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    QUESTIONE DI CUORE: ANTONIO ALBANESE E KIM ROSSI STUART COME AIACE ED ETTORE RICOVERATI NELLA STESSA SALA DI RIANIMAZIONE, UN POSTO COME UN ALTRO PER DIVENTARE AMICI, PER NASCONDERE LA DISPERAZIONE SOTTO GLI SGHIGNAZZI VIRILI

    "Desideravo fare un film sull’Italia, anche se in modo sghembo, attraverso l’incontro fra due personaggi che fossero portatori di mondi inconciliabili, se non alla fine del mondo. E quando muore qualcuno, finisce sempre un mondo, anche se è piccolo non è mai insignificante. Significa tantissimo soprattutto per i parenti, e i narratori...".
    La regista e sceneggiatrice Francesca Archibugi

    (Questione di cuore ITALIA 2009; drammatico; 104'; Produz.: Rai Cinema e Cattleya; Distribuz.: 01 Distribution)

    Locandina italiana Questione di cuore

    Rating by
    Celluloid Portraits:




    Titolo in italiano: Questione di cuore

    Titolo in lingua originale: Questione di cuore

    Anno di produzione: 2009

    Anno di uscita: 2009

    Regia: Francesca Archibugi

    Sceneggiatura: Francesca Archibugi

    Soggetto: Liberamente tratto da Una questione di cuore di Umaberto Contarello (G. Feltrinelli Editore)

    Cast: Antonio Albanese (Alberto)
    Kim Rossi Stuart (Angelo)
    Micaela Ramazzotti (Rossana)
    Francesca Inaudi (Carla)
    Andrea Calligari (Airton)
    Nelsi Xhemalaj (Perla)
    Chiara Noschese (Loredana)
    Paolo Villaggio (Renato)

    Musica: Battista Lena

    Costumi: Alessandro Lai

    Scenografia: Alessandro Vannucci

    Fotografia: Fabio Zamarion

    Scheda film aggiornata al: 25 Novembre 2012

    Sinossi:

    E’ uno schema narrativo vecchissimo, e per questo sempre nuovo, adoperato addirittura già nell’Iliade. Aiace ed Ettore, guerrieri di eserciti diversi, nel libro settimo si feriscono in duello e vengono ricoverati nella stessa tenda. E avviene l’incontro fra mondi inconciliabili, che la malattia e la paura della morte rendono più disponibili e percettivi. I cuori di Alberto e di Angelo ingrippano nella stessa notte. Così dice Angelo, giovane carrozziere di ex borgata, ex sottoproletario, un ex tutto diventato qualcosa che Alberto, sceneggiatore di successo, bravo e matto, rumoroso e squilibrato come un rinoceronte, non capisce.
    Diventano amici in sala rianimazione. Si legano in modo istantaneo, sorpresi loro stessi di capirsi così profondamente. Ma sono due maschi, e quindi paludano spesso le emozioni dietro lo scherno, lo scherzo. Come adolescenti al primo viaggio in tenda. Appena fuori, la vita gli sembra talmente cambiata, sempre consapevoli come sono di ogni battito cardiaco, che diventano indispensabili l’uno all’altro. Continuare a stare insieme significa stare con l’unica persona al mondo che – in quel momento - ti capisce. Alberto, che è strutturalmente un uomo solo, non riesce a dare stabilità al suo rapporto con la fidanzata, e si installa come un paguro nella conchiglia, la casa di Angelo, lì al Pigneto, sopra la carrozzeria specializzata in auto d’epoca. Un mondo imperscrutabile, ora bellissimo, ora sinistro. Ma in quella casa c’è una famiglia, una moglie, Rossana, attraente di suo e in più incinta, una specie di
    donna al quadrato; e i due figli, Perla e Airton, una adolescente furiosa e un bambino impaurito dagli eventi. Alberto si scioglie in quella dolcezza che gli era non solo sconosciuta, ma perfino antipatica. Si crea una famiglia con due padri, con funzioni complementari: uno solido, Angelo, che manda avanti la carrozzeria, guadagna, evade e accumula, e l’altro, Alberto, che legge, scrive e sperpera, soldi e relazioni. Ma non c’è scontro, fra le loro visioni delle cose: è anzi un abbraccio che nasconde la disperazione sotto gli sghignazzi virili. Angelo nasconde a tutti di sentirsi sempre peggio, e costruisce un piano, germogliato nella paura di morire: cerca di trasferire all’amico, come eredità, come dono, come responsabilità morale, ciò che ha di più caro: Rossana, Airton e Perla.

