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    MARGIN CALL: IL THRILLER FINANZIARIO DI J. C. CHANDOR CON KEVIN SPACEY, PAUL BETTANY, JEREMY IRONS E DEMI MOORE

    THE BEST OF: Seconde Visioni - Cinema sotto le stelle 2012

    RECENSIONE ITALIANA e PREVIEW in ENGLISH by JUSTIN CHANG (www.variety.com) - XXI. Courmayeur NOIR InFestival (5-11 Dicembre 2011); Dal 61. Festival del Cinema di Berlino - Dal 18 MAGGIO

    "Le banche d'investimento americane indipendenti, così come le abbiamo conosciute, sono morte. 'Margin Call' è il mio tentativo di mostrare le esperienze di un piccolo gruppo di personaggi che stava al centro di questa crisi senza neanche rendersene conto. L’ingranaggio di cui facevano parte era cresciuto così tanto ed era talmente complesso che nessuno era in grado di comprenderne il potere distruttivo finché non fu troppo tardi... Molti si sono chiesti perché avessi una conoscenza così chiara di questo mondo, pur non avendoci mai lavorato. La risposta è che mio padre ha lavorato quasi 40 anni per Merrill Lynch, e quindi conosco bene la gente che popola questo ambiente e soprattutto le cose e le persone di cui si preoccupano di più".
    Il regista e sceneggiatore J. C. Chandor

    "Quello che secondo me J.C. ha colto sono i periodi della mia vita quando dovevo rapidamente assumere persone nei periodi di boom e poi licenziarne quando le cose andavano male. Si sa che Wall Street non è un business ben gestito. Ci sono ottimi operatori di borsa, ottime banche di investimento e ottimi venditori, ma non tutte le compagnie sono di buon livello. Il talento di J.C. è stato quello di riuscire a mettere insieme tutti questi elementi in una storia che chiunque potesse capire. E’ bravissimo in questo".
    Il padre di J. C. Chandor

    (Margin Call, USA 2011; Thriller finanziario; 110'; Produz.: Before The Door Pictures/Benaroya Pictures/Washington Square Films/Margin Call; Distribuz.: 01 Distribution in collaboraz. con RAI Cinema)

    Locandina italiana Margin Call

    Rating by
    Celluloid Portraits:



    SEE SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: Margin Call

    Titolo in lingua originale: Margin Call

    Anno di produzione: 2011

    Anno di uscita: 2012

    Regia: J. C. Chandor

    Sceneggiatura: J. C. Chandor

    Soggetto: Ambientato nel mondo della finanza MARGIN CALL racconta, quasi come fosse un thriller, le drammatiche 24 ore che precedono la crisi economica del 2008, una crisi che ha toccato tutti noi. Chiaro il riferimento al crollo della Lehman&Brothers.

    PRELIMINARIA - LA PARABOLA DISCENDENTE DI UN DISASTRO ANNUNCIATO:

    Dagli ultimi piani di un grattacielo di Wall Street, un pugno di banchieri, speculatori e analisti guardano la notte su Manhattan. Sono i testimoni di quelle che loro, e solo loro, sanno essere le ultime ore di un’era. Quando sorgerà il sole e si riapriranno le contrattazioni, il mondo piomberà in una crisi finanziaria epocale… una crisi che solo loro vedono arrivare e che hanno contribuito a creare. In simili circostanze, come riuscire a convivere con se stessi?

    Sulla scia della crisi che ha scosso i mercati finanziari mondiali nel 2008, molte persone si sono poste la stessa domanda degli artefici del disastro. Come può un uomo affrontare la realtà di un fallimento, un fallimento che non farà saltare solo il suo posto di lavoro, ma quello di milioni di persone?

    Margin Call, il thriller di J.C. Chandor, ci porta dove nessuno film è mai arrivato fino ad ora: nel cuore di una delle maggiori banche di investimenti di Wall Street, troppo grande per fallire, tracciando l’acuto ritratto di un mondo e di un gruppo di uomini sull’orlo del collasso.
    Nell’arco di ventiquattro ore frenetiche, Margin Call accompagna il pubblico dal momento in cui si affacciano i primi sospetti che qualcosa sia andato terribilmente male alla piena consapevolezza delle dimensioni del disastro, fino a frugare tra le rovine - personali e finanziarie - quando suona l’ultima campana e il bagno di sangue della borsa si conclude. Dai semplici analisti ai potentissimi amministratori delegati, tutti coloro che fanno parte della gerarchia dell’azienda devono affrontare il contraccolpo di un incubo diventato realtà, e del ruolo che loro stessi hanno avuto.

