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    IL PROGRAMMA DI FEBBRAIO DEL CINEMA TREVI - CINETECA NAZIONALE, Roma

    OMAGGIO a VIRNA LISI, GIANNI AMICO, ANITA EKBERG, SILVANA MANGANO

    03/02/2015 - 1 febbraio OMAGGIO A VIRNA LISI

    3-4 febbraio Un uomo chiamato Amico (Gianni)

    5 febbraio OMAGGIO A ANITA EKBERG

    6-12 febbraio Silvana Mangano la signora del cinema italiano

    13 febbraio Film maledetti: OcchioPinocchio e I cancelli del cielo

    14 febbraio Cinema e psicanalisi: Un mondo precario

    15 febbraio Cineteca Classic: Louis Malle

    15 febbraio Striplife: un giorno a Gaza

    15 febbraio Fatti e strafatti

    17 febbraio Omaggio a Francesco Rosi

    18-22 febbraio Massimo Girotti: cronaca di un attore

    24 febbraio Damiano Damiani. Politica di un autore

    25 febbraio Parma e il cinema

    26-28 febbraio Paola Pitagora tra tradizione e contestazione

    In particolare:

    domenica 1 febbraio

    OMAGGIO A VIRNA LISI

    Si è spenta il 18 dicembre 2014 una delle ultime vere regine del cinema italiano. Viso angelico e carattere energico, «quello che più sorprende in Virna Lisi è la duttilità», scriveva Sergio Toffetti in una monografia a lei dedicata, «davvero non comune nel cinema italiano, di un’attrice capace di affrontare con identica immedesimazione commedie e melodrammi, passando dal confronto con Jack Lemmon in Come uccidere vostra moglie, dove Richard Quine la sceglie come “nuova Marilyn Monroe” per una parte da “svampita” tra il comico e il brillante; al tenero ritratto di Milena, la giovane cassiera innamorata che Pietro Germi le disegna addosso in Signore e Signori; alla Wilma Malinverni della Cicala di Alberto Lattuada, che va apparentemente contro la sua bellezza, invecchiandola, per farle meglio esprimere una disperata vitalità. Dopo mezzo secolo di indiscusso “predominio del regista”, oggi si torna a interrogarsi su chi sia l’autore di un film, sottolineandone gli aspetti di opera collettiva, cui molti talenti e molte professionalità devono contribuire per garantirne il successo».

    Giovedì 27, all’interno della rassegna dedicata a Paola Pitagora, sarà possibile rivedere Virna Lisi in una delle sue più convincenti interpretazioni: la svampita protagonista della commedia Tenderly di Franco Brusati.

    Le citazioni sono tratte dal volume di Sergio Toffetti, Alberto La Monica, Virna Lisi. Un’attrice per bene, Besa, 2005.

    ore 17.00 Al di là del bene e del male di Liliana Cavani (1977, 127’)

    Triangolo amoroso fra il filosofo Federico Nietzsche, la disinibita Lou Salomé e l'inibito Paul Rée. Incapace di optare per una vita priva di regole (com’è quella della bella Lou) e d’altra parte nauseato delle pastoie borghesi della sua educazione, Nietzsche finisce per impazzire. «Adoro i personaggi da cattiva, mi ci butto dentro come una pazza, mi è piaciuta da morire ad esempio la parte della sorella di Nietzsche in Al di là del bene e del male. Ero una nevrastenica pazza, a un certo punto mi arrabbio talmente che vomito quello che mangio… oddio se mi ricordo quella scena! Liliana Cavani mi propose poi il ruolo della protagonista nel Portiere di notte, ma non faceva per me» (Lisi). Nastro d’argento come miglior attrice non protagonista a Virna Lisi.

    ore 19.15 La cicala di Alberto Lattuada (1980, 101’)

    Una bella donna sui quaranta, ex cantante e prostituta, ha sposato un brav’uomo, titolare di una stazione di servizio. Convinta di essere ormai sistemata, prende con sé la figlia adolescente, ma costei nell’ambiente si guasta. Rivaleggia in amore con la madre, fino a rubarle il marito. Testimone della vicenda è la “cicala”, selvatica e bellissima fantesca. «Nella Cicala sono ingrassata di sette chili per fare la protagonista. C’era Lattuada che ogni cinque minuti mi faceva portare un panino in scena, mi faceva mangiare tutto il giorno! E nella prima scena, quando scendo dalla corriera, mi mise un piccolo “coulisson” perché ancora non ero grassa abbastanza, e mi fece un po’ di sedere finto, per cui mi dovevo muovere dentro un vestito stretto stretto… Che bel personaggio. Nel finale, Alberto mi disse: “Virna, io non so da che parte cominciare”. E io: “Tu dai motore e io vedo come posso fare…”. E sono uscita di corsa urlando come una pazza con i vestiti che mi bruciavano addosso. L’abbiamo girata una volta sola. Lattuada disse che era un finale bellissimo. Molto intenso» (Lisi). David di Donatello 1980 a Virna Lisi come miglior attrice.

