RECENSIONE - Tra i più attesi!!! - Premio alla 'Migliore Sceneggiatura' (Lynne Ramsay) e al 'Migliore Attore' (Joaquin Phoenix) al Festival del Cinema di Cannes 2017 - Dal 1° maggio
"Per me inizia tutto dal personaggio, un uomo di mezza età in crisi. Da lì tutto si è evoluto in direzioni anche per noi imprevedibili..."
La regista e sceneggiatrice Lynne Ramsay
"Uno degli obiettivi che ad un certo punto ci siamo posti è stato di esplorare diversi tipi di mascolinità . Il personaggio ha una brutalità che è sempre in agguato al pari di una grande tenerezza. Parlare di queste cose in un film di questo genere mi pare molto interessante. Poi c’è anche da dire che quando inizi a fare un film è lui, il film, a dirti cosa vuole essere, mentre lo fai inizia a cambiare e diventare cose che vanno anche al di là della tua comprensione. Ed è proprio il momento in cui ti arrendi e smetti di cercare di dargli una forma, che il processo diventa sorprendente. Almeno per me è quella la cosa bella. La semplice domanda: 'Che cosa può essere di altro questa scena che stiamo per girare?' è ciò che ti fa combattere il genere, inteso come la struttura fissa di un film. Abbiamo cercato di pensare ogni scena non per quello che era ma per quello che di diverso poteva essere, per esplorare quel che solitamente non si esplora. Ad esempio nella scena finale, quella con il cecchino in cui tutti e due stiamo per terra, addirittura provi una certa simpatia per questo personaggio che ha comunque ucciso mia madre"
L'attore Joaquin Phoenix
(You Were Never Really Here; REGNO UNITO/FRANCIA/USA 2017; Thriller drammatico del mistero; 95'; Produz.: Page 114/Why Not Productions; Distribuz.: Europictures)
Titolo in lingua originale:
You Were Never Really Here
Anno di produzione:
2017
Anno di uscita:
2018
Regia: Lynne Ramsay
Sceneggiatura:
Lynne Ramsay
Soggetto: Dal romanzo di Jonathan Ames, Non sei mai stato qui (Baldini & Castoldi editore)
Cast: Joaquin Phoenix (Joe) Ekaterina Samsonov (Nina Votto) Alessandro Nivola (Governatore Williams) Alex Manette (Senatore Albert Votto) John Doman (John McCleary) Judith Roberts (Madre di Joe) Jason Babinsky (Occhio della Provvidenza) Frank Pando (Angel) Kate Easton (Madre del giovane Joe) Madison Arnold (Commensale) Dante Pereira-Olson (Il giovane Joe) Jonathan Wilde (Padre del giovane Joe) Ronan Summers (Altro padre del giovane Joe) Larry Canady (Tassista a Cincinatti) Vinicius Damasceno (Moises) Cast completo
Neo Randall (Amico di Moises) Scott Price (Criminale in fin di vita) Edward Latham (Spacciatore) Claire Hsu (Ragazza che fissa) Denis Ozer (Ragazzo Afghano) Tia-Sophia Bush (Ragazza Afghana) Lucy Lan Lao (Ragazza morta) Annie Mac-Yang (Ragazza morta) Lilian Tsang (Ragazza morta)
Musica: Jonny Greenwood
Costumi: Malgosia Turzanska
Scenografia: Tim Grimes
Fotografia: Thomas Townend
Montaggio: Joe Bini
Makeup: James Sarzotti (direttore)
Casting: Billy Hopkins e Ashley Ingram
Scheda film aggiornata al:
16 Aprile 2023
Sinossi:
In breve:
Il protagonista è Joe (Joaquin Phoenix), ex marine ed ex agente dell’FBI che ha visto troppe tragedie nella sua vita e troppe scene del crimine nella sua carriera. Vive solitario, nelle pieghe nascoste della società metropolitana americana, auto investito della missione di salvatore di giovani donne incastrate nei racket della prostituzione. Un politico di New York lo incarica di ritrovare la figlia e Joe scopre un giro di pedofilia e corruzione ad alti livelli. Niente lo trattiene dal reagire con violenza inaudita.
