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    Home Page > Movies & DVD > Everest

    EVEREST: UNA GIORNATA NERA DELLA STORIA, LA SCALATA SUL 'TETTO DEL MONDO' DEL 1996, RIVIVE SUL GRANDE SCHERMO CON IL REGISTA ISLANDESE BALTASAR KORMÃKUR E CON UN TEAM ATTORIALE 'ALL STAR' (JAKE GYLLENHAAL, JASON CLARKE, JOSH BROLIN, SAM WORTHINGTON, JOHN HAWKES, KEIRA KNIGHTLEY, ROBIN WRIGHT, EMILY WATSON)

    Dalla 72. Mostra del Cinema di Venezia - RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by JUSTIN CHANG (www.variety.com) - Tra i più attesi!!! - Dal 24 SETTEMBRE

    "I paesaggi ed il clima sono parte di me. In Islanda, la natura è sempre attiva e presente. I vulcani in eruzione e le valanghe che minacciano regolarmente i villaggi, ci fanno sempre ricordare la potenza di Madre Natura. Avendo viaggiato a cavallo attraverso gli altipiani islandesi per settimane, senza mai incontrare nessun segno di civiltà, ho sempre voluto raccontare la storia di persone che devono sfidare la natura, mettendo in luce le loro personalità in maniera sottile – facendosi un profondo esame introspettivo, e studiandosi a fondo. Per esperienza dico che non si conosceranno mai totalmente i propri amici se non in certe condizioni – come sono realmente fatti – se non in circostanze reali. Quindi, avermi dato l’opportunità di raccontare una storia particolare sulla montagna più alta del mondo, è stata un’occasione più unica che rara, che proprio non potevo rifiutare... Ho voluto rifarla nel modo più autentico possibile. Portare le persone in un viaggio sull’ Everest, e mostrar loro la montagna come non è stato possibile fare fino ad ora ... e allo stesso tempo creare una grande affinità ed empatia tra i personaggi, cosa rara per un film di un grande studio... L’Everest è una metafora per qualsiasi forma di ambizione, e chiunque abbia un'ambizione deve necessariamente inserirla ed adattarla nell’ambito della propria vita familiare. C'è la montagna e c'è la propria casa, e la distanza tra le due è immensa, e vanno in due direzioni opposte... Verrebbe da chiedere: 'Perché hanno bisogno di scalare l'Everest?' E nessuno troverebbe realmente la giusta risposta. Ma, si potrebbe anche chiedere: 'Perché avete bisogno di vivere la vita? Perché avete bisogno di fare carriera? 'Anche le persone con un sacco di soldi, hanno sempre bisogno di fare carriera. Quindi, è una di queste domande a cui è difficile trovare una risposta... La storia è ben nota e ben documentata. Ma ci sono molte versioni differenti, che spesso si contraddicono a vicenda".
    Il regista e co-produttore Baltasar Kormákur

    (Everest; USA/REGNO UNITO 2015; Thriller drammatico d'avventura; 121'; Produz.: Cross Creek Pictures/Universal Pictures/Walden Media/Working Title Films; Distribuz.: Universal Pictures International Italy)

    Locandina italiana Everest

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    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: Everest

    Titolo in lingua originale: Everest

    Anno di produzione: 2015

    Anno di uscita: 2015

    Regia: Baltasar Kormákur

    Sceneggiatura: Justin Isbell e William Nicholson

    Soggetto: Simon Beaufoy, Lem Dobbs e Mark Medoff.

    PRELIMINARIA - Perché l'Everest?

    Rischi incalcolabili. Difficoltà enormi. Anni di formazione per affrontare sfide impossibili da prevedere. Impensabile, condizioni inospitali. Eppure, per quasi un secolo, gli avventurieri di tutto il mondo hanno cercato di dare un senso più profondo alla loro vita quotidiana, tentando di raggiungere la vetta più alta - e più pericolosa – della Terra: il Monte Everest. Forse ispirati dallo spirito pionieristico incarnato da leggende dell’alpinismo come Tenzing Norgay e Sir Edmund Hillary. Oppure il volersi umiliare di fronte a Madre Natura. Sia che venga mossa dalla ricerca di una trasformazione spirituale, piuttosto che da una missione adrenalinica, non si può negare che l'umanità viene messa a nudo quando l'ambizione, la fragilità umana ed una violenta bufera di neve si scontrano tutte insieme sul cosiddetto Tetto del Mondo.

    Ispirato agli eventi incredibili accaduti nel 1996 durante una spedizione volta a raggiungere la vetta della montagna più alta del mondo, Everest documenta il viaggio maestoso di due spedizioni distinte, che sfidano al limite delle loro capacità una delle più feroci tempeste di neve mai affrontate dal genere umano. Con amicizie forgiate attraverso difficoltà e battaglie - testando il loro coraggio contro uno degli elementi più duri del pianeta - gli scalatori si troveranno ad affrontare degli ostacoli quasi insormontabili, come se la loro eterna ossessione fosse diventata una durissima lotta per la sopravvivenza.