    ore 21.15 Sapore di mare di Carlo Vanzina (1983, 99’)

    Ambientato nel ’64 il film racconta la vacanza di un gruppo di ragazzi. I protagonisti sono due fratelli napoletani, Paolo e Marina, che in Versilia si uniscono ad altri loro coetanei. Diventano tutti amici, anche se sono di ceti diversi, e comincia così l’avventura estiva. Assisteremo alle immagini di quell’epoca: il bowling, il surf, le gare in pineta tra vespe e lambrette, il mondo dei primi baci, dei locali notturni, dei Beatles. Per tutti nasce l’amore e anche per Paolo e Marina l’estate si riempie di illusioni che poi svaniscono con l'arrivo dell’autunno. Ci ritroviamo ai giorni nostri, 1982. I ragazzi sono invecchiati ma ancora lì alla Capannina. La musica suona lo stesso motivo di allora... lasciando un sapore di malinconia per quegli anni che nessuno aveva capito. David di Donatello e Nastro d’Argento 1983 a Virna Lisi come miglior attrice non protagonista.

    3-4 febbraio

    Un uomo chiamato Amico (Gianni)

    «Di natura complessa e di complessi interessi, Amico tentò sempre di mettere armonia fra le sue passioni, che furono, oltre al cinema, il jazz e la musica brasiliana, la politica, l’arte, e l’ossessione dell’analisi intellettuale; la sua fantasia creativa, molto sensibile alle suggestioni dello stile e della grammatica cinematografica, si mosse sempre in parallelo al desiderio di approfondire il risvolto storico-politico dei temi che trattava. […] Amico, figlio di un capitano di mare, frequentò il liceo classico a Genova dove nel 1960 cominciò a organizzare incontri e rassegne di cinema latinoamericano, attività proseguita fino al 1965. Questa importante esperienza lo portò in Brasile la prima volta nel 1962, e, per i contatti avuti e la grande influenza esercitata sia sugli autori brasiliani sia nella diffusione della loro opera, ancora oggi Amico viene ricordato in Brasile tra i protagonisti del Cinema Nôvo. Il suo Tropici fu infatti girato nel Nord-Est brasiliano e a San Paolo […]. Se fino a quel momento la passione cinematografica di Amico si era sviluppata nell’universo di ricerche e sperimentazioni della Nouvelle vague europea, Tropici scelse un linguaggio completamente originale per purezza e intensità poetica, rappresentando in qualche modo il ritorno a un antico amore per Roberto Rossellini accanto al quale Amico si era trovato a lavorare per la produzione di Era notte a Roma (1960). Già nel 1963 infatti a Roma aveva collaborato alla sceneggiatura di Prima della rivoluzione (1964) di Bernardo Bertolucci del quale fu anche produttore esecutivo. […] Non si può dimenticare infatti che l’amore per il cinema non coinvolse Amico soltanto per gli aspetti creativi ma anche per il fascino suscitato dalla macchina produttiva di un film nell’urgenza di orchestrarne con vitalità ogni aspetto. Con Bertolucci Amico sceneggiò anche Partner (1968), e lo stesso Bertolucci partecipò alla sceneggiatura del suo L’inchiesta (1969), film invitato al Festival di New York. Bertolucci produsse poi per lui il lungometraggio Io con te non ci sto più (1983). Fra le collaborazioni di Amico come sceneggiatore vanno ricordate: Vent d’Est (1969) di Jean-Luc Godard e Der leone have sept cabecas (1970) di Glauber Rocha» (www.treccani.it).

    martedì 3 febbraio

    ore 17.00 Tropici di Gianni Amico (1967, 84’)

