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    UN ALTRO MONDO: NEL SUO NUOVO FILM, TRATTO DALL'OMONIMO ROMANZO DI CARLA VANGELISTA, SILVIO MUCCINO TORNA A PARLARE D'AMORE, MA QUESTA VOLTA SI RIFERISCE A QUELLO PER IL PROSSIMO, LA' DOVE UN''ADOZIONE FORZATA' E IMPREVISTA SI TRASFORMA IN UN VIATICO DI RINASCITA PERSONALE

    RECENSIONE - Dal 22 DICEMBRE

    "...'Un Altro Mondo' è la storia di un viaggio, un viaggio in cui non cambiano solo i paesaggi all’interno dei quali si muovono gli attori, ma in cui si modificano anche 'gli occhi' con cui i protagonisti vedono il mondo. Proprio per questo ho sentito l’esigenza di raccontare questo film come un leggero e graduale avvicinamento al cuore dei personaggi partendo dal loro aspetto più superficiale. Nella presentazione iniziale la macchina da presa si muove veloce intorno ai personaggi descrivendo con inquadrature ricercate e ritmi sincopati una vita che è solo apparenza. Ma quando si arriva in Africa il linguaggio cambia radicalmente: si abbandonano 'steadycam', carrelli, 'ralenti' e immagini patinate per sposare un linguaggio più semplice, più intimo. La macchina a mano respira con gli attori e li segue nel loro viaggio concentrando l’attenzione sui soggetti più che sui paesaggi. Questi due linguaggi, uno 'romano' più superficiale e ricercato e l’altro 'africano' più semplice e intimo dialogheranno per tutta la seconda parte del film descrivendo il conflitto interiore di Andrea nell’accettare una nuova vita che lo obbliga a stare sempre più in contatto con le sue vere emozioni".
    Il regista, co-sceneggiatore e attore Silvio Muccino

    (Un altro mondo ITALIA 2009; drammatico; 110'; Produz.: Cattleya/Focus Features International; Distribuz.: Universal Pictures)

    Locandina italiana Un altro mondo

    Rating by
    Celluloid Portraits:




    Titolo in italiano: Un altro mondo

    Titolo in lingua originale: Un altro mondo

    Anno di produzione: 2009

    Anno di uscita: 2010

    Regia: Silvio Muccino

    Sceneggiatura: Silvio Muccino e Carla Vangelista

    Soggetto: Tratto dall'omonimo romanzo di Carla Vangelista Un altro mondo (edito da Feltrinelli).

    PRELIMINARIA:

    A due anni di distanza da Parlami d’Amore, pellicola di cui è stato interprete, regista e sceneggiatore, Silvio Muccino ritorna nelle sale con Un Altro Mondo.
    Si tratta della trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Carla Vangelista, autrice e sceneggiatrice con la quale scrisse a quattro mani nel 2006 il suo primo romanzo Parlami d’Amore, poi portato sullo schermo.

    Cast: Silvio Muccino (Andrea)
    Isabella Ragonese (Livia, la ragazza di Andrea)
    Maya Sansa (Ingrid)
    Flavio Parenti (Tommaso)
    Michael Rainey Jr. (Charlie, il fratellastro di Andrea, dell'età di 8 anni)
    Greta Scacchi (Cristina, la madre di Andrea)

    Musica: Stefano Arnaldi

    Costumi: Maurizio Millenotti

    Scenografia: Andrea Rosso

    Fotografia: Marcello Montarsi

    Montaggio: Cecilia Zanuso

    Casting: Barbara Giordani

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    IN BREVE:

    Un padre in punto di morte chiede al figlio, che non vede da più di vent'anni, di raggiungerlo in Kenya per l'ultimo saluto. Andrea (Silvio Muccino) - ventisette anni, unico legame Livia (Isabella Ragonese), la fidanzata con cui convive - vince le proprie resistenze e parte per Nairobi. Contro ogni previsione si ritroverà a dover gestire un'eredità alquanto singolare: un loquacissimo bambino nero di sette anni (Michael Rainey Jr.) che suo padre ha avuto da una donna del luogo e che ora si ritrova completamente solo. Un''adozione forzata' che, tra mille rocambolesche avventure, trasformerà finalmente Andrea in un uomo.

