appartamento a Echo Park, dove i due hanno cominciato a lavorare insieme nel teatro di strada, mantenendosi vendendo hot dog. "Quando i miei genitori condividevano un atto creativo, si amavano. Appena smettevano era la fine".
Quando Shia ha compiuto tre anni i genitori si sono separati. A nove anni lui e la madre sono stati sbattuti fuori casa, costretti a riparare a Tujunga, nella San Ferdinando Valley, in una zona molto malfamata. È qui che Shia, una sera, assiste allo stupro di sua madre. Non può far niente, è paralizzato dal terrore. Quando la donna va a sporgere denuncia contro ignoti, lui è con lei. A dieci anni decide di fare l'attore, cerca un agente sulle pagine gialle e nel 2000, a 13 anni, entra nel cast di Even Stevens. Suo padre Jeffrey, ripulito, è il suo agente: "honey boy" è il nomignolo con cui chiama il figlio.
Preliminaria - Shia Labeouf si racconta... e lo mette per scritto:
L'attore, produttore e ora sceneggiatore Shia LaBeouf è cresciuto sotto i riflettori, diventando un attore professionista all’età di 10 anni e una star televisiva a 14 anni nella sitcom di successo di Disney Channel Even Stevens. All’età di 20 anni, LaBeouf era già uno dei giovani attori più ricercati di Hollywood, con un curriculum che comprendeva la saga action di successo Transformers, due film di Lars von Trier e un capitolo della leggendaria saga di Indiana Jones di Steven Spielberg.
Nel 2017 la sua condotta nella vita privata aveva iniziato ad offuscare le sue premiate esibizioni e LaBeouf sembrava destinato al percorso tipico di molte baby star. Invece, un periodo di riabilitazione ordinato dal tribunale lo ha riportato in carreggiata come uno dei migliori attori della sua generazione e come nuovo entusiasmante sceneggiatore. Ordinatogli da un terapista di scrivere della sua infanzia travagliata, in particolare della sua inquieta relazione con il padre, che lui pagava per fargli da supervisore, LaBeouf ha scritto il suo primo lungometraggio, Honey Boy, un racconto insolitamente intimo sulla relazione padre-figlio, intrisa di incomprensioni, competizione, traumi - e amore indistruttibile.
Cast: Shia LaBeouf (James Lort) Lucas Hedges (Otis Lort) Noah Jupe (Otis Lort da giovane) Byron Bowers (Percy) Laura San Giacomo (Dott.ssa Moreno) FKA Twigs (Little Q) Natasha Lyonne (Mom) Maika Monroe (Sandra) Clifton Collins Jr. (Tom) Mario Ponce (Tiny) Martin Starr (Alec) Haylee Sanchez (Ragazza in carriera) Dorian Brown Pham (Pam) Greta Jung (AD) Laurene Alvarado (Truccatrice di Otis)
Musica: Alex Somers
Costumi: Natalie O'Brien
Scenografia: Jc Molina
Fotografia: Natasha Braier
Montaggio: Dominic LaPerriere e Monica Salazar
Makeup: Ken Diaz (direzione); Laurene Alvarado
Casting: Chelsea Ellis Bloch, John Papsidera e Jennifer Venditti
Scheda film aggiornata al:
19 Dicembre 2020
Sinossi:
In breve:
Da una sceneggiatura di Shia LaBeouf, basata sulle sue esperienze personali, la pluripremiata regista Alma Har’el porta in vita l'infanzia burrascosa e i primi anni dell’età adulta di un giovane attore, mentre lotta per riconciliarsi con suo padre attraverso il cinema e i sogni. Portando in scena il passaggio dall’infanzia alla celebrità , e i successivi momenti della riabilitazione e della guarigione in età più adulta, Har’el sceglie Noah Jupe e Lucas Hedges per vestire i panni di Otis Lort, che si addentra nelle diverse fasi di una frenetica carriera. LaBeouf affronta la sfida audace e terapeutica di interpretare suo padre, ex clown di rodeo e criminale. L’artista e musicista FKA twigs fa il suo debutto come attrice, interpretando la vicina - spirito affine del giovane Otis - del motel in cui vive il ragazzo. Il primo lungometraggio di Har’el è una collaborazione unica nel suo genere tra regia e soggetto, che esplora ì l'arte come terapia e l'immaginazione come speranza.