A traumatized veteran, unafraid of violence, tracks down missing girls for a living. When a job spins out of control, Joe's nightmares overtake him as a conspiracy is uncovered leading to what may be his death trip or his awakening
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
"Solo quel cazzo di femminucce curvano le spalle, ricorda!"
su tre pilastri fondamentali: le musiche (di Jonny Greenwood) nelle variabili che si assimilano ai vari momenti del dramma - che poi è un dramma sfrangiato almeno su tre versanti - l'elemento assenza a valenza evocatrice e ammiccante, di cui fanno parte integrante i silenzi tanto quanto l'emblematico e potentissimo conteggio numerico scombinato, e l'iconico accento della maggior parte delle immagini. Mi concedo lo stesso qualche esempio: quella testa infilata dentro un cellophane che respira a fatica, quei piedi che strusciano sulla sabbia o quello scorcio cittadino notturno punteggiato di luci che guadagna lo spazio dell'intero fotogramma quasi fosse un dipinto. Particolari tanto estranianti ad un primo impatto che rilasciano goccia a goccia la loro reale portata e che vanno a solidificare il magma sofferto di tutto il non detto del film. Non è estetica questa, si tratta invece dei più potenti passaggi visivi di una sceneggiatura scritta anche con
le immagini, silenti, potentemente evocative, che talvolta chiamano a loro volta la rievocazione. In tre o quattro fotogrammi sbozzati di flashback - mai d'altra parte presentati come tali - sbaragliati qua e là nel film, la regista e sceneggiatrice Lynne Ramsay (... e ora parliamo di Kevin) tratteggia il dramma dell'infanzia a sua volta abusata - ma non solo di quella! - del protagonista.
Lei si è guadagnata il Premio alla 'Miglior Sceneggiatura' al 70. Festival del Cinema di Cannes. Lui, il protagonista, il Premio al 'Miglior Attore'. Lui, quello che riesce sempre ad illuminarsi d'immenso proprio negli anfratti più bui e fra le tinte più fosche di ogni suo personaggio. Lui, già candidato a 3 premi Oscar: come 'Miglior attore non protagonista' per Il gladiatore e come 'Miglior attore protagonista' per Quando l'amore brucia l'anima - Walk the Line e The Master. E lui è Joaquin Phoenix, un
mostro sacro dell'interpretazione del cinema contemporaneo che qui si traduce in uno sformato e cicatrizzato veterano di guerra ed ex agente dell'FBI Joe. Un individuo tormentato dai fantasmi del suo passato, isolato da tutti e da tutto mentre si prende cura dell'anziana madre già affetta da demenza senile, tradotto in sicario specializzato nella guerra contro i trafficanti del sesso. Ecco, calato fino al midollo nel suo Joe, Phoenix intreccia con regia e sceneggiatura un sodalizio monumentale, tale da trasformare A Beautiful Day in un'opera d'arte indirettamente dedicata a tutte le vittime di quella piaga sociale di cui il film si fa portavoce come mai nessuno prima. Lo stesso romanzo di Jonathan Ames, Non sei mai stato qui cui si ispira il film ha un imprinting narrativo ben diverso.
Una piaga sociale che riconduce al traffico del sesso e all'abuso minorile mentre occhieggiano al contempo gradi e livelli di corruzione ai
piani alti della politica. La violazione degli inviolabili mentre si reclutano guardie del corpo a tutela della violazione stessa. Il dolore che non grida. Semmai conta: 16, 15, 14... per portarsi mentalmente altrove. Non c'è immagine, solo una voce fuori campo che vale tanto quanto una sceneggiatura ciclopica. Dire non dicendo, vedere attraverso gli effetti senza passare per l'azione (lo dicono gli schizzi di sangue sul volto di Joe in una particolare sequenza come si dice d'altra parte in gran parte del film). Muoversi per i primissimi piani di volti, oggetti, ambienti, nella fittissima selva di riprese a campo strettissimo - un vero e proprio motivo firma - tallonando la mente tormentata del protagonista Joe/Phoenix, tradotto in silente giustiziere, in favore delle tante giovani vittime come Nina (Ekaterina Samsonov), la ragazzina scomparsa, figlia di un senatore newyorchese. Poco più di un cameo allargato nel film. Il Joe di Phoenix a
tutto campo sulle sue tracce, eppure presenza costante proprio nell'oggettiva assenza. Sono questi alcuni tratti fondamentali dello stile di A beautiful Day che usano l'evocazione come essenziale e minimalista grammatica narrativa, riuscendo a spiazzare facendo a meno del 'sensazionalismo' ad effetto. Anche se per le battute finali dell'epilogo non sarebbe fuori luogo appellarsi proprio all'aggettivo di sensazionali. Persino il prolungato piano sequenza sui titoli di coda, dopo aver disorientato lo spettatore con quel che è reale, di contro al frutto di una tormentata visione, si serve dell'assenza, per liberare... l'insostenibile leggerezza dell'essere.