"L'altruismo è il miglior modo per essere egoisti"
Ci eravamo lasciati sull'ultima nota del pentagramma: la battuta sullo 'smandibolamento' che Paolo Sorrentino sembra aver ereditato da Crozza per poi rimpastarla a modo suo. E, come avevo intuito - abbastanza irritata per la litanìa dello 'sniffa e fotti' inscenato ad oltranza nell'atto 1° - Sorrentino riequilibra il tutto nell'atto secondo di Loro, con un ribaltamento di primi piani, occupandosi ben poco di 'Loro' e molto più di 'Lui' - si, 'lui, lui', come sempre - lasciando all'immaginazione, d'altra parte già ben nutrita fino all'indigestione nel 1° atto, la tanto vociferata sfera 'bidimensionale' del 'bunga, bunga'. E non poteva essere altrimenti. Pena la bocciatura piena di Sorrentino sul pianeta filmico 'Silvio Berlusconi e dintorni'.
Scende di qualche gradino l'apertura del numero 2: la depilazione inguinale a bordo piscina non regge il livello delle sequenze della pecora nel prologo del numero 1. Ma non
bisogna dimenticare un aspetto fondamentale: Paolo Sorrentino ha evidentemente concepito Loro come un dittico e come tale deve essere visto. E a pensarci bene non fa una piega, per quanto si possa inveire contro l'inguardabile primo atto, sul quale Sorrentino sembra aver giocato davvero un pò troppo. In pratica il 'bunga bunga' c'è stato. Solo che è stato più un vizio di forma di 'loro', squallidi depravati arrivisti protesi verso 'lui' come lucci assetati di uno spicchio di quel potere, di quel denaro - il più possibile! che tanto non guasta e non basta mai! - e di quella vita ritenuta 'bella' ma che poi ai dati di fatto è la più brutta che si possa desiderare. Una parabola in falsa ascesa tendente per suo connaturato istinto al grafico discendente con possibile, rovinosa, o persino rovinosissima, caduta. E non entro neppure nel merito di quel giochetto all'insegna dello smascheramento di
anzi moltissime - decisamente troppe - altre coppie scoppiano. Problemi di donne e di uomini dell'oggi (lo stesso Sorrentino ed Elena Sofia Ricci hanno dichiarato all'unisono) ma a dispetto anche di quella didascalia liberatoria posta nuovamente a tutelare possibili guai legali in vista, lo sguardo si appunta di fatto su una vicenda politica ed umana personali, anzi personalissime e tanto imbarazzanti.
Ad aprire veramente le cortine dell'atto secondo non ci sembra poi neppure quell'incidentale depilazione inguinale, quanto piuttosto quella sorta di lungo monologo che Toni Servillo nelle vesti di Ennio ha messo in scena di fronte a se stesso nei paramenti di Silvio Berlusconi. Forte di una sceneggiatura pirotecnica e oltremodo illuminante Servillo serve nell'occasione un cocktail effervescente di verità , argomentando sulla dote di persuasione quale pilastro della politica berlusconiana. Una lezione ben appresa dallo stesso Ennio, al punto da potersi permettere di spalmare consigli per dissolvere la depressione di
Silvio: consigli sul da farsi per 'comprare' quei sei senatori mancanti alla conta, per poter di nuovo avere la maggioranza e governare il Paese. Le dinamiche successive visualizzano in modo tragicomico il chi, come e quando. E Sorrentino, cineasta graffiante per contenuto ed immagini, conta per Berlusconi servendosi della grafica. Ci si avvia così verso un ritratto di persona che emana un irresistibile profumo di potere, speculare ad una profonda solitudine interiore. L'ombra lunga della definitiva separazione dalla moglie Veronica (Elena Sofia Ricci qui in un nudo integrale che canta lirica esistenziale) incombe e pesa più di quanto mai immaginato. Ma Silvio/Servillo continua ad apparire sempre più irresistibile agli occhi di chi desidera ardentemente qualcosa che non può ottenere da solo: ne sa qualcosa il Sergio Morra di Riccardo Scamarcio che gli gira attorno come un moscone sulla cacca con velleità di raggiungere il Parlamento Europeo e lo sa altrettanto
bene il coro di olgettine che orbita nella sua area gravitazionale, nella speranza di aprire un varco preferenziale nella strada al successo personale, in tv o al cinema, se non proprio in quel Parlamento da 'svecchiare' così come loro promesso dal Cavaliere, preziosi regali alla mano: la parata di collanine d'oro con pendente a farfalla docet, mentre il tocco allegorico decolla su significati altri. La scelta della farfalla non è affatto casuale ma ben studiata e opportunamente esibita!