    Sostanzialmente, Margin Call porta a una verità che è nel contempo toccante e sconvolgente - gli uomini e le donne che hanno creato l’attuale crisi finanziaria sono persone comuni che, malgrado la loro abilità, intelligenza e spesso compensi sorprendenti, sono state vittime della loro stessa negligenza, della loro miopia e dell’ordine sbagliato delle priorità. Wall Street può essere senza anima, ma non le persone che lavorano nelle alte sfere. Margin Call è la storia di queste anime e della loro notte più lunga, più cupa, quando sono costrette a fissare l’abisso di cui sono responsabili.

    Cast: Kevin Spacey (Sam Rogers )
    Paul Bettany (Will Emerson )
    Jeremy Irons (John Tuld)
    Demi Moore (Sarah Robertson )
    Zachary Quinto (Peter Sullivan)
    Stanley Tucci (Eric Dale )
    Penn Badgley (Seth Bregman )
    Simon Baker (Jared Cohen )
    Mary McDonnell (Mary Rogers )
    Aasif Mandvi (Ramesh Shah )
    Ashley Williams (Heather Burke )
    Susan Blackwell (Lauren Bratberg )

    Musica: Nathan Larson

    Costumi: Caroline Duncan

    Scenografia: John Paino

    Fotografia: Frank G. DeMarco

    Montaggio: Pete Beaudreau

    Casting: Tiffany Little Canfield e John Paino

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    "Be first. Be smarter. Or cheat" è il motto di John Tuld (Jeremy Irons), il Grande Capo disposto a tutto pur di salvarsi e salvare la grande banca di investimenti in cui lavora. E’ possibile avere un’etica e seguire delle regole nel mondo della finanza? O la finanza è di per sé crimine e quindi disposta a passare sopra le teste di chiunque incurante delle conseguenze? Tutti hanno un prezzo?

    IN DETTAGLIO:

    Ambientato nel mondo dell’alta finanza, Margin Call è un thriller che coinvolge gli uomini chiave di una grande banca di investimenti durante le drammatiche 24 ore che precedono la crisi finanziaria del 2008. Quando Peter Sullivan (Zachary Quinto), un semplice analista, entra in possesso di informazioni che potrebbero provocare il fallimento dell’azienda, inizia una frenetica corsa contro il tempo: le decisioni finanziarie e morali in gioco sconvolgeranno la vita delle persone coinvolte spingendole sull’orlo della crisi. Ampliando i parametri del genere, Margin Call è un’affascinante analisi degli aspetti umani di un soggetto troppo spesso trattato con partigianeria.

    SHORT SYNOPSIS:

    A thriller that revolves around the key people at a investment bank over a 24-hour period during the early stages of the financial crisis.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    LO SGUARDO APPARENTEMENTE ASETTICO DI CHANDOR CONDUCE CON LA MANO FERMA DI UN CHIRURGO DI PROFESSIONE LA NECESSARIA OPERAZIONE DI UNA NEOPLASIA SISTEMICA. INOLTRANDOSI NELL'ABISSO DI ROVINE FINANZIARIE E PERSONALI SCOPRE L'ESSENZA DI UNA PAURA REPRESSA CRESCENTE E LE SUE INARRESTABILI CONSEGUENZE ATTRAVERSO UN'ANALISI ASCIUTTA ED ESSENZIALE CHE REGISTRA LE SUE PERLE DI SCENEGGIATURA NELL'AGGHIACCIANTE MONOLOGO CONDOTTO DALLA MACCHINA DA PRESA E DALLA SILENTE IMPOTENZA DELLE UNICHE STELLE DI UNA LUNGA NOTTE: KEVIN SPACEY, PAUL BETTANY, JEREMY IRONS, STANLEY TUCCI E DEMI MOORE