    «Una famiglia di salariati agricoli brasiliani in cerca di lavoro viaggia, a piedi e in autocarro, dalle campagne aride del Nord-Este sino a Recife, sull’Atlantico, e poi a San Paolo. Pur impregnata di altri umori, quelli del cinema nôvo brasiliano, la lezione rosselliniana è applicata dal ligure Amico, al suo esordio nel lungometraggio, con limpido pudore in questa cronaca di viaggio che è anche un rapporto sul Brasile e un poemetto sulla dignità dell’uomo. Contribuirono alla sceneggiatura Marco Tullio Altan e Giorgio Pelloni, direttore della fotografia» (Morandini). «Il proposito di Gianni Amico acquista quindi un significato preciso: non descrivere, ma lasciando a una certa realtà brasiliana il significato e il posto che essa stessa si dà, stupirsi che semplicemente non sia vista» (Comolli). «Il giudizio critico di chi filma (la sua coscienza politica e personale) è nel come filma. La “politicità” di Gianni Amico è proprio nel rifiuto della “politicizzazione”. Il suo giudizio sulla realtà filmata è nella scelta stilistica compiuta, un giudizio autre è superfluo: il suo giudizio è il piano sequenza» (Spila).

    ore 18.45 Io con te non ci sto più di Gianni Amico (1983, 95’)

    Proprio quando hanno deciso di separarsi, Marco e Clara trovano finalmente casa. I due decidono di coabitare senza toccarsi. Ma tutto sembra inutile perché continuano a litigare. Una ragazza che abita nell'appartamento vicino complica ulteriormente il tutto. «L’idea viene da una storia vera, la storia di tre amici comuni, miei e di Enzo Ungari, che ha scritto con me il soggetto. Dopo qualche anno abbiamo trovato un produttore che, non essendo riuscito a intervenire in Le affinità elettive, mi ha chiesto di fare con lui un film a basso costo. Così con Enzo abbiamo scritto il trattamento, poi il produttore è morto in un incidente e il progetto si è fermato. […] Quando Bertolucci ha firmato un accordo con la Ladd Company per fare un film suo più tre film a basso costo, si è ricordato del mio soggetto. Nella sceneggiatura è intervenuto anche Altan, molte cose sono state riscritte perché erano un po’ datate, per esempio il femminismo era molto più accentuato […]. [È] un film sullo spazio come maschera dei problemi sentimentali. […] A volte il film tende a scivolare nella pochade. Comunque più che un remake in chiave rosa de Il tetto, lo considero una versione involgarita de Le affinità elettive. Ha anche un motivo comune con Le cinque stagioni, la costruzione dell’utopia: là era il presepe, qui lo strumento musicale. […] È anche un film sul presente, il presente come crisi degli alloggi, ma anche come crisi dei sentimenti e della cultura. Il vero soggetto è la costrizione. I tre personaggi sono continuamente frustrati, non fanno mai quello che vogliono fare: è un film sul malessere di questi anni» (Amico).

    ore 20.45 incontro con Olmo Amico, Adriano Aprà, Francesca Archibugi, Nino Castelnuovo,

    Enrico Ghezzi, Marco Giusti, Germano Maccioni, Elio Rumma

    moderato da Bruno Torri

    Nel corso dell’incontro sarà presentato il cofanetto Jazz e altre visioni. Tre film di Gianni Amico (Cineteca di Bologna, 2014).

    a seguire L’uomo Amico di Germano Maccioni (2014, 39’)

    Da un’idea di Olmo Amico, un documentario presente nel cofanetto Jazz e altre visioni. Tre film di Gianni Amico. Con interviste inedite a Bernardo Bertolucci, Tatti Sanguineti e Stefano Zenni.

    Ingresso gratuito

    mercoledì 4 febbraio

    ore 17.00 Fumaria - Uomini e ulivi di Gianni Amico (1968, 12’)

    Un antico paese in provincia di Imperia. Attualmente è spopolato a causa dell’emigrazione, ci sono solo vecchi. Un tempo è stato legato alla cultura dell’ulivo, una pianta che rende molto sulle rive del mare. Una malattia chiamata fumaria sta eliminando completamente questa cultura. Oggi pare affermarsi lo sviluppo turistico e marinaro.

    a seguire Paola di Gianni Amico (1970, 20’)

    Una giornata particolare di Paola (Maria Virginia Onorato) che decide di separarsi dal marito e vaga per le strade e le piazze di Roma, in compagnia di un giovane straniero. In questo cortometraggio si nota la grande passione di Gianni Amico per la Nouvelle Vague, in primis Godard.

    a seguire La mistificazione di Gianni Amico (1971, 11’)

    Un monologo interiore di una donna, straniera a se stessa e agli altri: descrive luci, colori, feste, danze e riti delle terre africane del nord-ovest.