    Una Giornata Nera della Storia: La Scalata del 1996

    Era una splendida mattina soleggiata del 10 Maggio 1996 quando Rob Hall, il capo prudente e meticoloso di Adventure Consultants con sede in Nuova Zelanda, e Scott Fischer, un alpinista di comprovata esperienza e team leader di Mountain Madness di Seattle, hanno guidato le loro squadre sulla salita finale verso il punto più alto della Terra: la vetta dell'Everest, 29.029 piedi (8.848 metri) sopra il livello del mare ... ossia la quota di crociera di un 747. Le squadre negli ultimi due mesi si erano preparati attentamente per affrontare il percorso che porta alla montagna colossale: a come adattarsi al freddo estremo ed all'aria sottile proprie di queste altitudini elevate, così come a gestire il livello di ossigeno, così basso in quei posti che anche la semplice camminata può diventare assolutamente estenuante.

    Quel giorno, tre alpinisti di Hall e due Sherpa hanno raggiunto la vetta ma, al di là delle previsioni, si è abbattuta su di loro una violenta tempesta che soffiava con la forza di un uragano, inghiottendo gli avventurieri durante la discesa dalla montagna. Mentre continuava ad infuriare la bufera, e cominciavano a calare le tenebre, Hall cercò invano di assistere un cliente esausto, il postino e scalatore Doug Hansen, che si trovava giù per una parete a 40 piedi nota come Hillary Step (28,840 ft. / 8.790 m), che prende il nome del leggendario alpinista neozelandese, Sir Edmund Hillary.

    In serata, Hall aveva esaurito tutte le sue energie negli sforzi per salvare Hansen. Non essendo in grado di continuare la discesa, è rimasto da solo, esposto alle intemperie sul versante Sud (28,752 ft. / 8764 m) passando due notti inimmaginabili, mentre la tempesta infuriava senza sosta. I venti spaventosamente forti, hanno paralizzato gli sforzi dei soccorritori ormai esausti, che non erano più in grado di trovare la strada nel buio, o perché accecati dal riflesso della neve. I tentativi di salvataggio dal basso erano stati sventati.

    Andy “Harold†Harris, una guida neo zelandese di Adventure Consultants, scomparso anch’egli sulla cima della montagna, è stato visto l'ultima volta risalire eroicamente fino alla Cima Sud, nel disperato tentativo di soccorrere Hall e Hansen. Pur avendo raggiunto Hall sulla vetta, dove hanno trascorso la notte in condizioni climatiche assurde, con un di vento di 80 mph a -40 gradi Fahrenheit, Harris scomparve nel buio della notte, non è mai più stato visto.

    Anche Fischer, che aveva raggiunto la cima con le sue guide, Anatoli Boukreev e Neal Beidleman e sei dei loro clienti, ha avuto serie difficoltà durante la discesa. Anche se accompagnato dallo Sherpa Lopsang, il capo Sherpa di Mountain Madness, poco sotto la cima Balcony (27.600 ft. / 8412 m), Fischer è crollato e ha convinto Lopsang a scendere senza di lui. Lopsang l’ha fatto, con la speranza di mandare qualcun altro nella tempesta con delle scorte di ossigeno supplementare per aiutare Fischer a scendere.

    Da parte sua Boukreev, essendo sceso con i suoi clienti nella prima parte della giornata, fece diversi tentativi per raggiungere Fischer, ma è stato costretto a tornare indietro a causa delle avverse condizioni climatiche. Più tardi, nella notte, riuscì a salvare altri alpinisti dispersi e rimasti bloccati a valle della montagna a 26.000 ft. (7.925 m) sotto la Cima Sud (chiamata così perché è il punto più basso di una cresta o di una sella tra due picchi).
    Nel frattempo, un altro scalatore stava lottando per la sopravvivenza a 2,789 ft. (850 m) in fondo alla montagna della Cima Sud: Beck Weathers, un patologo texano, che faceva parte del team di Adventure Consultants, colto da cecità da neve, durante la sua ascesa verso la cima. Anni prima, aveva subito un intervento chirurgico correttivo agli occhi, e durante la sua scalata attraverso la "Zona Morta" dell’ Everest -un luogo in cui l'ossigeno è così scarso che il corpo umano spegne tutti i sistemi vitali dell’organismo – l’altitudine ha iniziato ad offuscare il suo campo visivo, impedendogli di vedere tutto ciò che si trovava a un metro da lui.

    Hall fece promettere a Weathers di non proseguire la sua scalata, dicendogli di sedersi e aspettare il suo ritorno dalla cima in modo da poter scendere insieme. Poche ore dopo l’interruzione della sua scalata però, Weathers si trovò nel bel mezzo della tempesta, ed iniziò a lottare per proteggersi dai suoi effetti devastanti.

