RECENSIONE - Da Milano al Senegal, il tema 'migranti' con paradossi e ironia - Antonio Albanese a 360°, scrive, interpreta e dirige una storia che tratta in modo comico il delicato tema dell'immigrazione - Dal 29 marzo
"Abbiamo lavorato alla nostra storia cercando di raccontare questioni complesse in modo paradossale. La folle idea di partenza, se tutti riportassero un migrante a casa il problema sarebbe risolto, fa da perfetto innesco per una vicenda che porterà il nostro racconto ironico da Milano al Senegal in un continuo equilibrio tra lucida realtà e lucida follia"
Il regista, sceneggiatore e attore Antonio Albanese
(Contromano (già 'A casa'); ITALIA 2016; Dramedy; 102'; Produz.: Fandango/Rai Cinema; Distribuz.: 01 Distribution)
E pensare che con Come un gatto in tangenziale avevamo ritrovato l'Antonio Albanese più brillante. La commedia, piuttosto divertente, non dimenticava il suo obiettivo a carattere sociale, per quanto occhieggiante tra le righe dello sfondo. Al suo fianco c'era però Paola Cortellesi e alla regia Riccardo Milani. E' d'altra parte curioso il fatto che, quando Antonio Albanese si ritaglia un personaggio con la funzione del contraltare, è quasi sempre il contrapposto più serio, più teorico, più compunto, socialmente più elevato, velato di malinconia. In Come un gatto in tangenziale era l'intellettuale politico Giovanni, questa volta, in Contromano, è il negoziante di calze annessi e connessi Mario nel cuore di Milano, popolato da 'migranti' che vendono la sua stessa merce a prezzo ben più basso. Un maniaco della precisione e dell'ordine il nostro Mario/Albanese, affettivamente legato a filo doppio a tradizioni e vecchie abitudini:
interpreta ma pure dirige, mentre collabora alla sceneggiatura - povera e lacunosa che più non si potrebbe! - con Andrea Salerno e Stefano Bises.
Non si pretendeva una commedia per forza. Contromano poteva essere qualsiasi cosa, ma non un 'polpettone' che prima promette una ricetta e poi la svuota del tutto dei suoi ingredienti migliori. Si capiscono le buone intenzioni e quel gran fiume di parole non dette alla luce dei moralissimi propositi che Albanese aveva in canna e con cui ha poi d'altra parte mancato il bersaglio. E qui il razzismo non c'entra proprio nulla - metro di misura che non è mai appartenuto! - anche se con il paradosso di capovolgere letteralmente le due opposte realtà sociali, francamente non si sa dove si volesse andare a parare. I personaggi spalla poi, non servono neppure da contorno: è ad esempio il caso della Gisella di Daniela Piperno, cartina
tornasole della grande solitudine del nostro Mario/Albanese, o dell'inserto del disabile, con la - legittima, per carità ! - passione per la 'fica', che scompare nel nulla, o per meglio dire, a bordo di una barca con amici. Il finale del film poi, ha un senso solo come provocazione, magari traducibile con 'mettetevi nei loro panni', e non - almeno è quel che spero - come punto di arrivo, come approdo auspicabile. Un finale che poi, curiosamente, a ben guardare, nasconde al suo cuore una sorta di 'effetto boomerang'. E' come se quella stessa piaga su cui si voleva mettere il dito - 'riportiamoli a casa loro' che poi diventa 'aiutiamoli a casa loro' - si materializzasse davanti ai nostri occhi come l'effettiva soluzione: se insegni loro come coltivare e produrre nella loro (fertile ?) terra, non hanno più bisogno di migrare in massa e le giovani generazioni che migrano e
mettono su famiglia nel Nord Italia possono così lavorare direttamente in negozio e non per strada. Ora sì che Mario/Albanese ha tradotto l'estraneità in amicizia! Un'amicizia persino parentale si direbbe!
Ma le opinioni e le scelte non si discutono se per arrivare a quel punto c'è qualcosa di interessante da vedere, da sentire, diverso dal vacuo imparare a nuotare, dal sostare in alberghi di lusso a spese del 'pollo' che si credeva cacciatore, dalla tristissima festa di matrimonio. Inciampi tediosi in una storia privata del suo reale spessore. Magari ci saremmo evitati di guardare costantemente l'orologio per controllare a che punto ci stavamo trovando. Peccato che il cuore del film pulsa stancamente per protrarsi inutilmente sul surreale percorso 'on the road' in cui il 'pretesto' poteva essere gestito con un minimo di verve in più - e senza la pretesa di escludere quel velo di malinconia che ci sta -
su un piatto d'argento, quale sarebbe stato il comportamento di Mario/Albanese e come sarebbe andata realmente a finire? Mah?! Le vie del cinema sono infinite! Quelle della netta e cruda realtà un pò meno!