    a seguire Dario di Manarola. Appunti per un film sull’esperienza di Telemaco Signorini alle Cinque Terre di Gianni Amico (1985, 30’)

    Il diario quotidiano dei momenti vissuti a Manarola trova rispondenze e contrasti col diario riflessivo e teorico di Signorini, artista innamorato delle Cinque Terre che riflette sulla propria ossessione figurativa.

    ore 18.30 Le affinità elettive di Gianni Amico (1979, 198’)

    «Le affinità elettive di Goethe era il romanzo con cui scherzavano Jules, Jim e Jeanne Moreau in un tragico gioco di società e di affetti. Il ricordo del film di Truffaut può dare utili orientamenti di atmosfera drammatica a chi non ha letto il romanzo. Vi si racconta di Edoardo, un illuminista che vuole conciliare civiltà e natura, “trasformare il quotidiano in opera d’arte” e scatenerà un fatale quadrilatero incrociato di Amore e Morte. Invitando nel suo castello, contro il volere della moglie Carlotta, il Capitano, Edoardo crede di poter combinare i sentimenti come se fossero elementi chimici. […] Gianni Amico ha girato per tre mesi in sud Tirolo fra laghi, boschi, fiumi, valli e castelli. Il tono del film è alto: la seconda parte cita addirittura Dreyer e fa venire in mente il Rohmer della Marchesa Von… L’architettura narrativa è forte come quella prevista da Goethe. Le riprese sono ricche di una invenzione stilistica, figurativa e di una fascinazione di stampo ormai raro» (Sanguineti).

    Per gentile concessione di Rai Teche - Ingresso gratuito

    giovedì 5 febbraio

    Omaggio a Anita Ekberg

    L’11 gennaio 2015 si è spenta a 83 anni Anita Ekberg, musa di Federico Fellini, che la chiamava affettuosamente “Anitona”. Come ha scritto giustamente Marco Giusti: « Così “La dolce vita’’ se ne va definitivamente. Anita Ekberg nella Fontana di Trevi e il suo “Marcello come here!” rimarranno per sempre nel nostro cuore. Non solo di cinéfili. Senza scordare l’Anita dei film di Dean Martin e Jerry Lewis come Artisti e modelle di Frank Tashlin, che fu il primo a capirne la potenza da pin-up prosperosa e a imporla solo come Anita, cioè se stessa. O quella dei peplum di Cinecittà, come Nel segno di Roma […]. O nel cultissimo Suor omicidi di Giulio Berruti, grassa e cattiva, a fianco di Paola Morra, Lou Castel e Joe Dallesandro. […]. Rispolverata in occasione di ogni celebrazione di La dolce vita, Anita è stata davvero schiava per sempre di quel ruolo e di quel personaggio. La star appena arrivata in Italia in un’epoca d’oro che era già finita quando la stava filmando Fellini. Smile, Anita, smile… ».

    ore 17.00 Suor Omicidi di Giulio Berruti (1979, 86’)

    «La caposala di un ospizio, suor Gertrud, viene operata di tumore al cervello. Nell’ospedale avvengono morti violente. Alcuni pensano che l’assassina sia la suora, dedita alla morfina» (Poppi/Pecorari). «Uscito nel 1978 ed esempio pregnante del filone denominato nun-exploitation, Suor omicidi […] di Giulio Berruti è un film sfortunato e maledetto, distrutto dalla censura, scomparso dalla circolazione per quasi trent’anni e divenuto oggetto di culto, anche per la sua capacità di andare oltre al facile erotismo di facciata e di non affondare nelle paludi del soft-core, evitando ogni scivolone nel cattivo gusto» (Fogliato).

    ore 18.45 La dolce vita di Federico Fellini (1960, 175’)

    Marcello è un giornalista che scrive per un rotocalco articoli mondani, in cui figurano persone e fatti noti nell’ambiente di Via Veneto. L'attività professionale lo ha portato ad adottare un sistema di vita molto simile a quello dei suoi personaggi. «Il film - uno dei film più terribili, più alti, e a modo suo più tragici che ci sia accaduto di vedere su uno schermo - è la sagra di tutte le falsità, le mistificazioni, le corruzioni della nostra epoca, e il ritratto funebre di una società in apparenza ancora giovane e sana che, come nei dipinti medioevali, balla con la Morte e non la vede, è la “commedia umana” di una crisi che, come nei disegni di Goya o nei racconti di Kafka, sta mutando gli uomini in "mostri" senza che gli uomini facciano in tempo ad accorgersene» (Rondi).