    Infine, un gruppo di compagni scalatori che scendevano dalla vetta raggiunsero il punto in cui si trovava Weathers e lo aiutarono. Si è così aggiunto alla cordata della Adventure Consultants guidata da Mike Groom che tentava disperatamente di trovare il Campo Quattro a circa 26.000 piedi (7.925 m), sulla Cima Sud. Ma la neve alzata dal vento ed il buio della notte che oscuravano anche il terreno sotto i loro piedi, non ha permesso loro di scorgere le tende sull’ ampia distesa informe del colle Sud. Esausti, si sono stretti insieme cercando di scaldarsi l’un l’altro con l’ultimo calore residuo, nella speranza di sopravvivere e superare le condizioni climatiche e le temperature sotto lo zero, e attendere una migliore visibilità per trovare i loro rispettivi campi base.

    Non appena la tempesta si è pacata, Groom sapeva di avere una piccola finestra per andare a chiedere aiuto. Ha lasciato Weathers ed altri quattro alpinisti, i quali erano in uno stato di incoscienza, per tornare al Campo Quattro e chiedere i soccorsi. A questo punto, tutti i soggetti coinvolti erano profondamente indeboliti. Quella giornata era iniziata 27 ore prima, e avevano finito le bombole di ossigeno, cibo e acqua. Assiderati, senza ossigeno ed affamati erano completamente esausti, ai margini della volontà di vivere.

    Gi aiuti arrivarono poche ore dopo. A tarda notte, Boukreev portò in salvo i restanti tre clienti della Mountain Madness. Ha amaramente constatato che i clienti di Hall, Weathers e Yasuko Namba, un’alpinista giapponese impegnata nel suo settimo dei Seven Summit, erano prossimi alla morte – praticamente assiderati e non più in grado di muoversi o parlare.
    In quello che fu poi descritto come un miracolo nel mondo dell’alpinismo, Weathers è riuscito a rianimarsi e - nonostante la sua visita rovinosamente offuscata, morto di freddo con le mani congelate fino ai polsi - barcollando ha trovato la strada per tornare alla tenda del Campo Quattro, il pomeriggio seguente. Il giorno dopo, è stato scortato giù dalla montagna al Campo Uno (19.800 ft. / 6035 m) da una squadra di soccorso formata da alpinisti di altre spedizioni. Chi lo ha visto, ha descritto Weathers come un cadavere ambulante.

    Nella stessa regione a quel tempo anche Guy Cotter, un'altra guida per Adventure Consultants, guidava una spedizione sull’adiacente Monte Pumori. Cotter era rimasto in contatto via radio con Hall durante il giorno del raggiungimento della vetta, e quando si è scatenata la bufera, ha subito capito la situazione disastrosa, e che il suo amico di lunga data era in serio pericolo di vita. La mattina seguente ha intrapreso la strada più breve per raggiungere il Campo Base dell'Everest (17.500 ft. / 5534 m) per prestare soccorso alla squadra.
    Invano, Cotter ha tentato di organizzare il salvataggio di Hall, ma due Sherpa salendo verso Hall sono stati costretti a tornare indietro a 350 ft. (106.7 m) sotto la sua posizione, esausti ed impossibilitati a continuare. Era evidente che la fatica e la tempesta stessa avevano preso il sopravvento su tutti. Semplicemente non c'erano persone in grado di aiutare Hall a scendere giù per i pendii scoscesi della montagna, e tutti i tentativi di portarlo in salvo sono stati vani. Alla fine, i sopravvissuti assediati sul Colle Sud, faticosamente hanno intrapreso la discesa dalla montagna con l'aiuto dei loro compagni Sherpa.

    Peach Weathers, e Lisa Choegyal ormai residente da tempo a Kathmandu, hanno lavorato al fianco dell'ambasciata americana per assicurare un elicottero militare nepalese per la ricerca del marito della Weathers, Beck, e di un altro scalatore all’altezza di 19.685 ft. (6.000 m), sulla cima dell’Icefall. Questo è stato considerato uno dei salvataggi più audaci mai effettuati sulle montagne Nepalesi.

    Weathers è sopravvissuto, ma la tempesta ha provocato la morte di Hall, Fischer, Harris, Hansen e Namba, così come di altri tre alpinisti di un gruppo composto da poliziotti di frontiera indo-tibetani – la prima squadra indiana a raggiungere la vetta del Colle Nord (23.031 ft. / 7020 m). A quel tempo, è stata la giornata più nera della storia del Monte Everest.