Synopsis:
A young actor's stormy childhood and early adult years as he struggles to reconcile with his father and deal with his mental health.
From a screenplay by Shia LaBeouf, based on his own experiences, award-winning filmmaker Alma Har'el brings to life a young actor's stormy childhood and early adult years as he struggles to reconcile with his father through cinema and dreams. Fictionalizing his childhood's ascent to stardom, and subsequent adult crash-landing into rehab and recovery, Har'el casts Noah Jupe and Lucas Hedges as Otis Lort, navigating different stages in a frenetic career. LaBeouf takes on the daring and therapeutic challenge of playing a version of his own father, an ex-rodeo clown and a felon. Artist and musician FKA twigs makes her feature-film debut, playing neighbor and kindred spirit to the younger Otis in their garden-court motel home. Har'el's feature narrative debut is a one-of-a-kind collaboration between filmmaker and subject, exploring art as medicine and imagination as hope
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
“Devi tenerlo a bada il rancore o finirà per uccidertiâ€
Il set e la vita reale. Difficile distinguerli. Difficile dire quale dei due sia più importante. Non è un caso che la prima scena di Honey Boy, il primo di tutta una serie di flashback d’infanzia, sia per l’appunto quella di un set cinematografico. Un’infanzia da star, non propriamente edificante, condivisa con un padre tossico e alcolizzato, clown per professione, con la pretesa (d’obbligo) di fare da manager al proprio figlio. Ma come ci si potrà sentire ad essere mantenuti dal proprio figlio? E come ci si potrà sentire di fronte ad un talento vero e di gran lunga superiore al proprio? Il padre del film ha tutta la potenza di un’anima strascicata, alla deriva, avviluppata in un conglomerato di contraddizioni e di rabbia compressa pronta ad esplodere, ritratta da Shia LeBeouf. E’ qui che la finzione si mescola alla vita
Se Shia ha voluto incarnare il proprio padre, a calarsi nei panni dello stesso Shia da adulto è toccato invece a Lucas Hedges (Ben is Back, Boy Erased-Vite Cancellate), altrettanto intenso, mentre a ritrarre Shia da bambino è il talentuoso Noah Jupe (Wonder, A Quiet Place-Un posto tranquillo). Ne esce un affresco ‘borderline’, in un continuo andirivieni tra scorci d’infanzia e di gioventù,
il cui unico collante è quel tormento sfociato in quell’aggressività su cui deve per l’appunto lavorare il protagonista per riuscire a tirarsene fuori. E’ stato l’obiettivo di Shia, che nel film si affida all’alter ego di Otis: un alter ego che si riproduce basculante tra Noah Jupe e Lucas Hedges, prima di farci scoprire come sia finalmente arrivato a trovare la quadra.
Così, se Honey Boy risulta una delle più eccentriche autobiografie tradotte sul grande schermo, oltre che alle viscerali interpretazioni, si deve al tocco di regia della pluripremiata documentarista Alma Ha’rel, amica e collaboratrice dello stesso Shia LeBeouf. Un tocco derivato da quell’estetica originale che contraddistingue il suo lavoro, già presente nei suoi due film precedenti: Bombay Beach - un'accurata riflessione sulle vite di un gruppo di outsider che vivono in una degradata cittadina sulle sponde di Salton Sea in California - e LoveTrue. Con Honey Boy Alma Ha’rel sembra
aver dunque proseguito quella linea ideale che, a detta dello stesso Shia, altro non è se non il singolare approccio al cinema della giovane cineasta: approccio che rispecchia certi aspetti della terapia della gestalt, in cui i pazienti usano i giochi di ruolo per risolvere i conflitti passati. Lo stesso approccio che, difatti, ha costituito per l’appunto la terapia di Shia nella clinica riabilitativa. Finzione e realtà non solo qui si toccano, ma finiscono per sovrapporsi in un unico elemento che si fa vita. Non un’operazione di poco conto, sia sul piano reale che su quello cinematografico, eppure, non sempre al top come appeal e presa sul pubblico.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)