Soggetto: Basato sull'omonimo spettacolo teatrale di Jean-Luc Lagarce, in cui lo scrittore torna nella sua città natale per annunciare la sua imminente morte alla famiglia.
Basato sull'omonimo spettacolo teatrale di Jean-Luc Lagarce, in cui lo scrittore torna nella sua città natale per annunciare la sua imminente morte alla famiglia.
Mentre il risentimento riscrive il corso del pomeriggio, tutti i tentativi di empatia vengono sabotati dall'incapacità della gente di ascoltare e amare.
SYNOPSIS:
Louis (Gaspard Ulliel), a terminally ill writer, returns home after a long absence to tell his family that he is dying.
After 12 years of absence, Louis (Gaspard Ulliel), a writer, goes back to his hometown, planning on announcing his upcoming death to his family. As resentment soon rewrites the course of the afternoon, fits and feuds unfold, fuelled by loneliness and doubt, while all attempts of empathy are sabotaged by people's incapacity to listen and love.
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
TENTARE NON COSTA NULLA... SOLO LA VITA
"Da qualche parte, un pò di tempo fa..." è la didascalia figlia unica delegata ad aprire l'occhio-spia attraverso una fessura stretta e lunga, oscura e tremula come l'animo del personaggio che di lì a poco ci si pare davanti seduto su un aereo, per metterci a parte, 'voice over', delle sue ansie più profonde, eppur della necessità di quel viaggio: "E così, dopo dodici anni di assenza, e nonostante la paura, ho deciso di tornare a trovarli..."
"... Esiste tutta una serie di motivazioni che ci spinge ad allontanarci e c'è tutta una serie di motivazioni che ci induce a tornare". Ed è semplicemente per questa linea di principio che il Louis di Gaspard Ulliel torna nella 'fossa dei leoni' di famiglia. Una famiglia che non conosce neppure. Non del tutto almeno. Non al suo completo. Una sorella (la Suzanne di Lea Seydoux) che è
cresciuta in sua assenza quando nel frattempo la famiglia si è allargata con Catherine (Marion Cotillard), l'impacciata e succube moglie dell'iracondo e fracassone fratello (l'Antoine di Vincent Cassel). Dei loro bambini si parla - ed è già un problema! - ma non compaiono mai sulla scena. Il primo passo verso una conoscenza che tenta di farsi strada, senza successo, nel modo più improbabile possibile. Ma tutto questo si infiltra tra le righe di una regia semplicemente spettacolare, sublimata da una sceneggiatura che si fa dolorosa sinfonia orchestrata con strumenti familiari, ma suonati in un modo del tutto inedito. E come le stesse note musicali trasmutano, affidando il proprio destino al compositore che se ne prende cura, così il film E' solo la fine del mondo trasale in un inno di dolorosa sofferenza interiore che manca l'incontro, l'abbraccio, il perdono tanto desiderato in quel particolare momento da questo neo figliol prodigo
contemporaneo. Un figlio mancato per tanto tempo e pertanto in qualche modo atteso con trepidazione. Una trepidazione nervosa che darà frutti insperati, tra forte disagio, smottamenti emotivi in punta di litigiosa aggressività - patrimonio indiscusso del frustrato fratello Antoine (Cassel) ma anche della sorella Suzanne (Seydoux) - profondo imbarazzo ed inadeguatezza, come l'esuberanza forzata della madre. Un pomeriggio annunciato come indubbiamente difficile, reso infernale da risentimenti, rancori covati nel tempo, pronti ad esplodere a catena come bombe ad orologeria, finendo per riscrivere interamente nel peggiore dei modi il corso di quella giornata fin troppo particolare. Una giornata interamente votata ai tentativi. I tentativi di costruire e dar vita in poche ore a qualcosa che alle volte neppure il tempo di un'intera esistenza può regalare. Figurarsi quando qualcuno vorrebbe riprendersi in un battito di ciglia 'il mal tolto' affettivo, fatto di tutta quell'empatia sincera e solidale ambita e pur mai esistita!
Sentimenti sabotati dalla totale incapacità e mancanza di volontà , di ascoltare, o semplicemente, di amare.
E' nella cifra stilistica di quest'attesa che incontriamo il 'leit motiv' del film. Un raffinatissimo incrocio di immagini alternato, dal personaggio in arrivo, ai preparativi della madre (Nathalie Baye), tra i primissimi piani di un piatto di portata e l'altra, allestiti con estetica tutta francese, e quelli di una cura personale come lo smalto blu sulle unghie. E la musica! Ah, la musica! La prima donna, qui assolutamente regale ad ogni cambio d'abito, come la selezione che sfila su questa passerella in celluloide, unica e ricchissima di scorci di marca 'impressionista' al servizio dell'espressionismo più viscerale, con quelle ricorrenti sbavature cromatiche, con quegli annebbiamenti visivi che vibrano in soggettiva la necessità di assentarsi per qualche momento, affogando nei propri pensieri, quasi a riprendere fiato e forza necessari per riuscire a muoversi veramente in quell'insolita e
Basato sull'omonimo spettacolo teatrale di Jean-Luc Lagarce, in cui uno scrittore torna nella città natale per annunciare la sua imminente morte alla famiglia, Juste la fin du monde (E' solo la fine del mondo) ne conserva tutta la lingua madre, non propriamente cinematografica. E non è una svista. E' lo stesso regista Xavier
ai propri errori, alle proprie mancanze, alle proprie assenze, alle occasioni mancate. Si direbbe che il teatro abbia qui offerto il suo miglior nutrimento al cinema e che entrambi, insieme, come una vecchia coppia affiatata, abbiano riscritto, intingendo il pennino nel calamaio del più pregiato inchiostro aureo dell'arte, una delle pagine più intensamente emozionanti di quell'imprevedibile, e non di rado dolorosa, avventura che è la vita.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano Lucky Red e Olga Brucciani (Ufficio Stampa Lucky Red)