    Edizione restaurata

    a seguire Le tentazioni del dottor Antonio di Federico Fellini, episodio di Boccaccio ’70 (1962, 55’ )

    Il dottor Antonio Mazzuolo è un moralista: fa parte di una commissione di censura del Ministero dello Spettacolo; vive, scapolo, con la madre e le sorelle. Un giorno, montano davanti a casa sua un cartellone per la pubblicità del latte, che raffigura una donna provocante e gigantesca. Sconvolto, Antonio si prodiga inutilmente per la sua rimozione. Immagina che la donna scenda dal cartellone e lo conduca nel suo mondo gigantesco. «Era da poco finita la ventata polemica e talvolta astiosa e velenosa contro “l'immoralità” de La dolce vita. Ci fa capire insomma che Le tentazioni del Dottor Antonio non è casuale. C’era il pungolo, per Fellini, ed era la reazione contro la censura. Il pretesto per superare una situazione amara e spiacevole di cui ancora conserva le tracce, in se stesso» (Di carlo, Frattini).

    Restauro digitale della Cineteca Nazionale con il contributo di Dolce e Gabbana

    6-12 febbraio

    Silvana Mangano la signora del cinema italiano

    «“E la luna fece una catena con le stelle e le comete per liberare la principessa e restituirla al suo grande amore…”: erano queste le storie che zia Silvana raccontava a noi bambini nel suo salottino a Villa Catena. A 25 anni dalla sua morte vogliamo ricordarla così, ripercorrendo i tratti salienti della sua carriera. Musa ispiratrice di Visconti e Pasolini, amata da De Sica, Monicelli e Lizzani, è stata l’icona del grande cinema italiano, dal neorealismo alla commedia all’italiana, dal sodalizio artistico con Alberto Sordi al grande cinema d’autore. Una carriera in punta di piedi che le è valso il titolo di “Signora del cinema italiano”» (Giovanni Cimmino)

    Rassegna in collaborazione con il Centro Studi Silvana Mangano

    venerdì 6

    ore 17.00 Anna di Alberto Lattuada (1951, 106’)

    «Con il costumista ed il parrucchiere decidemmo che Silvana per il ballo del “Negro Zumbon” avrebbe indossato una parrucca con i capelli corti. Lei mi pregò di girare la scena alla fine delle riprese. Visto che per me era la stessa cosa, acconsentii. Finite le riprese dissi a Silvana “domani si gira El negro Zumbon” sei pronta con i passi?” mi rispose che non c’erano problemi. Andammo tutti a casa e l’indomani mattina Silvana venne in sala trucco con i capelli corti, come si vedono nel film. Quando gli chiesi perché lo aveva fatto mi rispose che una parrucca era una cosa falsa e non gli andava bene. Il problema fu con Dino che pensò che fossi stato io a convincere la moglie a tagliarsi i capelli; non mi rivolse la parola per circa un anno, poi per fortuna gli passò» (Lattuada).

    ore 19.00 Jovanka e le altre di Martin Ritt (1959, 107’)

    «Ero giovanissima, avevo 19 anni, ed ero completamente inesperta. Silvana e la Moreau mi aiutarono in tutto. Dino aveva organizzato una grande conferenza stampa per la scena della rasatura dei capelli ed io mi vergognavo ed ero terrorizzata. Tuttavia vedendo Silvana affrontare la cosa con grande serenità anche io mi feci rasare. Un altro momento in cui Silvana e Jeanne Moreau mi aiutarono fu durante la scena del bagno, mi vergognavo da morire e loro parlarono con il regista perché mi facesse tenere una sottoveste, cosa, tra l’altro, del tutto plausibile, dato che il mio personaggio era incinta» (Gravina).

    ore 21.00 incontro con Giovanni Cimmino, Caterina d’Amico

    moderato da Orio Caldiron

    a seguire Riso amaro di Giuseppe De Santis (1948, 109’)

    «La preparazione del film fu difficilissima ma il principale problema che dovevo affrontare fu quello di trovare un’attrice in grado di rappresentare quel mondo. Non saprei più dire quante attrice vidi, nessuna mi riportava in quel mondo. Vidi anche Silvana, che accompagnava una sua amica: Lilli Saraceni, che scartai immediatamente perché venne, come imponeva la moda dell’epoca, truccatissima e con i capelli cotonati. Una mattina, mentre piovigginava, ero in via veneto, quando all’angolo di Via Sicilia urtai una figura, chiesi scusa e mi rispose “si figuri dottor De Santis” alzai lo sguardo e vidi una ragazza con i capelli bagnati ed una rosellina in mano: rimasi folgorato. Le feci un rapido provino e firmammo subito il contratto. Fu un film durissimo, tutto il giorno con le gambe in acqua. Da Silvana non sentii mai un lamento, ogni tanto la vedevo seduta da una parte che con estrema naturalezza si toglieva le sanguisughe dalle gambe» (De Santis).