    Cast: Jake Gyllenhaal (Scott Fischer)
    Keira Knightley (Jan Hall)
    Robin Wright (Peach Weathers)
    Josh Brolin (Beck Weathers)
    Emily Watson (Helen Wilton)
    Sam Worthington (Guy Cotter)
    Jason Clarke (Rob Hall)
    Clive Standen (Ed Viesturs)
    John Hawkes (Doug Hansen)
    Vanessa Kirby (Sandy Hill Pittman)
    Elizabeth Debicki (Dr. Caroline Mackenzie)
    Michael Kelly (Jon Krakauer)
    Martin Henderson (Andy Harris)
    Tom Goodman-Hill (Neal Beidleman)
    Mia Goth (Meg)
    Cast completo

    Musica: Dario Marianelli

    Costumi: Guy Speranza

    Scenografia: Gary Freeman

    Fotografia: Salvatore Totino

    Montaggio: Mick Audsley

    Effetti Speciali: Richard Van Den Bergh (supervisore effetti speciali); Dadi Einarsson, Arne Kaupang e Glen Pratt (supervisori effetti visivi)

    Casting: Fiona Weir

    Scheda film aggiornata al: 10 Novembre 2015

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Ispirato da una serie di incredibili eventi accaduti durante una pericolosa spedizione volta a raggiungere la vetta della montagna più alta del mondo, EVEREST documenta le avversità del viaggio di due diverse spedizioni sfidate oltre i loro limiti da una delle più feroci tempeste di neve mai affrontate dall'uomo. Il loro coraggio sarà messo a dura prova dal più crudele dei quattro elementi, gli scalatori dovranno fronteggiare ostacoli al limite dell'impossibile come l'ossessione di una vita intera che si trasforma in una lotta mozzafiato per la sopravvivenza.

    SHORT SYNOPSIS:

    A hiking expedition on Mt. Everest is devastated by a severe snow storm.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    UN OMAGGIO DI STAMPO VERISTA DALLA GRANDE ANIMA COME SE NE SONO VISTI RARAMENTE. IL REGISTA ISLANDESE BATASAR KORAKUR, COME GIA' L'AUSTRALIANO PETER WEIR, SI E' MOSTRATO CAPACE DI FILMARE L'ANIMA NON TANTO DEI PROTAGONISTI, QUANTO DI QUELLA MATER/MATRIGNA NATURA IN TUTTI I SUOI ELEMENTI E IN TUTTA LA SUA INCONTENIBILE POTENZA. PER UNA VOLTA LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL PERICOLO SI FA DA PARTE, LASCIANDO IL PROTAGONISMO DELLA RIBALTA A QUELLA TENSIONE EMOTIVA INTERIORE AUTENTICA CHE SPINGE ALCUNE PERSONE COSI' TANTO OLTRE, SENZA ESSERE IN GRADO DI DARE UNA RISPOSTA PRECISA ED ESAUSTIVA, AD UNA BELLA DOMANDA: PERCHE' L'EVEREST? FORSE SEMLPICEMENTE PERCHE' LA SPIRITUALITA' - ANCHE QUELLA INCONSAPEVOLE - CHE MUOVE LA SPINTA, NON E' CONTENIBILE IN UNA MANCIATA DI PAROLE

    Il fatto stesso che si diano due opzioni di visione: classica e in 3D, non farebbe che avvalorare il sentore che neppure Everest, diretto e co-prodotto dal regista islandese Batasar Koràkur

    (Cani sciolti, Contraband, The Deep) possa essere immune dalla spettacolarizzazione del pericolo che ha già contagiato innumerevoli pellicole di genere. Ma è d'altra parte innegabile che Everest è anche un film con un'anima palpitante. E non solo per la rivisitazione sul grande schermo di un paio di spedizioni che riassumono il genere di esperienza incastonabile nell'avventura epica mozzafiato. Dobbiamo ammettere che le stesse radici islandesi di Koràkur, tradiscono quella congenita familiarità con il freddo che qui, come si suol dire, casca a fagiolo. Familiarità d'altra parte già sperimentata con un'altra storia di sopravvivenza messa a punto con lo stesso precedente The Depp (Nomination all'Oscar 2012), altra tragica storia vera, questa volta dell'unico sopravvissuto di una barca da pesca capovolta al largo della coste ghiacciate islandesi.

    Va poi da sè che una pletora di blasonatissime star come protagonisti aiuta parecchio: da Jason Clarke nei panni di Rob Hall, fondatore della Adventure Consultants

    e capo della spedizione, a Jake Gyllenhaal, che veste come una seconda pelle Scott Fischer, il capo spedizione per la Mountain Madness, affetto dal vizietto dell'alcol, alquanto poco propizio e funzionale alla responsabile salvaguardia della vita dei molti escursionisti scalatori che gli si affidano sotto lauto compenso. Ci sono poi: Josh Brolin, tradotto in Beck Weathers, un medico patologo texano con l’ambizione di scalare l’Everest; John Hawkes, il postino Doug Hansen, amante dell’avventura che aveva già tentato la scalata l’anno precedente; Sam Worthington, il collega guida ed amico intimo di Hall, Guy Cotter; Michael Kelly, quale giornalista della rivista "Outside" Jon Krakauer, integrato nel team di Hall. Ma in una squadra a predominanza maschile si distinguono tre donne in grado di lasciare il segno: prima fra tutte Emily Watson, il motore della Adventure Consultant, coordinatrice della logistica e direttrice del campo base Helen Wilton, seguita da Keira Knightley che nel

