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    Home Page > Movies & DVD > J. Edgar

    J. EDGAR: CLINT EASTWOOD DIRIGE LEONARDO DICAPRIO E NAOMI WATTS NEL SUO BIOPIC DRAMMATICO SUL CONTROVERSO FONDATORE E CAPO INDISCUSSO DELL'FBI J. EDGAR HOOVER

    Seconde visioni - Cinema sotto le stelle - RECENSIONE ITALIANA in ANTEPRIMA e PREVIEW in ENGLISH

    "Hoover è stato un agente di prim’ordine, un ‘G-Man’ eccellente, come li definivano a quel tempo, ma non sapevo molto di lui. Era un uomo che viveva ad alto livello - spesso in compagnia di attori e di scrittori famosi in occasioni mondane - ma in molti modi era anche un enigma... E’ una storia che parla di relazioni, delle interazioni intime e profonde tra Hoover e quelli che lo circondavano da vicino: Clyde Tolson, Helen Gandy, sua madre – fino a Robert Kennedy e ad altri personaggi politici molto conosciuti, persino presidenti. Se si fosse trattato solo di una biografia, non penso che avrei voluto realizzare il film. Mi piacciono i film che raccontano i rapporti, mi piace analizzare il perché le persone fanno o hanno fatto determinate cose nella loro vita".
    Il regista Clint Eastwood

    "Lance ha scritto una sceneggiatura eccezionale che sia Clint che io abbiamo apprezzato immediatamente. Hoover è sempre stato un personaggio mitico, un’icona della storia Americana, ma allo stesso tempo la sua vita personale e quella politica erano avvolte nel mistero. Parlare della storia della sua vita poteva sembrare riduttivo ma Lance è riuscito a raccontare i fatti in modo assolutamente coinvolgente dal punto di vista emotivo".
    L'attore Leonardo DiCaprio

    (J. Edgar; USA 2011; biopic drammatico; 136'; Produz.: Imagine Entertainment/Malpaso Productions/Wintergreen Productions; Distribuz.: Warner Bros. Pictures Italia)

    Locandina italiana J. Edgar

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    See SHORT SYNOPSIS

    Titolo in italiano: J. Edgar

    Titolo in lingua originale: J. Edgar

    Anno di produzione: 2011

    Anno di uscita: 2012

    Regia: Clint Eastwood

    Sceneggiatura: Dustin Lance Black

    Soggetto: J. Edgar si ispira alla biografia del funzionario e politico statunitense John Edgar Hoover. (*)

    (*) John Edgar Hoover (Washington, 1º gennaio 1895 – 2 maggio 1972) è stato un funzionario e politico statunitense.

    La sua immagine è strettamente legata all'FBI, uno dei più famosi servizi investigativi del mondo. Ha infatti lavorato per l'FBI per oltre mezzo secolo, la maggior parte dei quali trascorsi come suo direttore (1924-1972) sotto otto presidenti statunitensi, da Calvin Coolidge a Richard Nixon.

    PRELIMINARIA: J. EDGAR HOOVER

    J. Edgar Hoover durante la sua vita divenne l’uomo più potente di tutta l’America. Come capo dell’FBI per circa 50 anni, non  si fermò davanti a nulla pur di proteggere il suo Paese. Passando attraverso 8 Presidenti e tre guerre, Hoover si è lanciato in una guerra contro minacce sia vere che immaginarie, infrangendo spesso anche le regole per proteggere i suoi concittadini.  I suoi metodi erano spietati ed eroici e ricevere l’ammirazione del mondo era quello a cui teneva di più. Hoover è stato un uomo che dava grande valore ai segreti — in particolare a quelli degli altri— e non ha avuto paura di usare quelle informazioni per esercitare la sua autorità sui leader più importanti della nazione.  Consapevole che la conoscenza è potere e che la paura crea le opportunità, ha usato entrambe per ottenere una influenza senza precedenti e per costruirsi una reputazione formidabile ed intoccabile. Era molto schivo nella sua vita privata quanto in quella pubblica, permettendo solo ad un ristretto gruppo di persone di far parte della sua vita.  Il suo collaboratore più stretto, Clyde Tolson, era anche uno dei suoi amici più cari. La sua segretaria, Helen Gandy, che probabilmente è stata la persona a lui più vicina e al corrente di tutte le sue attività, gli è rimasta fedele fino alla fine… e oltre. Solo la madre lo lascerà, lei che era stata la più grande ispirazione e coscienza. La sua morte avrà un effetto devastante su di lui, il figlio che ha cercato eternamente il suo amore e la sua approvazione. Visto dagli occhi di Hoover stesso, “J. Edgarâ€Â  esplora la vita privata e pubblica, le relazioni di un uomo che poteva distorcere la verità con la stessa facilità con la quale la sosteneva e la affermava durante una vita dedicata alla sua idea di giustizia, che spesso tendeva verso il lato oscuro del potere.