    Margin Call potrebbe esser considerato, per un certo aspetto tutt'altro che marginale, un sequel di Up in the Air (Tra le nuvole, 2009) di Jason Reitman, là dove protagonista era George Clooney nei panni di un tagliatore di teste per professione. Stesse argomentazioni e dinamiche comportamentali in sede di quelli che, inutile girarci intorno, non sono altro che licenziamenti a bruciapelo a tutti gli effetti, aprono anche Margin

    Call. In realtà scopriamo presto che quello non è che un elemento ai nastri di partenza per poi poter volgere lo sguardo molto oltre e ben più a fondo, con toni più prossimi ad autorevoli analisi di denuncia tipiche dei film degli anni Settanta. Per avere un'idea preliminare degli sviluppi di Margin Call pensiamo per un attimo al primo Wall Street (1987) di Oliver Stone che anni più tardi (2010) ci ha tenuto a riprender le fila del discorso per sottoscrivere una massima non trascurabile Il denaro non dorme mai. Si potrebbe pure aggiungere: e non consente agli altri di farlo. Abbassare la guardia può essere letale e non solo per se stessi. E già ci avviciniamo un pò di più ai toni scelti e condotti con navigata professionalità, a dispetto di un esordio di fatto, da J. C. Chandor, regista e autore anche della sceneggiatura di Margin Call. Ma

    c'è una ragione non trascurabile per questo sorprendente risultato: il nostro esordiente regista ha vissuto e respirato dall'interno il clima economico-bancario delle alte sfere (il padre ha lavorato per quasi 40 anni per Merrill Lynch) e dunque Chandor si è mosso con particolare cognizione di causa. I suoi trascorsi quindicennali come documentarista-pubblicitario oltre che regista, scrittore e produttore di corti poi, sembra aver fatto il resto per questo sguardo,essenziale e compresso e per questo intensissimo, su una delle più colossali catastrofi economiche che si siano mai consumate nella realtà (chiaro il riferimento a Lehman&Brothers all'altezza del 2008) in seno alla girandola di precedenti analoghi in tempi di crisi. Precedenti che dall'alto del cinismo agghiacciante del suo personaggio ci informa, numeri alla mano, in una memorabile e cruciale sequenza, Jeremy Irons letteralmente incarnatosi in Tuld, personaggio inamidato nelle vesti e nell'anima, all'apice di una piramide aziendale dalla quale non è

    contemplata alcuna detronizzazione, neppure quando le teste cominciano a cadere a grappolo anche dai gradini più alti. Atmosfere in cui sentimenti e moti emotivi della persona sembrano congelati in un sistema che chiude fuori dalla porta ogni umana pulsione, tradotta in numeri a molti zeri, pile di contabilità e diagrammi di compravendite aperti sui mercati internazionali. Tutto è in vendita, anche la dignità umana, anche il diritto a reagire da essere umano per una qualsivoglia ragione che esuli dalle esigenze e priorità della società finanziaria di appartenenza. e va detto che non è sempre facile seguire il filo di certe dinamiche in atto sull'onda della volatilità dei coefficienti economici. Il linguaggio della sceneggiatura di Margin Call non si concede sconti, rotondità o semplificazioni, perciò è spesso tecnico, tanto tecnico da risultare talora impenetrabile. Ma qui si preferisce chiamar le cose con il loro vero nome e si vuole affondare la

    lama nel vivo della questione, quasi rasentando il tono documentaristico, terreno del resto alquanto familiare per Chandor. Solo così si percepisce a pelle, sul filo di questa capillare analisi, lo sconquassamento, mai esternato apertamente, dai nostri protagonisti con P maiuscola - Kevin Spacey e Paul Bettany hanno qui raggiunto la punta di diamante ma anche Stanley Tucci e Demi Moore tengono il livello - risucchiati in uno straordinario caleidoscopio di introspezione dominata da riflessioni per lo più represse, dominate da silenzi e sguardi congelati, interrotti da poche parole obbligate, talora timide e impacciate perché consapevoli del devastante impatto nell'intorno alla loro uscita. Neppure alle rispettive ansie e tensioni è concesso di 'stemperare' gli ambienti, anch'esse rapprese nei pori dei muri e delle spaziose vetrate, muti testimoni dell'inevitabile crac finanziario: non c'è molto da dire quando non resta che prendere solo atto che si sono volatilizzati denaro e vite, anche, e