    ruolo di Jan Arnold, la moglie incinta di Rob, già sua assidua compagna di scalate, ci regala intense sequenze di naturale compartecipazione al dramma di grande commozione, e infine Robin Wright, qui tradotta in un cameo allargato come Peach Weathers, la moglie di Beck, nella casa di Dallas con i due figli, animata da un evidente livore per le continue assenze del marito, in cerca di completezza in vetta alle montagne.

    Eppure, cotanto protagonismo in Everest è centellinato dietro la vera star in primo piano che, di nome e di fatto, nella competizione tra persone, e nella competizione tra persone e Madre Natura, ha davvero sempre l'ultima parola: la montagna, qui filmata in un modo unico. Seguendo l'ottica di una profonda conoscenza e di una rara sensibilità in grado di interiorizzare ogni pulviscolo che fluttua nella rarefatta atmosfera, regina delle altitudini montane, di catturare l'anima di una roccia, di una

    raffica di vento, di una tempesta a distanza ravvicinata da un lembo di cielo sereno, del repentino mutamento climatico ad alta quota e di tutti gli annessi e connessi in spedizioni di cui gli stessi scalatori, protagonisti del turismo montano, vengono messi al corrente e preparati come si deve di volta in volta.

    Filmare l'anima degli elementi naturali. La forza misteriosa e sovrana di Mater/Matrigna Natura, ricca cornucopia di sorprese non sempre gradite, carica di fascino, aleggiante di mistero e dispensatrice di sensazioni uniche, capaci di far sfiorare con un dito il delirio di onnipotenza, tanto quanto di far annegare in quell'annientamento totale, definitivo, che veste le svariate irreparabili tragedie che la storia ci ha man mano consegnato. E allora, nascono i racconti di cronaca, o della memoria, a grappolo, spesso contraddittori, in cerca di responsabilità, di colpe, di errori evitabili o inevitabili a seconda dei casi, nella consapevolezza che

    ogni volta, al fianco di ogni spedizione, c'è sempre l'accompagnatrice fissa e scomoda: l'incognita. Ma è il rigore che ha mosso regia e produzione verso la realizzazione di questa magnetica pellicola, girata ad alta quota sulle cime dell’Everest in Nepal e sulle Alpi italiane, oltre che presso gli Studi di Cinecittà a Roma e i Pinewood Studios nel Regno Unito. Everest porge così un più che decoroso omaggio a un capitolo di esemplare resistenza umana, a monte dei lauti pasti consumati dai media di tutto il mondo sull'evento, con libri e documentari bestseller, già tra realtà e immaginazione, come attestano i racconti contraddittori degli eventi. Il film si ispira invece al saggio di Jon Krakauer (Into Thin Air - Aria Sottile, 1997), vale a dire proprio il giornalista che aveva fatto parte del team Adventure Consultants di Rob Hall quel mese di Maggio, documentando gli eventi per un articolo sulla

    rivista "Outside". Un diretto sopravvissuto dunque, alla cosiddetta 'Giornata Nera della Storia: la Scalata del 1996', in cui persero la vita otto persone. A questa fonte primaria vanno ad aggiungersi Left for Dead: My Journey Home from Everest - A Un Soffio dalla Fine) scritto dallo stesso Beck Weathers (nel film interpretato da Brolin), oltre alla trascrizione della conversazione finale via radio tra Rob Hall e sua moglie Jan Arnold, tradotta sul grande schermo da Jason Clarke e Keira Knightley in una delle sequenze più toccanti. E persino le famiglie degli scalatori coinvolti nel corso degli anni hanno deciso di rompere il silenzio per offrire il personale contributo volto ad illuminare il più fedelmente quei tragici eventi, intessendo un assiduo e costante dialogo con i filmmaker.

    Ma il rigore non avrebbe potuto tanto quanto l'interiorizzazione emotiva e la rarefatta spiritualità che aleggia e penetra ogni poro di questa pellicola. Mi viene

    in mente un altro grande regista che per altri versi, con altra mano, sapeva fare altrettanto. E quel regista è l'australiano Peter Weir. L'islandese Batasar Koràkur con il respiro di Everest ne ricorda i tratti più prossimi a quel senso di sospensione e, per l'appunto, spiritualità rarefatta qui celebrata anche nella tappa ad un monastero tibetano, e in un rituale di preghiera con l'acqua. Everest vive così dell'interiorizzazione di gran parte dei suoi fotogrammi. Lo spettacolo del dramma ad alto rischio non si fa certo mancare. Del resto ha fatto parte integrante, in qualche modo, della realtà, ma quello che viene messo a nudo sul grande schermo, fin dalle fasi preparatorie della squadra, o, per meglio dire, delle varie squadre, è la fragilità umana, protagonista su più piani e a diversi livelli. Una fragilità che non sempre si vede in grado di fronteggiare e di compensare la spinta, la variegata