    Dal >Press-Book< di Questione di cuore

    Commento critico (a cura di ENRICA MANES)

    Ribaltando gli schemi della classica commedia all’italiana o della commedia più recente che vive di sempre più improbabili e costruite tragedie familiari e fallimentari rapporti di odio-amore fra adolescenti e generazioni, ecco che Francesca Archibugi riesce nell’obiettivo duplice e tutt’altro che facile di inserire meta-cinema e trasposizione di un romanzo (Una questione di cuore, Umberto Contarello) interrogandosi e interrogando il pubblico sul significato tra le parole e il loro vero senso nella vita.
    L’alchimia parrebbe ovvia ma non lo è, e basta prendere un personaggio ben riuscito, a tuttotondo, completo e in divenire allo stesso tempo e per nulla macchiettistico, come lo sceneggiatore Alberto, (Antonio Albanese), per mettere in chiaro tutto da subito attraverso l’occhio speciale di colui che le storie è abituato a costruirle ma si rende conto di non essere mai riuscito a vivere la sua.
    Con un titolo che potrebbe far pensare a tutt’altro e ad un qualcosa di

    tristemente già visto, Questione di cuore ribalta i ruoli e le scelte, mettendo Albanese nei panni del personaggio della “Roma bene†con la casa sul lungo Tevere, Kim Rossi Stuart in quelli del meccanico di borgata e fa precipitare entrambi nel limbo della terapia intensiva in cui non ci sono avvenenti infermiere pronte a tutto ma solo il modo per scoprirsi e leggersi dentro.
    Nulla di più difficile per chi le storie le scrive ed è in crisi pure con quelle!
    Ma dal contrasto nasce una insolita amicizia, che è insieme vita e ispirazione, tutta libera da pietismi di classe e di malattia, in cui ciascuno finisce per scoprire lentamente qualcosa di sé.
    L’occhio che guida lo spettatore attraverso l’evoluzione classica del personaggio che si disvela è sempre quello di Alberto, capace di intravedere la verità come un indovino e di riuscire a leggere negli altri.
    Il film si trasforma così in quella

    che di solito è una storia giocata al femminile, dove complicità e sensibilità sono affidate solo a donne e che qui invece diventa tutta al maschile, con una simpatica figura simile ad un grillo parlante, ad una coscienza che insegna il senso vero delle parole e mette in campo il sentimento, a ciascuno, ad ogni membro della famiglia di Angelo rende e dona un po’ del suo, la sicurezza ai figli Perla e Ayrton, il conforto e la rinnovata gioia di vivere, di sorridere nelle piccole cose della vita alla moglie Rossana.
    L’adagio, il motto che Alberto fa suo, è tutto un archetipo “questa è la domandaâ€.
    Ma nemmeno le reminescenze di shakespeariana letteratura mettono in campo pietismo e dubbio su una storia che appare genuina, capace di scorrere senza che il già visto salti all’occhio ed inducendo una riflessione pure nel ritmo che spesso butta su di una ironia colta,

    per nulla appesantita da frasi fatte o violenze linguistiche.
    L’evoluzione dei due personaggi è quella tutta classica degli eroi comuni, di chi si osserva dal di fuori e fa di sé e della propria condizione una ragione di vita; così gli eventi trasportano i due amici atipici in una spirale che li unisce e li accomuna, che da e che alla fine prende e che si chiama vita.
    L’asso nella manica del film la regia lo gioca con il ruolo straordinario affidato ad Antonio Albanese, nella scelta di ribaltare i ruoli classici ed affidare a lui quello del filosofo-scrittore, capace di rendere con una vivezza tutta nuova lo spirito del suo personaggio, lasciando da parte l’ironia tamarra e dialettale per raggiungere uno stato di vibrante realismo.