    IN DETTAGLIO:

    Andrea (Silvio Muccino), ventotto anni, una famiglia ricca alle spalle, un difficile legame con una madre algida e anaffettiva (Greta Scacchi), vive una vita superficiale e priva di responsabilità insieme alla sua ragazza Livia, (Isabella Ragonese) in mezzo ad amici che come lui dormono di giorno e vivono di notte. Il giorno del suo compleanno Andrea riceve una lettera: il padre, che non vede da più di vent’anni, gli chiede di raggiungerlo al più presto in Kenya perché gli resta ormai poco da vivere. Andrea, che è mosso più da rancore che da pietà filiale, vince le proprie resistenze e parte per Nairobi. Ma una volta arrivato in Africa scopre di avere un fratellastro, un bambino di otto anni (Michael Rainey Jr) che il padre ha avuto da una donna del luogo. Andrea non riesce a parlare con il padre prima che muoia ed è una volontaria italiana che lavora con lui nell'enorme slum di Kibera (Maya Sansa) ad annunciargli che per legge Andrea è il tutore legale del bambino.

    Comincia a questo punto per Andrea un viaggio fisico e interiore che lo porterà molto più lontano di quanto avrebbe mai potuto immaginare, un viaggio che lo obbligherà a confrontarsi con un problema che potrebbe stravolgere gli equilibri della sua vita: ovvero scegliere tra l'aprire uno spazio dentro di sè per accogliere e accettare il piccolo Charlie, oppure abbandonarlo e tornare in Italia come se niente fosse. A dieci ore di volo da lì c'è il suo mondo, perfetto e sicuro che lo aspetta e dove tutto può ricominciare, come prima, come sempre.

    E se invece fosse possibile un altro mondo? Un mondo in cui si può vivere e amare senza l'ingombro di ferite mai cicatrizzate? Un mondo in cui è possibile superare quella distanza che ci divide dalla sostanza dell'amore?

    Un Altro Mondo è la storia di una crescita, di una trasformazione che porterà i protagonisti a guardare e ad accettare la parte più fragile e vulnerabile di loro stessi: quella che ancora non riesce a fare i conti col proprio passato.

    Nota: Si ringrazia l'Ufficio Stampa Lucherini Pignatelli.

    Commento critico (a cura di PATRIZIA FERRETTI)

    Non è bello né troppo elegante fare confronti tra fratelli. Ma quando nella stessa famiglia ci sono due ‘artigiani’, entrambi con le mani in pasta nella celluloide, può forse esserci consentito esprimere un’opinione sul versante stilistico. Abbiamo difatti sempre pensato che, a dispetto di età ed esperienza, il giovane Silvio fosse diverse spanne più avanti del fratello Gabriele (Alla ricerca della felicità) già all’altezza della sua opera prima Parlami d’amore, un piccolo fiore all’occhiello della cinematografia italiana per il felice sposalizio tra messaggio socio-morale ed arte cinematografica, con un supporto speciale sul piano musicale, là dove note roboanti cedono spesso il passo a volontarie fughe di sonoro e silenzi assordanti. Quel che si dice un bel motivo firma di Silvio Muccino congiunto a movimenti di macchina veloci, sfocati, sbavati, dai ritmi sincopati studiati ad arte, tra cui occhieggiano note vagamente scottiane (è a Tony non a Ridley che sto pensando).

    Opera

    strutturata su una storia partorita dalle pagine di Carla Vangelista, Parlami d'amore, così come è il caso di questa opera seconda, Un altro mondo, di cui segue anche la sceneggiatura. Ed è la stessa Vangelista a ricordare la distanza che intercorre tra la storia narrata sulla pagina e quella trasposta sulla celluloide. Beh, forse nel tener fede all’esigenza di rimanere entro i ranghi, si è tagliata qualche fronda di troppo a danno dello spessore di qualche personaggio: appena sbozzati quello della volontaria (Maya Sansa) e dell’infame zio del bambino (per quanto incastonato in una delle sequenze più incisive del film) ma, soprattutto quello di Greta Scacchi, ritratto epidermico e apparentemente contraddittorio di madre anaffettiva con troppe cose lasciate inespresse, cui mal si rapporta un figlio legittimamente offeso e risentito quanto, verso l’epilogo della storia, incongruentemente e vacuamente conciliante. A questo potremmo aggiungere i limiti e confini di riferimento sociale: si

    guarda solo ad un giovane di famiglia ricca e senza un’occupazione di lavoro, con legami affettivi compromessi ma assolutamente libero di disporre di tempo e denaro a piacimento. In altro contesto Andrea (Silvio Muccino) difficilmente avrebbe potuto permettersi simile ‘redenzione’. E, ultima nota forse un po’ al si sopra delle righe è proprio Charlie, il bambino di colore che Andrea scopre come ‘imprevisto fratello’, qui caricato anche di un ruolo altro, in cui non è difficile scorgere i tratti dell’incarnazione della voce della coscienza adulta, d’altra parte ben controbilanciato dai vari spiazzamenti manifestati dal fratello più grande.