    tensione emotiva che rende possibile quell'andare oltre. Per questo l'Everest di Koràkur è così vero - non si tralascia neppure l'aspetto poco 'spirituale' dell'operazione, appuntato sul merchandising a scopo di lucro, sulla competizione tra le guide e i rifiuti lasciati per terra da qualche sconsiderato escursionista di turno - ripulito da orpelli di zavorra emotiva, per quanto non ci si possa evitare momenti di inevitabile commozione. Soprattutto quando a prendere commiato sono i volti dei veri protagonisti della sfortunata spedizione, inclusa Sarah, allora ancora in grembo alla madre e oggi una bella ragazza cui il padre ha scelto il nome proprio sulle pendici dell'Everest, la metafora per eccellenza dell'umano andare oltre.

    Secondo commento critico (a cura di JUSTIN CHANG, www.variety.com)

    ALTHOUGH HARDLY A PEAK ACHIEVEMENT, BALTASAR KORMAKUR'S HIMALAYAN EPIC IS A PROPERLY GRUELING, STRIKINGLY UNSENTIMENTAL CHRONICLE OF THE 1996 MOUNT EVEREST TRAGEDY.

    Following the 2014 and 2015 avalanche disasters that killed more than 35 people trying to scale the highest mountain on Earth, the timing is either wildly inappropriate or grimly right for “Everest,†though it would be awfully hard to argue that it’s too soon. A properly grueling dramatization of the ill-fated May 1996 expedition that saw eight climbers expire in a blizzard, this brusquely visualized, choppily played epic serves as the latest cinematic opportunity for Mother Nature to flaunt her utter indifference to human survival. Achieving fitful flurries of emotion amid an otherwise slow, agonizing descent into physical and dramatic paralysis, director Baltasar Kormakur’s latest and biggest U.S. studio effort should ride its Imax 3D event-picture status to decent theatrical returns worldwide, aided by a topical resurgence of

    interest in the movie’s subject. Still, with its more stolid than inspired execution, it’s unclear whether the Sept. 18 Universal release can reach its desired commercial apex.

    With little still known about the three Indian climbers who died on the mountain’s north face on May 10-11, 1996, “Everest†understandably focuses on the more widely documented experiences of the five who perished on the south face. No single source is cited as inspiration for the screenplay by William Nicholson and Simon Beaufoy (who know a thing or two about wilderness survival stories, having co-written “Unbroken†and “127 Hours,†respectively) have understandably focused, though the press materials mention books written by two American survivors of the climb: Jon Krakauer’s bestseller “Into Thin Air†and Beck Weathers’ “Left for Dead: My Journey Home From Everest.†A few other accounts were also published, including “The Climb,†by the Russian Kazakh mountaineer Anatoli Boukreev, who disputed

    key details in Krakauer’s version of events. Still, it’s Boukreev (played by Icelandic actor Ingvar Sigurdsson) who concedes the silliness of arguing about who did or said what. As he notes, staring up at the 29,029-foot-high colossus that awaits him and his fellow daredevils: “The mountain always has the last word.â€

    Sharing that fundamental respect for the danger of their undertaking is New Zealander Rob Hall (Jason Clarke), the cautious leader of an expedition guiding company called Adventure Consultants, which helped popularize the climbing of Mount Everest in the early 1990s. In April 1996, we see Hall bidding farewell to his pregnant wife, Jan (Keira Knightley), and heading to Kathmandu to meet the eight clients he’ll be leading up Everest. They include Weathers (Josh Brolin), a Texas native who seems determined to conquer Everest on cocky charm alone; Yasuko Namba (Naoko Mori), a Japanese woman who’s already got six of the

    Seven Summits under her belt; and Doug Hansen (John Hawkes), a humble Seattle mailman who’s taking another stab at Everest, having made it within a few hundred feet of the summit in 1995.

    There’s also Krakauer (Michael Kelly), a high-profile journalist whose presence is a source of some early tension between Hall and Scott Fischer (Jake Gyllenhaal, sporting a real nightcrawler of a beard), the leader of a competing expedition company called Mountain Madness. Hall tries to broker a truce and suggests the two teams join forces during the climb; much discussion ensues about important, barely comprehensible matters involving fixed ropes and oxygen tanks. Meanwhile, as both teams make their ascent from one mountain camp to the next, the movie spits out so many rapid-fire destination names and altitude statistics that you wonder if any of it will be on the final. On a certain level, though, it’s clear that the

    shallowness of the character interplay and the sketchiness of the details hardly matter: The mountain will settle everything soon enough.