Qualche festa più o meno moderatamente 'orgiastica' non poteva d'altra parte mancare per non interrompere del tutto il filo con il primo atto (la minestra è ancora lì che deborda dalla pentola). Dopo aver intinto nello split screen per certe dinamiche di produzione e di casting televisivo e cinematografico (vedi come e chi si aggiudica il ruolo di Lady D), a documento del Berlusconi imprenditore, ci sorge un dubbio. Per caso Paolo
tastare la propria capacità di persuasione - si piazzano non troppo lontano dalle sponde della consapevolezza. La consapevolezza di una decadenza ineluttabile che non contempla compravendita alcuna. Sono questi solo alcuni dei tratteggi di cui Sorrentino si serve per incoraggiare venti di malinconica solitudine, vuoto e povertà interiori a dispetto di cotanta ostentata ricchezza. E due confronti cruciali con due donne diverse per età e temperamento non faranno che peggiorare lo stato d'animo per quanto non lo si voglia dare a vedere. Il confronto con la giovane Stella (Alice Pagani) che con un gentile candore spiazzante sbatte in faccia al cavaliere la dura realtà , rifiutandone le avances: dal modo patetico di togliersi le scarpe allineate al fianco del letto, alla siderale differenza di età (lei 20 anni lui 70), all'alito che è uguale a quello di suo nonno, tanto per fare qualche esempio. E se in questa circostanza la sceneggiatura
schiaffeggia già abbastanza il Cavaliere come merita, è nulla comparato al secondo confronto, quello più duro e lacerante, con la moglie Veronica (Ricci). Un duello verbale tra i più cruenti, per una resa dei conti in cui i due coniugi si smascherano a vicenda, malgrado il male che sentono nello staccare la maschera incollata sul volto. Duello verbale di cui Sorrentino si serve per dare pane al pane e vino al vino e qui, le generalizzazioni sembrano funzionare ben poco: le frecciatine avvelenate che mirano al bersaglio di un certo modo di fare, imbrogliando le carte, in famiglia tanto quanto in politica, finiscono per avere la meglio e non sbagliano indirizzo per la consegna a domicilio.
Direi che mi sono dilungata abbastanza nella digressione per scoperchiare i coperchi della pentola numero due, ma vado subito a riacciuffare la dimensione dittico del doppio film, su cui si potrebbe scrivere un libro più
che farsi portavoce del miglior tocco artistico di Paolo Sorrentino. Quello che sbatte porte invisibili, aprendo ora sulla metafora ora sulla realtà , e che ne dilata la portata fino a renderle un unicum. Un universo umano autentico che trasmuta in un'attesa perenne come la neve ad alta quota. L'attesa di poter recuperare le proprie cose e i piccoli momenti di tutti i giorni che rappresentano l'anima di vite semplici ma dignitose. L'attesa di poter di nuovo rialzare lo sguardo verso un futuro. E poi si dice che i politici non mantengono le promesse! Beh, almeno due il Berlusconi di Servillo le ha mantenute: il regalo di una nuova dentiera all'anziana signora e il recupero del Crocifisso richiesto a gran voce dalla gente. Che tenerezza! Forse l'unica nota che rischia di suonare sarcastica quando contestualizzata. Sorrentino è un maestro nel giocare con queste cose: se guardate a cosa lega il crollo
degli edifici che ritraggono il terremoto, realistico e metaforico al contempo - la parola macerie d'altra parte si sposa bene con molte cose! - capirete cosa intendo dire. Nessun giudizio. Eppure quel Crocifisso riesumato dalle macerie e su di queste adagiato sembra aver molto da dire. Solo un telo come lenzuolo. Ed è rosso sangue.
Secondo commento critico (a cura di La parola al film)