    soprattutto, dei non presenti all'appello in aula. Nella profondità di quell'abisso, si contempla solo un cumulo di rovine, finanziarie e personali, là dove, paradossalmente proprio dai numeri, emerge il riscatto di un'anima che tenta di riaffiorare dal letame in cui è stata scaricata: impressionante la sequenza che vede il neo-licenziato Eric Dale (Stanley Tucci) - finalmente rintracciato, seduto sui gradini di casa propria con Willi Emerson (Paul Bettany) - intessere una sorta di diagramma economico sui riflessi del suo operato pregresso come ingegnere (suo il progetto di un ponte) sulla collettività.

    Il respiro del film è poi affidato alla stessa macchina da presa che si aggira guardinga nell'intorno per condurre, sicura di sè, il suo agghiacciante monologo: la sequenza con la carrellata sui monitor di notte in assoluto silenzio prima di scorgere Sam Rogers (Kevin Spacey) addormentato alla sua postazione con la testa all'indietro, dà voce e ragione dell'iniziale panoramica cittadina

    diurna avvolta nel contenitore ottico distorto dal grandangolo. Un eloquente segno premonitore della realtà già in odore di una 'deformazione', indice di catastrofe annunciata. Avvolgimento che Chandor sceglie per la sua pellicola anche per accordarsi su un certo glamour classicheggiante, con la fatidica struttura circolare per cui uno stesso elemento apre e chiude un film. Eppure la 'circolarità' di Margin Call si rivela alquanto singolare proprio nell'elemento distintivo selezionato per tale ricongiunzione: così se voci in sottofondo scandiscono i titoli di testa, il rumore che viene deliberatamente mantenuto sui titoli di coda scandisce i contorni di un finale da brivido. E questo perché va ben oltre il fatto in sé, oltrepassa quel confine per assumere significati altri, di una portata tale, da rendere necessario il ricorso alla metafora, straordinaria, unico scrigno plausibile per contenere un vero e proprio oceano inacidito da inevitabili, inesorabili, amarissime riflessioni, tante e tali da impedire

    di scorgere la linea di un nuovo nitido orizzonte. Genialmente Chandor ha inventato un finale che si nega in quanto tale, per lasciare che ognuno di noi prosegua per suo conto attraverso le pieghe di questo epilogo sfrangiato, affacciato su vite e anime sprofondate in una notte a tutto tondo. E' a questo punto che ci rendiamo conto che Chandor ha condotto il suo reportage in celluloide affondando dall'inizio alla fine il suo impietoso bisturi nell'arteria di un realismo mai disgiunto dalla metafora. Non è un caso che Margin Call brulichi di scorci notturni raccolti più volte da sguardi silenti e compressi di fronte alle generose finestre-vetrina: dagli ultimi piani di un grattacielo di Wall Street, un pugno di banchieri, speculatori e analisti guardano la notte su Manhattan, scorgendone i più oscuri riflessi dentro loro stessi. Una di quelle notti voraci, le cui fauci sembrano esser lì, solo in attesa

    di poter inghiottire preda su preda. Ed è forse proprio ad una di quelle notti che Chandor deve aver pensato, rievocando qui in Margin Call, in una citazione pressoché letterale, quel genere di viscerale paura crescente già celebrato dall'intramontabile Blade Runner: "Ho visto cose...!".

    Secondo commento critico (a cura di JUSTIN CHANG, www.variety.com)

    The latest in a string of dramas seeking to take the pulse of white-collar America, "Margin Call" is a methodical, coolly absorbing boardroom thriller set on the eve of the 2008 economic collapse. Unfolding over a tense 36-hour period at a Wall Street investment firm where drastic damage-control measures are afoot, J.C. Chandor's precocious writing-directing debut is fastidious, smart and more than a bit portentous as it probes the human costs of unchecked greed. While its talky approach to unhappy subject matter poses clear commercial risks, this impressively cast picture should capitalize on interest from discerning, primarily younger-skewing audiences.
    A wide-angle shot of Gotham's Financial District underscores the film's fish-tank-like view of the junior hotshots and big-time brokers moving through the corridors of a nameless investment bank. An ominous tone is struck immediately, as efficiency experts are brought in to lay off about 80% of the company's workforce, the chief

    casualty being top risk analyst Eric Dale (Stanley Tucci). Among those left standing is Dale's whip-smart protege, Peter Sullivan (Zachary Quinto, one of 15 credited producers), who, after crunching some numbers, realizes that a looming real-estate crisis spells disaster for the company and its soon-to-be-worthless assets.