    As the climbers acclimatize to conditions at the South Base Camp (17,598 feet), Adventure Consultants coordinator Helen Wilton (Emily Watson) briefs them on the potential perils of their journey, which we see illustrated in an effective bit of B-movie foreshadowing: Climbers can lose motor function, cough up blood and even succumb to a form of stealth hypothermia that makes them feel as if they’re burning up. A step above 8,000 meters (26,246 feet) will take them into the “death zone,†a realm of pure entropy where their goal is to make it to the summit and back as quickly as possible, lest they succumb to frigid temperatures, tricky terrain and dangerously thin oxygen levels. “Why climb Everest?†Krakauer asks his teammates before they begin their big push upward, and though we

    hear a few of their responses (i.e. “It would be a crime not toâ€), the grim developments to come feel all but designed to frustrate a satisfactory answer.

    There is, to be sure, the impossible thrill of reaching the summit, planting your flag and taking in the unbeatable view. But getting to that point will require a person to cross rickety bridges over staggering thousand-meter drops, navigate treacherous mountain passes with poor visibility, maintain their balance when unexpected avalanches strike (which is distressingly often), and deal with an ever-waning oxygen supply. Is the sheer level of danger an enticement for some? Kormakur never sufficiently individuates his characters to answer that question. He’s too busy setting some of them on a course for death to fully tap into the obsession that gives them life.

    And in a way, this proves to be a thoroughly reasonable, even refreshing dramatic strategy. This is a movie

    not about a few human beings who tried to conquer a mountain, but rather a mountain that took no notice of the human beings in its midst. Kormakur doesn’t make the mistake of exalting his subjects as extraordinary individuals, or suggesting that they were obeying some sort of noble higher calling. “Everest†is blunt, businesslike and — as it begins its long march through the death zone — something of an achievement. The specifics don’t get any clearer, but editor Mick Audsley’s cross-cutting among the different climbing factions creates its own propulsive logic. We get to know the characters not just by their appearances and personalities, but by their different positions on the mountain, where many of them find themselves trapped as a freak storm sets in.

    Death seeps into the picture slowly, practically on tiptoe. At times it proceeds with an almost merciful swiftness, but for most of those who

    succumb, the process is brutally slow and drawn out: Their steps get shorter and slower, their breaths quickening into futility, and eventually the camera plants itself next to them and watches slowly as all blood, sensation and feeling drain away. With the exception of one miscalculated sequence involving a sun-dappled hallucination, “Everest†is strikingly unsentimental; under such cruelly elemental circumstances, the usual platitudes about perseverance and love winning the day simply cease to apply. There is only death and survival here, and the human spirit, it turns out, has little to do with any of it.

    The mountain in question is no stranger to the bigscreen, and viewers hoping to see it in all its glory might do well to start with a documentary like the landmark 1998 Imax film “Everest†or 2010’s “The Wildest Dream: Conquest of Everest.†For all the resources that Kormakur and his crew have expended on

    persuasively re-creating a Himalayan climb (shot on location in Nepal and the Italian Alps), their “Everest†seems more concerned with verisimilitude than visual rapture. Kormakur, working in the quick-and-dirty style he demonstrated in his earlier Hollywood outings (“Contraband,†“2 Gunsâ€), isn’t one to linger on even the most staggering images that pass before his camera; while the landscapes do benefit from the eye-popping quality of the 3D, the overall aesthetic strategy here might be boiled down to “Beauty is for wusses.†(There were points at the Imax screening attended in which certain details of Salvatore Totino’s generally crisp cinematography looked weirdly indistinct.) The most transporting element of the technical package may be the superior sound design and mix, in which the ever-present howl of the wind and the scrape of boots on snow are kept in just the right balance with the characters’ voices.

    If the film is weak on characterization,

    the actors provide strong links nonetheless. Clarke, typically cast in roles that take advantage of his gift for brutish menace, does some of his most appealing work as a patient, meticulous and unfailingly loyal team leader. Brolin and Hawkes are superb as two climbers whose abilities aren’t entirely equal to their ambitions, while Sam Worthington provides a sturdy anchor as Hall’s friend Guy Cotter, a seasoned climber who helps try to navigate the climbers to safety from base camp. Mori’s Yasuko, the lone female climber on the Adventure Consultants team, stands out as a figure of sweet yet unshakable determination, while Watson is heartrending as the team’s coordinator and den mother; beyond the mountain, Knightley and Robin Wright give deeply felt performances as women haunted by the possibility that they may have seen the last of their husbands.

    Given that the cast of “Everest†includes 11 real-life Sherpas, it’s a shame

    we don’t see more of them in action or learn more about their crucial, underappreciated role in helping climbers realize their goals (audiences looking to learn more would do well to seek out Jennifer Peedom’s “Sherpa,†a documentary that’s presently making the fall festival rounds). Likewise, those hoping for a critically nuanced inquiry into the downsides of Himalayan tourism won’t find it beyond the movie’s fairly unambiguous cautionary tale. David Breashears, who co-directed the 1998 doc of the same title, wore many hats on the set of Kormakur’s film: He’s credited here as co-producer, second-unit Everest d.p. and yak wrangler, and indeed they are nothing if not well wrangled.