    Cast: Leonardo DiCaprio (J. Edgar Hoover)
    Naomi Watts (Helen Gandy)
    Josh Lucas (Charles Lindbergh)
    Jeffrey Donovan (Robert F. Kennedy)
    Lea Thompson (Lela Rogers)
    Ed Westwick (Agente Smith)
    Armie Hammer (Clyde Tolson)
    Dermot Mulroney (Colonello Schwarzkopf)
    Judi Dench (Anne Marie Hoover)
    Stephen Root (Arthur Koehler)
    Amanda Schull (Anita Colby)
    Josh Stamberg (Stokes)
    Michael Rady (Agente Jones)
    Damon Herriman (Bruno Hauptmann)

    Musica: Clint Eastwood

    Costumi: Deborah Hopper

    Scenografia: James J. Murakami

    Fotografia: Tom Stern

    Montaggio: Joel Cox e Gary Roach

    Effetti Speciali: Steve Riley

    Makeup: Michele Tyminski; Alessandro Bertolazzi (per Naomi Watts)

    Casting: Fiona Weir

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    La vita pubblica e privata di J. Edgar Hoover, il controverso fondatore e capo indiscusso dell'FBI dalla sua fondazione fino al 1972. Un racconto scomodo sul potere, l'ambizione, le luci e le ombre dell'America.

    SHORT SYNOPSIS:

    Biopic on FBI director J. Edgar Hoover, focusing on his scandalous career and controversial private life as a homosexual and rumored cross dresser.

    Commento critico (a cura di ROSS DI GIOIA)

    Quando J. Edgar Hoover (Leonardo Di Caprio) viene nominato a capo del Bureau of Investigations - il progenitore dell’odierno FBI - dal Presidente Calvin Coolidge, è un giovane petulante e ambizioso che cerca di farsi un nome nell’America del proibizionismo. Figlio di un padre debilitato da una malattia cronica e di una madre autoritaria (Judi Dench) che ne alimenta i sogni di gloria, Edgar è ossessionato dalla sicurezza nel proprio Paese e in particolare dal combattere e rendere inoffensivi - materialmente ma anche intellettualmente - comunisti, bolscevichi, radicali, gangster e delinquenti di ogni risma. Contro tutte queste 'categorie', il giovane direttore ingaggia una lotta senza quartiere che presto sconfina in un esercizio di potere, portato avanti con l’uso (o la semplice minaccia velata e subdola) dei dossier confidenziali raccolti, archiviati e custoditi da Helen Gandy (Naomi Watts), la fedele segretaria di sempre, la quale sposò la causa del Bureau almeno

    quanto il suo superiore. Ma dell’azione di Hoover non ne fece le spese solo la parte marcia della mela, ma anche coloro che non andavano a genio al potente direttore, come ad esempio quanti non la vedevano come lui, diventati quindi necessariamente dei nemici. In quarantotto anni di potere quasi smisurato, attraversando la storia americana - la cattura e l’uccisione di John Dillinger e George Kelly, il caso di Baby Lindbergh, l’assassinio Kennedy, la nascita delle Pantere Nere e del Movimento per i Diritti Civili di Martin Luther King - e otto presidenti che si sono succeduti alla Casa Bianca e che lo temevano più di ogni cosa, spalleggiato dal fedele collaboratore Clyde Tolson (Armie Hammer) e con al seguito una reputazione inappuntabile, J. Edgar Hoover morirà raccontando solo una - e una soltanto - versione della 'storia': la sua.

    Da tempo ormai, gli occhi della coscienza americana sono diventati

    quelli di Clint Eastwood. Lo aveva dimostrato in modo straordinario con Mystic River; aveva quindi superato se stesso con Lettere da Iwo Jima e Flags of our f
    Fathers
    ; infine aveva convinto i più scettici con Gran Torino e Changeling. Ora, come in quest’ultimo caso, la prospettiva di Clint scelta per raccontare J. Edgar è quella di un figlio e di una madre: non solo perché anche qui, da un lato, c’è una mamma a cui viene sottratto il proprio bambino e la polizia sembra incapace di risolvere il caso (la sparizione del bambino di Charles Lindbergh); ma anche perchè, dall’altro lato, c’è una mamma (la signora Hoover) che non si rassegna a perdere il figlio che ha bisogno di diventare adulto e scoprirsi realmente. Eastwood usa così un unicum nella storia moderna americana, e da cui lo stesso Hoover prese spunto con pervicacia e astuzia per gettare le basi di

