LA VERITA' STA IN CIELO: APPRODA SUL GRANDE SCHERMO IL CASO EMANUELA ORLANDI PER LA REGIA DI ROBERTO FAENZA. NEL CAST RICCARDO SCAMARCIO, MAYA SANSA, GRETA SCARANO E VALENTINA LUDOVINI
RECENSIONE - Dal 6 OTTOBRE
«Per quanto il cinema sia sempre finzione, ogni avvenimento qui narrato è suffragato da una rigorosa documentazione, nonché da testimonianze confermate dalle varie inchieste con sentenze passate in giudicato. Come direbbe Shakespeare, in questa storia tutto è così incredibilmente vero da sembrare impossibile. È da 30 anni che questa storia attende di essere raccontata ed ora è arrivato il momento... Manca solo un metro da percorrere per arrivare alla verità, non so se ci arriveremo, ma con il mio film sollecito a compiere quest’ultimo sforzo per raccontare finalmente alla famiglia e all’Italia cosa è successo davvero a Emanuela Orlandi. Il titolo è tratto da una frase che papa Bergoglio ha detto all’orecchio del fratello di Emanuela, Pietro, 'Lei è in cielo'. Solo che io penso che la verità stia qui in terra. E con l’ultima sequenza del film pongo all’attenzione un’ipotesi che potrebbe diventare anche un assist per il giornalismo investigativo».
Il regista Roberto Faenza
(La verità sta in cielo; ITALIA 2015; drammatico; 94'; Produz.: Jean Vigo con Rai Cinema; Distribuz.: 01 Distribution)
Musica: Teho Teardo; Brando Mosca e Gian Luca Tamai (suono)
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Scenografia: Luisa Iemma
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Massimo Fiocchi
Makeup: Pierangela Biasi
Casting: Danny Stevens Millefiorini
Scheda film aggiornata al:
30 Ottobre 2016
Sinossi:
Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, quindicenne cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dal centro di Roma, dando inizio a uno dei più clamorosi casi irrisolti mai accaduti in Italia, conosciuto anche all’estero. Dopo decine di indagini, oscure ipotesi, coinvolgimento di “poteri forti”, depistaggi di ogni genere, una cosa è certa: Emanuela non ha fatto più ritorno a casa.
Sollecitata dallo scandalo “Mafia capitale” che attanaglia Roma ai giorni nostri, una rete televisiva inglese decide di inviare a Roma una giornalista di origine italiana (Maya Sansa) per raccontare dove tutto ebbe inizio: quel 22 giugno di tanti anni prima. Con l’aiuto di un’altra giornalista (Valentina Lodovini), inviata di un noto programma televisivo italiano, che ha scoperto una nuova pista, entra in scena un personaggio inquietante: Sabrina Minardi (Greta Scarano). E’ l’amante di Enrico De Pedis (Riccardo Scamarcio), meglio conosciuto come Renatino, il boss che ha saputo gestire meglio di ogni altro il malaffare della capitale, poi finendo sotto i colpi della banda rivale della Magliana. Nonostante il suo passato, Renatino verrà sepolto nella Basilica di S. Apollinare, nel cuore di Roma, proprio accanto alla scuola di musica frequentata da Emanuela: un altro mistero. La Minardi si decide a raccontare quanto afferma di sapere sul sequestro della ragazza. E’ la verità? Quale intreccio indicibile si cela dietro i delitti rimasti impuniti nell’arco di trent’anni?
Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)
Se Il caso Spotlight di Tom McCarthy aveva sferrato il primo pugno nello stomaco, il caso di Emanuela Orlandi, al centro de La verità sta in cielo, il film-inchiesta di Roberto Faenza, avrebbe potuto sferrare il secondo, anche più forte. Ma sta di fatto che Roberto Faenza non è Tom McCarthy e quel che poteva riecheggiare come altisonante denuncia su una mostruosa insabbiatura dalle dimensioni tentacolari di una gigantesca piovra - il che suona alquanto familiare se riferito alla 'mafia' criminale - può solo avanzare la pretesa di una denuncia, necessaria e benvenuta!, ma ahimè, di fatto fracassona e caotica, shakerata in un cocktail stracarico mal emulsionato. L'unico ingrediente in comune tra Il caso Spotlight e La verità sta in cielo è il Vaticano, sempre più sotto inchiesta a causa di maleodoranti mele marce, evidentemente fin troppo fruttuose per essere definitivamente tolte dal cesto comune. Maleodoranti a tal punto da
far arrivare gli olezzi ben oltre i confini nazionali, là dove ognuno può sentirsi in diritto di pontificare battute di scherno generalizzate e gratuite come quella messa in bocca da Faenza al direttore di cotal blasonata testata britannica "Grazie a Dio abbiamo il Big Ben e non il Vaticano". Magari Londra avesse solo il Big Ben! Che ogni Paese, come Storia insegna, abbia i suoi bravi scheletri nell'armadio, non c'è alcun dubbio, ma non è questo il punto.