    In a series of chilly yet incrementally more dramatic episodes over the course of a single night, Sullivan's justifiable panic runs up the chain of command -- from his new boss, Will Emerson (Paul Bettany), and top exec Sam Rogers (Kevin Spacey), onward through the upper echelons inhabited by Rogers' smug superior (Simon Baker) and the firm's chief risk officer (Demi Moore). By 4 a.m., charismatic CEO John Tuld (Jeremy Irons) is flown in by helicopter to hear confirmation of the grim news and issue an equally grim directive. In a rivetingly played scene, Tuld says the firm has no choice but to liquidate

    its mortgage securities by the end of the next trading day -- a strategy meant to salvage a company that nevertheless looks as doomed as the millions of Americans who will be screwed over in the process.

    The escalating stakes allow for a multifaceted portrait of how each of these power players responds to a moral and logistical dilemma -- a bold approach, insofar as it invites viewers to identify with some of the primary engineers of the ongoing crisis. The actors meet the challenge head-on: Quinto and Penn Badgley offer sharply contrasting studies of young guns trying to survive in a high-powered industry; Moore is bitterly restrained as a woman struggling to be heard in a male-dominated context; and Irons tosses off delectable bon mots as the imperious chief executive. Best of all is Spacey, whose ability to hide his true feelings behind a veneer of sarcasm makes Rogers

    the most intriguingly torn figure in the steadily mounting drama.

    There isn't much about this culture that escapes Chandor's cynical eye, and he finds room within the story's sleek timeframe to reference the less savory lifestyle perks to which so many Wall Streeters are accustomed, as well as the fact that those who earn the most are often those who know the least. "Speak to me in plain English," Tuld orders his inferiors, which shrewdly allows the script to spell out complex financial concepts (i.e. "historical volatility index limits") in audience-friendly terms.

    In depicting the cruel machinery of mass job termination, "Margin Call" brings to mind such recent portraits of the newly unemployed as "Up in the Air" and "The Company Men," while its portrait of corporate malfeasance and corrupt securities trading nods in the ripped-from-the-headlines direction of "Wall Street: Money Never Sleeps." In such varied cinematic company, Chandor adopts

    an acutely focused, even-keeled stylistic approach, maintaining a low dramatic temperature yet trusting attentive viewers to hang on every word.

    Yet while the words themselves are often delicious, the film eventually reaches the point where one wishes it had left more unsaid. While it never becomes overtly didactic, the meticulous, slightly airless approach doesn't offer much in the way of lingering subtext. Especially in the overworked final reels, the characters are too prone to spell out their points of view or ruminate on how capitalism and office culture have corrupted and devalued the once-proud American tradition of hard work.

    Formally, the film is a real pleasure, as d.p. Frank G. DeMarco (shooting expertly on the Red camera) bathes the executive suites in oppressively literal shadows, computer screens glowing in the darkness like neon-blue jellyfish. Images of New York at night, accompanied by the ambient drone of Nathan Larson's synth score,

    create an intoxicating mood, despite a few too many time-lapse shots of the Manhattan skyline.

    Bibliografia:

    Nota: Si ringrazia Annarita Peritore

    Pressbook:

    PRESSBOOK ITALIANO di MARGIN CALL
    PRESSBOOK in ENGLISH of MARGIN CALL

    Links:

    • J. C. Chandor (Regista)

    • Demi Moore

    • Kevin Spacey

    • Stanley Tucci

    • Jeremy Irons

    • Paul Bettany

    • Aasif Mandvi

    • Zachary Quinto

    • MARGIN CALL - Note di produzione (Dietro le quinte)

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    Galleria Video:

    Margin Call - trailer

    Margin Call - trailer (versione originale)

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