    quello che si rivelerà essere un impero di potere e condizionamenti mai visto, per raccontarci la vita di un giovane ossessionato dalla carriera e dall’affetto morboso della madre, vero ostacolo ad una maturità di tipo affettivo. Un uomo che mai riuscirà a togliersi di dosso la sensazione di essere guardato non per quello che realizzava ma per quello in cui mancava. E che il sopranome 'spiccio' fosse l’unica cosa che si sarebbe ricordato di lui. J. Edgar diventa quindi non solo la rappresentazione meticolosa di un uomo che imbroglia e ricatta amici e avversari nel tentativo di combattere più che altro il nuovo che avanza e mantenere lo status quo, ma anche lo specchietto di tornasole di un’America paranoica e bacchettona, che preferisce cacciare le streghe e dove ogni forma di dissenso, seppur civile e pacifica, viene rubricata come 'pericolo'. E non è affatto un caso se Clint non dimentica

    di mostrarci alcune scene di James Cagney - che al cinema interpreta un agente federale che la gente all’epoca chiamava G-Men - che con abnegazione combatte il nemico pubblico, esaltando poi questo giusto contrappeso con la ritrovata coscienza del fido Tolson, il quale ricorda a Hoover, amato (e ricambiato) da sempre, che la storia non è proprio esattamente quella che ha raccontato durante tutto l’arco della sua vita.

    Tuttavia, se quello di Eastwood resterà probabilmente il ritratto definitivo al cinema di J. Edgar Hoover, un po’ come lo è quello di Howard Hughes in The Aviator di Scorsese, non a caso interpretato sempre da Di Caprio, J. Edgar pecca però di una mancanza che mai avremmo pensato di addebitare al grande Ispettore Callaghan: non prende una posizione. Quella di Eastwood è una regia sottile e silenziosa, dove lo spettatore viene preso per mano e condotto attraverso la storia in una

    corsa quasi forsennata. Mezzo secolo di impero politico e burocratico vengono sintetizzati in poco più di due ore - e non può essere altrimenti per ovvie esigenze cinematografiche - ma la mancanza di tempo diventa qui il pretesto per sorvolare anche sul giudizio nei confronti di un uomo e del suo operato. Lo spettatore non va né ingannato né raggirato, ma non va nemmeno lasciato da solo. Chi vi scrive avrebbe preferito poter dissentire dall’immagine che Eastwood dà di Hoover, o al contrario avrebbe voluto scrivere: “Sono d’accordoâ€. La verità è che il film “incalza†molto più di quanto “infilzaâ€. E se Di Caprio - bene nella parte, ma convincente più come manipolatore che non come omuncolo complessato - cerca di dare un tono più cupo al suo personaggio, Eastwood preferisce surfare sul pelo dell’acqua, col risultato di dare la sensazione che attore e regista stiano lavorando su due film

    diversi. Peccato, perché la ricostruzione storica è inappuntabile e nel complesso il film inchioda alla poltrona per tutta la sua durata. Tuttavia il distacco con cui Eastwood porta a casa la regia di J. Edgar ottiene un risultato inevitabile: per chiunque altro si sarebbe parlato di semicapolavoro, trattandosi di lui parliamo di un compito assolto con estrema professionalità.

    Secondo commento critico (a cura di PETER DEBRUGE, www.variety.com)

    J. Edgar Hoover's mystique lies in the fact that while he kept meticulous files with compromising details on some of America's most powerful figures, nobody knew the man's own secrets. Therefore, any movie in which the longtime FBI honcho features as the central character must supply some insight into what made him tick, or suffer from the reality that the Bureau's exploits were far more interesting than the bureaucrat who ran it -- a dilemma "J. Edgar" never rises above. With Leonardo DiCaprio bringing empathy to the controversial Washington power-monger, Clint Eastwood's old-school biopic should do solid midrange business.

    In 1993, Anthony Summers published a tawdry expose titled "Official and Confidential, the Secret Life of J. Edgar Hoover," which aired Susan Rosenstiel's claim that she had witnessed Hoover, a lifelong bachelor who was seldom seen without trusted deputy Clyde Tolson, wearing a cocktail dress at a gay orgy in New

    York. Though never corroborated, the claim stuck, and the legacy of this much-feared public figure -- who served as FBI director under eight presidents, across 48 years and through some of the most trying cases of the 20th century -- is now dominated by associations with cross-dressing.