    Commenti del regista

    "Sono infinitamente grato di aver avuto l'opportunità di andare sull'Everest, di viaggiare per arrivare in una parte del mondo che onestamente non avrei mai pensato di visitare. Ho sempre sognato l’Everest, ma non faceva parte delle mie mete di viaggio... Avevo bisogno che il cast affrontasse gli elementi naturali e facesse i conti con le proprie paure. Per tirare fuori tutto ciò non c’erano molte alternative. Per girare ai piedi dell'Everest ad alta quota, abbiamo dovuto migrare noi stessi lassù: girando a -30° C in Val Senales, dalle 12 alle 14 ore al giorno per sei settimane. La creazione di un congelatore gigantesco sul set ci ha permesso di coprire gli attori con della neve autentica. Queste sono solo alcune delle cose che abbiamo fatto per dare il massimo. Ma se questo dovesse apparire un trattamento ingiusto, basta ricordarsi che delle persone hanno realmente vissuto in quelle condizioni. D’altronde, tutte queste battaglie non varrebbero molto se la storia di Rob Hall e Jan, Beck, Doug, Scott Fischer, Anatoli e tutti gli altri non fosse stata gestita in modo veritiero".

    Altre voci dal set:

    GUY COTTER, il consulente alpinista del progetto che ora gestisce l’Adventure Consultants, e ha contribuito a coordinare le operazioni di soccorso per il suo amico Rob Hall il giorno in cui perse la vita:

    "La nostra fratellanza ci ha guidato fino alle alte quote della montagna, gli eventi del 1996 ci hanno insegnato molto. Ci siamo posti moltissime domande al termine di questa tragedia: su come si possano evitare nuovamente questo genere di cose, ed evitarne il ripetersi. Penso che in questo settore, se vogliamo, tutto ciò ci ha fatto crescere... Rob era sicuramente al culmine del suo operato, ma evidentemente non aveva ancora maturato tutte le qualità necessarie ad una guida di alta quota, e talvolta i pionieri non sempre sopravvivono alla scoperta dei parametri dell'ambiente in cui si trovano".

    BRIAN OLIVER e TYLER THOMPSON della CROSS CREEK:

    "La produzione è stata un’enorme collaborazione su grande scala, e siamo orgogliosi di ciò che abbiamo creato. Basta sentir parlare del Monte Everest che immediatamente si prova un gran senso di avventura, ammirazione e profondo rispetto – non solo per le persone che hanno conquistato la montagna, ma anche per coloro che hanno perso la vita per realizzare quel sogno. Questo film offre un ritratto intimo di cosa vuol dire aggrapparsi alla vita nelle condizioni più estreme sulla faccia della terra, e Baltasar è uno dei pochi registi che riesce a spingersi quanto basta per catturare sulla pellicola l'effettivo pericolo e l'eccitazione mista all’ansia della sopravvivenza a 30.000 piedi (circa 9000 m)".

    Bibliografia:

    Nota: Si ringraziano Universal Pictures International Italy e l'Ufficio Stampa NBC Universal.

    Pressbook:

    PRESSBOOK COMPLETO in ITALIANO di EVEREST
    EVEREST - IL RACCONTO DEL SET

    Links:

    • Emily Watson

    • Robin Wright

    • Jake Gyllenhaal

    • Keira Knightley

    • Sam Worthington

    • Josh Brolin

    • John Hawkes

    • Michael Kelly

    • Jason Clarke

    • Elizabeth Debicki

    • Vanessa Kirby

    • Mia Goth

    • Clive Standen

    • Naoko Mori

    • 72. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (Lido, 2-12 settembre 2015) - 'EVEREST' E' IL FILM DI APERTURA DI 'VENEZIA 72.' (Speciali)

    • Everest (BLU-RAY + DVD)

    Altri Links:

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    Galleria Video:

    Everest - trailer

    Everest - trailer (versione originale)

    Everest - spot 'Ragazzi normali'

    Everest - clip 'Ce l'hai fatta'

    Everest - clip 'L'esperienza è puro dolore'

    Everest - clip 'Perché?'

    Everest - clip 'Aiutami'

    Everest - clip 'Non ti lascio'

    Everest - featurette 'Rob Hall' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Scalare l'Everest' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Scott Fischer' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Conosci le guide' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Girare tra le montagne' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Beck Weathers' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Sherpa' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Baltasar Kormákur' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Lavorare tra le montagne' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Helen Wilton' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Conferenza Stampa - Venezia 72' (versione originale sottotitolata)

    Everest - featurette 'Red Carpet - Venezia 72'

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