    Come moltissimi cineasti, anche Silvio Muccino sposa la struttura circolare che apre e chiude la pellicola con lo stesso motivo, un’immagine speciale, un’icona, un simbolo elettivo di dignità nella miseria, e come molti ama la voce fuori campo, cui egli aggiunge il tocco maestro di un uso impersonale ad effetto, screziato di ironia sarcastica

    “Ci sono persone…†mentre le immagini concorrono a sottoscrivere la sua urgente autocritica. Un lungo prologo prima del titolo del film che interviene all’altezza della sua partenza, lo spartiacque del prima e dopo la cura con l’intermezzo a tutto scompiglio. Certo, Un altro mondo non ha la poetica portata stilistica di Parlami d’amore, ma ha comunque il pregio di esprimere un altro spicchio di disagio, sforzando di mantenersi in equilibrio là dove era tutt’altro che facile senza scadere nel melenso. Silvio Muccino si è salvato dal possibile disastro proprio grazie ai suoi assi nella manica come giovane promettente cineasta, assolutamente in grado di tenersi testa, dietro e davanti la macchina da presa, cavalcando gli intrecci narrativi con opportune alternanze di montaggio, armoniosi equilibri tra logorroiche sequenze e incisivi silenzi appena confortati da sottofondi musicali e da una matura padronanza dei tempi cinematografici che, per non cedere alle lusinghe di vizi

    didascalici, lascia spazio sufficiente all’intuizione e pure a qualche ‘vezzo’ appuntato sul finale intrecciato ai titoli di coda.

    Per cui riterrei di lasciar fuori dalla porta precedenti che sicuramente si affacceranno alla memoria collettiva, tra cui il mitico Rain Man, in cui torna il motivo della coppia Tom Cruise e Valeria Golino (ripreso su altri fronti dallo stesso Cruise nel popolare quanto melenso Jerry Maguire) con ‘l’imprevisto fratello’ in questo caso autistico (Dustin Hoffman). Non pochi punti di contatto si riscontrano invece con About a Boy - Un ragazzo (2002) diretto dai fratelli Paul e Chris Weitz con protagonista Hugh Grant, film tratto dal best seller omonimo di Nick Hornby. Per questo lo stesso Silvio Muccino invita a guardare al suo Un altro mondo nei termini di un "'About a Boy' ai tempi di Obama". Ma allontanandoci per un momento dagli States, se volessimo restare entro il cono d’ombra di bandiera,

    allora potremmo chiamare in causa anche il debolissimo Bianco e nero di Cristina Comencini, al quale con Un altro mondo Silvio Muccino dà diversi punti, non tanto nei termini di semplicità di messaggio antirazzista congiunto al motivo narrativo evidentemente a lui caro del ‘disagio giovanile’ a tutto tondo con alto potenziale di riscatto personale - ma diamogli tempo, in fondo è solo al suo secondo film ed ha appena ventotto anni - quanto nello stile di porgerlo.

    Commenti del regista

    "Portare il romanzo di Carla Vangelista su pellicola non era cosa facile.

    Non era facile trovare un bambino che sapesse suonare tutte le corde del piccolo Charlie. Non era facile calarsi nei panni di un ragazzo tanto diverso da me. Non era facile trovare il modo giusto per raccontare questa storia.

    Non era facile, ma la fortuna mi ha fatto trovare lungo la strada il viso dolce e solare di Michael Rainey Jr. che come un regalo inaspettato si è presentato alla mia porta grazie a un videoclip di Tiziano Ferro. Nei tre anni che ho impiegato per preparare questo film ho avuto modo e tempo di scavare dentro di me e prepararmi a questa scommessa. Ma, cosa più importante, ho incontrato Gianfranco Morino, un medico italiano che ormai vive e lavora negli slum di Nairobi da più di vent’anni, che mi ha mostrato un’Africa molto diversa da quella che si vede in foto e nei documentari e che mi ha indicato quello che sarebbe stato il punto di vista 'giusto' per raccontare questa storia. Gli slum di Nairobi sono luoghi dove le fogne sono a cielo aperto, dove le case sono fatte di fango e lamiera, ma dove vivono uomini che ogni mattina vanno a lavorare vestiti in giacca e cravatta, insieme alle loro mogli vestite in tailleur. Quello che dell’Africa non potevo immaginare, ma che stando lì ho scoperto, è che in quelle baraccopoli vive la cosiddetta classe media, formata da insegnanti, operai, segretarie e uscieri di alberghi. Quello che non sapevo è che nonostante la dilagante povertà e malattia c’è e si respira un senso di enorme dignità. Una dignità che non viene mai raccontata in televisione. Per cui ho preferito portare sullo schermo quella dignità piuttosto che indugiare sulla cacca e le mosche che sicuramente sono immagini reali ma che riflettono solo una verità parziale.