    If the assumptions about his sex life are true, that would make "J. Edgar" the story of the highest-ranking homosexual in American history, produced by a major Hollywood studio and directed by one of the industry's most venerable directors -- hardly insignificant in an industry that goes to great lengths to obfuscate the sexuality of its own stars. While not exactly coy, Eastwood's classically styled look at Hoover's life takes a long time to arrive at questions of the character's proclivities. When it does get there, however, this new dimension of the character so enlivens what has been a mostly dry portrayal of

    one man's crusade to reform law enforcement that it becomes the pic's focus.

    True to Eastwood's understated nature, "J. Edgar" offers the "tasteful" treatment of such potentially salacious subject matter, though a more outre Oliver Stone-like approach might have made for a livelier film. With the exception of a few profanities (enough to land the pic an audience-limiting R rating) and a lone homoerotic wrestling scene so tame that Ken Russell's "Women in Love" feels like an X by comparison, the film could pass for something Warners would have released in an earlier era -- earlier even than many of the events depicted onscreen, as suggested by Tom Stern's cinematography, desaturated nearly to black-and-white.

    Eastwood's restraint applies to not only the kid-gloves depiction of how Hoover slyly manipulated politicos and press, including a loathsome attempt to blackmail Martin Luther King Jr. into declining the Nobel Peace Prize, but also to

    his oddly nonjudgmental approach to Hoover's sexual identity, depicting him as a man too Puritanical to pursue intimacy with someone of either gender.

    As he did with "Milk," screenwriter Dustin Lance Black follows the print-the-legend philosophy, building to what could have been the ultimate tragic love story between two men: Johnny and Clyde (as Truman Capote dubbed Hoover and Tolson), companions for the better part of five decades who never had the chance to express their affection -- a consequence of Hoover's insistence that FBI employees live up to the strictest code of conduct (he wouldn't even allow them to drink coffee on the job).

    The opening reel establishes both the scope of the story, which ranges from Hoover's 20s to his final days overseeing the FBI at age 77, and DiCaprio's remarkable ability to play the character at any point along that timeline. Aided by a convincing combination of

    facial appliances, makeup and wigs, the thesp draws auds past that gimmick and into the character within a matter of a few scenes. There's an innate kindliness to DiCaprio that makes for a more likable protagonist than Hoover as the tempestuous monster so many biographers describe, which is good news for the film's commercial prospects but seemingly at odds with reality.

    Surely this can't be the glory hound who collaborated with Sen. Joseph McCarthy on his anti-communist witch hunt and called King "the most notorious liar in the country," nor the same FBI chief accused of racism (the Bureau antagonized civil-rights leaders and employed few blacks), homophobia (gays were dismissed from service) and sexism (women were allowed to serve as secretaries and assistants, but never agents).

    Rather than seriously engaging with any of these common accusations, Black's script skips back and forth through Hoover's CV, alternating public grandstanding with invented

    insights into his private life. Annie Hoover (Judi Dench) exerts enormous control over her son's personality, telling him, "I'd rather have a dead son than a daffodil for a son," in the film's most chilling scene. Tolson (Armie Hammer), whose prissiness accounts for the film's scant laughs, also surfaces early, lurking behind the frosted-glass door to an adjoining office while Hoover dictates a self-aggrandizing book.

    Considering how critical any other character's perspective might be, allowing Hoover to narrate his own story comes as a generous gift from Black. Hoover's voiceover gives form to a story that starts out as an institutionally approved version of how the FBI came to be, punctuated every so often by a high-profile arrest or newfangled forensic development (an investigation into the kidnapping of Charles Lindbergh's son supplies the sort of procedural intrigue that comes comfortably to Eastwood). As the pic progresses, however, Hoover's words grow

    increasingly defensive, and the episodes drift into far more personal territory.

    Since you can't put a face on the love interest in a workaholic's story, Black must manufacture romance on the margins. In the first act, Hoover briefly courts Helen Gandy (Naomi Watts), an office girl who declines his marriage proposal on their third date, but agrees to become his secretary. A short time later, Hoover meets Tolson in a scene staged to suggest love at first sight.

    As written, Tolson's character is clearly gay, but Eastwood seems noncommittal about Hoover. Certainly there are clues in nearly every aspect of the production, from Deborah Hopper's ever-dapper wardrobe to the meticulously appointed sets overseen by James Murakami and decorated by Gary Fettis. At one point, auds catch a glimpse of the entry stairwell to Hoover's home, where a framed portrait of his mother hangs alone. What's missing from this picture? Why,

    the famous nude photo of Marilyn Monroe that hung in the real-life Hoover's hallway.

    Pressbook:

    PRESSBOOK ITALIANO di J. EDGAR

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