    Commenti del regista

    "…via Fanfulla da Lodi, in mezzo al Pigneto, con le casupole basse, i muretti screpolati, era di una granulosa grandiosità, nella sua estrema piccolezza; una povera, umile, sconosciuta stradetta, perduta sotto il sole, in una Roma che non era Roma"

    "Adesso lì, nella stradetta di Accattone, c’è odore di kebab e di cocktails alla vodka e mirtillo, alternative signore sbiciclettano fra i cingalesi e i carrozzieri, tutti molto up to date, e arcaici. Intorno, il Mandrione di Giulietta, il Quadraro vecchio de Il ferroviere, la borgata Gordiani dove hanno sparato dal camion ad Anna Magnani, Torpignattara dove ciondolavano i fratelli Citti. Una Roma mai più vista al cinema, com’è diventata. Come siamo diventati? Desideravo fare un film sull’Italia, anche se in modo sghembo, attraverso l’incontro fra due personaggi che fossero portatori di mondi inconciliabili, se non alla fine del mondo. E quando muore qualcuno, finisce sempre un mondo, anche se è piccolo non è mai insignificante. Significa tantissimo soprattutto per i parenti, e i narratori. Per questo ho detto a Umberto Contarello: scrivo da sola, devo essere libera di fare dal tuo bel romanzo il mio brutto film. E così mi sono immersa in questa trama ricevuta in regalo, da Umberto che l’ha
    ideata e Riccardo Tozzi, il produttore, che me l’ha comprata.
    Sembra retorico, ma è vero: ogni film si ricomincia daccapo. Ti sembra che nessuna esperienza ti possa aiutare: sei di nuovo impaurito come all’opera prima.
    Di questo film mi è stato subito chiaro che poneva il suo peso sulle spalle degli attori. Gli attori sono importanti per tutti i registi, ma per chi fa cinema di personaggi, sono il cardine del
    proprio lavoro. Sono esseri che ti tengono in pugno e nemmeno lo sanno, che devi far sentire
    completamente liberi nella ferrea gabbia drammaturgica che gli hai costruito, e che anzi siano illusi di
    spiccare voli nel cielo di cartone che gli hai disegnato. Ho avuto in regalo anche degli attori eccezionali: ognuno mi ha fatto dono di sé, in modo commovente e profondo. Considero il mio lavoro molto artigianale, sono noiosa, pignola: scrivo con il martello e la pialla, costruisco scalette, forgio dialoghi, poi scelgo ottiche, stendo binari, attacco in movimento, salto con la
    sbianca in stampa, al mix alzo i passi e abbasso il vento mille volte, cambiando via via collaboratori, tutti importantissimi, che diventano i miei migliori amici. Siamo aggrappati per anni al collo di una storia, con i denti affondati in ogni particolare minuscolo, che
    come i frammenti di un mosaico andrà a comporre la nettezza o la imprecisione del disegno. Un disegno che alla fine però deve essersi disegnato da sé, senza la mano di nessuno, se non quella dei personaggi stessi che vivono la loro vita, caricandosi martello, scalette, ottiche e salto sbianca sulle spalle.
    Zavattini diceva: tanto l’artistico viene da sé, è l’utile che bisogna volere
    ".

    Links:

    • Antonio Albanese

    • Kim Rossi Stuart

    • Francesca Inaudi

    • Micaela Ramazzotti

    • QUESTIONE DI CUORE - INTERVISTA ad ANTONIO ALBANESE (Interviste)

    • QUESTIONE DI CUORE - INTERVISTA a KIM ROSSI STUART (Interviste)

    • QUESTIONE DI CUORE - INTERVISTA a MICAELA RAMAZZOTTI (Interviste)

    • QUESTIONE DI CUORE - INTERVISTA a FRANCESCA INAUDI (Interviste)

    1

    Galleria Video:

    Questione di cuore (versione originale italiana).mov

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