    Ingresso gratuito

    sabato 7 febbraio

    ore 17.00 Riso amaro di Giuseppe De Santis (replica)

    ore 19.00 Lo scopone scientifico di Luigi Comencini (1972, 109’)

    «Purtroppo con Silvana ho realizzato solo questo fortunatissimo film. Quando al mattino arrivavo sul set, nel parco della villa in cui giravamo, mi si paravano davanti quattro roulottes ben allineate, tutte identiche, proprio per non creare complicazioni: in una c’era Sordi, nell’altra Bette Davis, nella terza Joseph Cotton e infine Silvana. Dovevo stare molto attento affinché tutti credessero di essere stati i primi ad essere salutati da me. Che non sia mai che Sordi o la Davis scoprissero che avevo salutato l’uno o l’altro prima. I due si sono detestati per tutto il film! Silvana lo aveva capito e ridendo mi diceva sempre: “anche oggi hai fatto i sepolcri?”» (Comencini).

    ore 21.00 Mambo di Robert Rossen (1954, 106’)

    «Mambo fu un film difficilissimo, girato quasi tutto in esterni a Venezia, d’inverno, con un clima terribile; inoltre molte scene erano girate di notte. Silvana per tutto il film si comportò con grande professionalità: cordiale e simpatica con tutti. Ricordo che forse per la stanchezza, forse per un terribile raffreddore che mi tormentava, un giorno mi dimenticai di mandare un motoscafo a prendere Silvana. Quando me ne accorsi immediatamente la chiamai in Hotel e gli dissi che avrei provveduto subito; lei mi rispose “Mario esistono anche i traghetti, tra 10 minuti sono sul set”. Immediatamente corsi a prenderla, scusandomi per l’accaduto, temendo di essere licenziato in tronco, non solo era la protagonista del film ma anche la moglie del produttore. Appena scese dal traghetto mi vide e sorridendo disse “sarà il nostro piccolo segreto”, e mai nessuno seppe nulla» (Mario Cecchi Gori).

    domenica 8 febbraio

    ore 17.00 Mambo di Robert Rossen (replica)

    ore 19.00 Il processo di Verona di Carlo Lizzani (1963, 119’)

    «La scena della telefonata al padre di Edda, nel disperato tentativo di salvare il marito, era il punto nevralgico del film. Edda doveva combattere su tre fronti: Il padre Mussolini, Ciano, cui cercava di incutere coraggio, infine star molto attenta alla spia Frau Beetz. Silvana si rendeva perfettamente conto dell’enorme responsabilità: la minima sbavatura nella recitazione o il più piccolo calo di tensione avrebbe compromesso il film, inoltre era consapevole che l’interpretazione in quel ruolo costitutiva un banco di prova senza appello per la sua reputazione di attrice. Detti il ciak e Silvana partì come una leonessa inferocita: più andava avanti più diventava credibile. Quando ebbe finito avevamo i brividi, dissi “buona la prima”. Ne facemmo una di riserva e andai da lei per complimentarmi. Volevo anche sapere come aveva fatto, Silvana mi rispose: “Semplice è stato come se mi toccassero Dino”» (Lizzani).

    ore 21.15 La grande guerra di Mario Monicelli (1959, 134’)

    «Nel 1959, proposi a Silvana di fare il ruolo della prostituta Costantina. Confesso che ero molto titubante, temevo che non avrebbe mai accettato un ruolo così divertente, lontano dei personaggi fino a quel momento da lei interpretati. Con mia grande meraviglia Silvana accolse la mia proposta con grande entusiasmo. Le riprese furono molto serene e la sera ci ritrovavamo con Silvana, Sordi e Gassman a cena e a ridere come matti. Incontrai Silvana moltissimi anni dopo, poco prima che morisse, e mi disse che ricordava con profonda nostalgia le grandi risate che ci siamo fatti durante le riprese del film» (Monicelli).

    LA REDAZIONE

    Nota: Si ringrazia Susanna Zirizzotti (Ufficio stampa Centro Sperimentale di Cinematografia - Roma)


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