    'Un Altro Mondo' è la storia di un viaggio, un viaggio in cui non cambiano solo i paesaggi all’interno dei quali si muovono gli attori, ma in cui si modificano anche 'gli occhi' con cui i protagonisti vedono il mondo. Proprio per questo ho sentito l’esigenza di raccontare questo film come un leggero e graduale avvicinamento al cuore dei personaggi partendo dal loro aspetto più superficiale.

    Nella presentazione iniziale la macchina da presa si muove veloce intorno ai personaggi descrivendo con inquadrature ricercate e ritmi sincopati una vita che è solo apparenza. Ma quando si arriva in Africa il linguaggio cambia radicalmente: si abbandonano steadycam, carrelli, ralenti e immagini patinate per sposare un linguaggio più semplice, più intimo. La macchina a mano respira con gli attori e li segue nel loro viaggio concentrando l’attenzione sui soggetti più che sui paesaggi.
    Questi due linguaggi, uno 'romano' più superficiale e ricercato e l’altro 'africano' più semplice e intimo dialogheranno per tutta la seconda parte del film descrivendo il conflitto interiore di Andrea nell’accettare una nuova vita che lo obbliga a stare sempre più in contatto con le sue vere emozioni.

    Ho avuto la fortuna di conoscere il dott. Gianfranco Morino circa un anno fa in Kenya. Lui vive e lavora lì da trent’anni. Ama l’Africa e si sente un africano, e crede così tanto nel suo lavoro che ancora chiama 'pazienti' e non 'clienti' le persone che cura. In quell’occasione mi ha mostrato il suo sogno che negli anni sta diventando un progetto concreto e reale. Ai bordi di una delle più grandi bidonville del centro Africa, tra fogne a cielo aperto e baracche di fango sorge una struttura bianca e pulita, circondata da un giardino verde e alberi appena piantati. Quella struttura è il Neema Hospital, l’ospedale che sta costruendo grazie ai soldi che con la sua associazione 'World Friends' sta mettendo insieme. In un posto come il Kenya in cui la sanità è appannaggio di pochi, l’ospedale di Gianfranco è vita e speranza per le migliaia di persone che vivono in quelle bidonville, ma è anche lavoro e formazione per i giovani studenti africani che saranno i medici di domani. Il Neema Hospital è un raggio di luce, una fiamma che si è accesa per portare cure e sollievo a chi vive in condizioni disperate ed è per questo che ho deciso di sostenere la causa di 'World Friends' e del dott. Morino
    ".

    Altre voci dal set:

    La scrittrice e sceneggiatrice CARLA VANGELISTA:

    "Quando ho iniziato a scrivere la sceneggiatura di questo film la prima cosa che ho dovuto fare, ovviamente, è stata abbandonare i panni dell’autrice del libro e prepararmi a trattare la storia come un soggetto cinematografico. I problemi da affrontare e risolvere erano di diverse nature. Innanzitutto il 'perimetro'. Un libro può espandersi a suo piacimento, una sceneggiatura ha una gabbia ben determinata, standard, per così dire. E improvvisamente, per quanto un libro possa sembrare 'già pronto per lo schermo', ti rendi conto che in quella stanza non ci entreranno né tutte quelle persone né tutti i loro bagagli. È proprio, e letteralmente, un problema di 'spazio'. Perciò qualcuno e qualcosa non parteciperà alla festa. È inevitabile. Quando ti rendi conto che dovrai fare questa selezione, ti trovi a dare una logica alle esclusioni o, meglio, a dare un senso, una regola, a quelli che invece 'entrano'. Perciò cominci a ragionare non solo sul senso del film, che deve essere il più possibile attinente al senso del libro, ma alle pietre miliari, ai 'paletti', attraverso i quali, grazie ai quali, si snoderà la tua storia. Questo ti porta inevitabilmente a creare due nuove distinzioni rispetto al libro. Prima di tutto il 'punto di vista', fondamentale in una narrazione cinematografica e così diverso dall’io onniscente che il libro consente all’autore. La macchina da presa, invece, nel momento in cui la prendi in considerazione, ti vincola a un rigore molto più forte. Il libro, per così dire, è più anarchico, il film più strutturato. La seconda distinzione che bisogna poi fare, nella quale ti imbatti tuo malgrado, è che ti rendi conto che nel libro i tuoi personaggi 'pensavano ad alta voce'. E in particolare nel mio romanzo Andrea e tutti gli altri avevano una storia vissuta tutta 'dall’interno'. Ecco allora la necessità di esteriorizzare, di portare 'fuori' quel mondo interiore. Nel passaggio dal libro alla celluloide, quindi, il percorso dei protagonisti è stato riscritto in modo tale che il loro percorso emotivo venisse raccontato attraverso le loro azioni e – molto più importante - attraverso le loro contraddizioni. La scrittura del film è stata volutamente spinta proprio alla ricerca di quelle contraddizioni che erano parte integrante dei nostri personaggi. Andrea, come Livia, o Cristina – la madre di Andrea - sono persone che non parlano, che sono abituate a dire solo quello che li fa sentire più sicuri ma che quasi sempre è l’esatto contrario di ciò che provano. Abbiamo lavorato per quasi un anno e mezzo cercando di costruire una sceneggiatura che si reggesse e si fondasse proprio su questa contraddizione, su questa tensione narrativa: su personaggi che mentono senza consapevolezza – e senza la minima volontà di mutare lo stato delle cose - e sulla progressiva caduta dei veli che camuffano le loro bugie.
    Non è stato facile proprio perché, più che in altri film, in questo caso sapevamo che la scrittura sarebbe risultata efficace solo in fase di ripresa e solo se messa nelle mani degli attori giusti, capaci di rendere il 'non detto'. Se all’inizio del film il fuoco della scena è sempre altrove, a mano a mano che la storia procede, il cuore delle battute diventa sempre più il centro delle 'inevitabili' confessioni dei nostri personaggi. Che sono, più che confessioni all’altro, confessioni a se stesso. E il motore di questa rivoluzione, l’involontario 'deus ex machina', è il piccolo Charlie. Diverso, in tutti i sensi, non solo perché bambino e non adulto, nero e non bianco, ma soprattutto puro e non mascherato. È, per così dire, il grimaldello che apre tutte le porte di protezione che i personaggi hanno chiuso intorno a se stessi, come una inespugnabile fortezza. Ma anche, in definitiva, una terribile gabbia. Charlie, semplicemente per quel che è, scardinerà le loro vite. False. Farà emergere valori fino a quel momento inespressi, sotterrati sotto cumuli di 'teatro concordato', di mute regole. Curerà una patologia dei personaggi. Li costringerà a fare i conti con i propri segreti, con le proprie paure, con le proprie fragilità. E con quelle dell’altro. E degli altri. È come un risveglio, seppur tardivo. Come se Andrea e Livia, in special modo, uscissero dal loro bozzolo, come se smettessero di rimanere rannicchiati su se stessi, come dei feti cresciuti, e riuscissero a guardare davanti a sé, intorno a sé. Come se riuscissero a vedere se stessi e gli altri per quello che sono e non come le proiezioni mentali di un loro ragionamento. Questo processo passerà attraverso l’ammissione del proprio dolore e quindi attraverso una lenta trasformazione che li porterà a non nascondersi più dietro le proprie bugie ma a mostrarsi con le proprie nude verità.
    Un libro che genera un film che a sua volta genera un altro libro. Non è accaduto spesso, credo. Sono felice che sia accaduto a noi. Quando sono entrata in contatto con Gianfranco Morino in Africa, e ho assistito al suo impegno ventennale nel prodigarsi per la gente di quel paese, ho capito che avevo bisogno di restituire qualcosa a chi mi aveva dato così tanto mentre scrivevo il mio libro, e che da quel momento in poi non sarebbe stato più possibile per me fare come avevo fatto fino a quel momento e come tanti di noi fanno: provare solidarietà e compassione e poi voltare il viso da un'altra parte. 'Le Avventure di FISHANDCHIPS' sono nate con l'unico scopo di raccogliere fondi per aiutare Gianfranco a finire di costruire il Neema Hospital a Kibera, una delle baraccopoli più popolose e disastrate di Nairobi. Nella storia di 'Un Altro Mondo' c'era un bambino che trascinava con sé il suo perenne alter-ego: un dinosauro arancione spelacchiato e pieno di scuciture. Ed ho pensato che la conseguenza logica fosse che quel dinosauro mi aiutasse a raggranellare gli aiuti che dovevano servire ad altri bambini, e non solo a loro. Ho scritto le sue avventure e adesso tocca a lui. E alle persone che vorranno aiutarci
    ".

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    • LE AVVENTURE DI TINTIN - IL SEGRETO DELL'UNICORNO - INTERVISTA a JAMIE BELL (Interviste)

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