"La stampa non fa altro che parlare di mafia capitale ma non ricordano dove tutto è cominciato". Il caso Orlandi sarebbe dunque la radice della melma attuale, un fango che non è evidentemente così facile da scuotere dai propri calzari, se da oltre trent'anni si mantiene in deposito, incrostato e indurito come il cemento - l'allusione al cemento è tristemente voluta e se vedrete il film ne capirete la ragione - a tutelare
il rovinoso e mendace silenzio sulla verità. Una verità che sta in cielo così come in terra. E' una questione di punti di vista. Sicuramente sì è consumata in terra e ve n'è traccia, un vero e proprio labirinto quello inscenato da Faenza, se sia autentico al cento per cento non sta me a dirlo, ma si sarà indubbiamente documentato a dovere. Una traccia talmente scomoda e con tutta probabilità orripilante da essere - vergognosamente! - preservata come una reliquia privata. E almeno l'eco, di verità come queste, raggiunge sempre il cielo. Oltraggio (la scomparsa nel nulla della quindicenne Emanuela Orlandi, cittadina nello Stato Vaticano in quanto figlia di un messo pontificio) nell'oltraggio (la tumulazione della salma dell'abile e potente boss della mala della capitale, detto 'Renatino' De Pedis, stereotipato nell'umbratile ritratto di Riccardo Scamarcio.
Però la cosa sconvolgente non è data tanto dai contenuti o, per meglio dire, dal
groviglio di contenuti, quella matassa inestricabile e informe, in cui nessuno, credo, possa entrare nel merito, se non con carte alla mano, accurate ricerche sul campo di documentazione verificabile e non - visto che il dossier della povera Orlandi se ne resta secretato negli scrigni vaticani con scarse possibilità di rinvenimento alla luce del giorno - ma il modo, la formula stilistica scelta per porvi l'occhio. Oddio! Un'idea ce la facciamo pure! Dobbiamo solo scavalcare a piè pari una fiumana di nomi, di fatti, di supposizioni, vomitati a velocità talora supersonica dall'anemica giornalista Maria di Maya Sansa, nel cruciale confronto-collaborazione con l'altra giornalista, ancora più anonima, Raffaella Notariale di Valentina Ludovini. Nessuna delle due ha una caratterizzazione personale da alimentare veramente il fuoco delle indagini, un vero incendio sulla carta ma di fatto consumato in un camino di quelli che sfoggiano fiamme artificiali. L'inchiesta di Maria/Sansa che spesso confabula in
inglese con il suo capo-redattore londinese, mentre Faenza si premura di sottotitolare in italiano, si intreccia con quegli stralci del rapporto di Raffaella/Ludovini che verifichiamo mano a mano con le sequenze che si avvicendano sullo schermo, stracolme di personaggi (particolarmente intrigante quello della Minardi di Greta Scarano), testimonianze, false piste, false identità, più o meno accorati 'mea culpa' - ma anche no - di alti rappresentanti ecclesiastici, e supposizioni nelle supposizioni, da far venire il mal di mare. Il racconto nel racconto del racconto, dai contenuti tanto scottanti quanto sfuggenti come anguille, un mix in ebollizione che alla fine erutta come un vulcano una lava di verbosità poco illuminanti. Resta quell'acre amaro in bocca tipico della fuliggine che aggredisce la gola e... una gran sete! Sete di quella verità che continua a fluttuare, appunto, tra terra e cielo. Ma chissà magari lo scopo era anche questo: scuotere un po' le
fondamenta a simulare un terremoto, che ha insito dentro di sé il caos per instillare la necessità di una ricostruzione. Certo che le didascalie finali non incoraggiano in tal senso.
Con la La verità sta in cielo Faenza tocca indubbiamente un soggetto scottante con tutto l'ardire di mettere il dito nella piaga costi quel che costi, e ci auguriamo senz'altro che raggiunga il suo scopo, che peraltro facciamo volentieri nostro, affinché il suo film, soprattutto il finale del suo film, possa diventare veramente "un assist per il giornalismo investigativo" come lui stesso si è augurato. Ma certo che minor rabbiosa veemenza sul piano stilistico avrebbe aiutato nella comprensione e condivisione di contenuti che valevano una più oculata, razionale e ordinata pesatura.
Bibliografia:
Nota: Si ringraziano 01 Distribution e Marcello Bisceglie (QuattroZeroQuattro)