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    Home Page > Cinespigolature > Academy Awards 2009: STAR, PERSONAGGI E PERSONE ALLO SPECCHIO

    Academy Awards 2009: STAR, PERSONAGGI E PERSONE ALLO SPECCHIO

    Maschera e Attore in un bilancio introspettivo e critico senza alcuna pretesa di esaustività

    04/03/2009 - La stagione cinematografica 2008-2009 e la recente premiazione della Academy Awards, ha posto all’attenzione del grande e piccolo pubblico una serie di tematiche e punti di riflessione di cui da diversi anni si sentiva la mancanza.
    La chiave di lettura parte tutta dal valutare i film per ciò che rilasciano nel tempo, oltre a ciò che sono capaci di suscitare al momento dell’uscita del pubblico dalla sala.
    In un gioco di interscambio tra immagine, emozione e spettatore, si assiste infatti ad un fenomeno quanto mai particolare ed unico, per mezzo di quelle tematiche che il film impone, suscita, sottende a più livelli di lettura e introspezione.

    Pellicole come Milk, The Reader, The Wrestler, Changeling, Revolutionary Road, Doubt, Millionaire, Il curioso caso di Benjamin Button, ritornano ad essere storie vere e sentite, introspettive e fortemente catartiche che presentano la vita di uomini e donne che, mettendo in gioco se stessi, si scontrano con il mondo, con le autorità, con il disagio e il pregiudizio sociale e ideologico, mettendo a nudo la realtà di ogni giorno attraverso le parabole senza tempo di vite vere e finalmente vissute.
    Film che lasciano e rilasciano un segno nel tempo e nell’immaginario, a livelli stratificati e quanto mai intensi e vividi.
    Il romanzo di formazione di Benjamin Button che raccoglie l’esperienza e la saggezza di anziano che diviene viaggio iniziatico visto con gli occhi di un adolescente; la madre coraggio di un’intensa Angelina Jolie in Changeling; la storia di riscatto sociale di Jamal in Millionaire; la forza di un’ideale capace di trascinare le folle come Sean Penn nei panni di Harvey Milk; il fantasma inquietante del rapporto fra educatore, violenza e verità ne Il dubbio; la ricerca di affermazione di sé e il sogno americano nei protagonisti di Revolutionary Road e le intense immagini di Kate Winslet (The Reader) e Mikey Rourke (The Wrestler).
    Stagione per certi tratti antologica che mostra tutti i generi del classico e del vero romanzo sociale.

    In un bilancio dei premi scelti dall’Academy, la riflessione cade a questo punto sul film più atteso e candidato, quel “curioso caso” che fa di Benjamin Button una pagina importante di storia del cinema ma che forse non ha saputo trarre al massimo e sfruttare tutto il potenziale.
    A cominciare dal titolo, per il quale, dato il genere narrativo e che parte dal racconto di diario espresso in voce narrante, sarebbe forse stato più appropriato un "io e Benjamin Button" oppure "le vite di Benjamin Button", dal momento che la storia si dipana in un secolo con fatti eventi che il suo protagonista vive appieno, dalle due guerre agli anni ottanta, passando per punti saldi, fenomeni di costume e importanti avvenimenti, simboli e mode della storia del ventesimo secolo (il primo lancio dello shuttle, gli hippye), attraverso un viaggio che è la sua stessa vita.
    Ci si sarebbe aspettati forse una caratterizzazione carismatica da parte del bellissimo Brad Pitt che torna ai tempi di Vi presento Joe Black e Sette anni in Tibet, ma la cui personalità non esce e il protagonista resta simile a se stesso, e a cambiare è soltanto l’aspetto.
    Il prezzo che si paga è che forse il personaggio non riesce appieno, non arriva al cuore, non fa breccia e non raggiunge lo spessore di un carattere invece poliedrico e trascinante frutto di quelle straordinarie esperienze di vita ridotte spesso invece alla sola voce narrante.
    Tanto che la non protagonista, (o meglio, co-protagonista), Cate Blanchett, lo surclassa, mostrando ancora una volta la sua incredibile versatilità e la capacità di entrare con una perfezione emotivamente avvolgente e palpabile in ogni tipo di ruolo, riuscendo mirabilmente a spaziare e presentare ogni sfaccettatura.
    Si passa alla perfezione dalla giovane disillusa e viziata, alla donna che si sveglia non più bambina e affronta un disagio fisico e la fine del sogno, fino alla maturità.
    E’ lei, che d’impeto, indossa le vesti della protagonista e conquista a mio avviso una statuetta senza prezzo.

    Pellicole, storie ed attori che lasciano il segno, come l’intensissima Kate Winslet che in The Reader mette in gioco se stessa e, come nelle migliori performance delle più grandi attrici, entra nella parte fino ad esserne un tutt’uno sofferto e doloroso.
    Così arriva perfettamente allo spettatore (si presuppone sempre sensibilità e capacità di leggere fra le righe ovviamente); attrici che si danno tutte al personaggio così che il personaggio diventa vita vera.

    Preferito il raffinato e pregnante Sean Penn di Milk (la cui sceneggiatura non riesce a mio avviso a rilasciare un messaggio più universale) nel confronto con The Wrestler, che la dice lunga sul percorso del contestato Rourke.
    Trasgressivo per una vita intera, non lo si apprezza per carattere e per scelte di vita, ma per il percorso interiore e la volontà con cui ha lottato e fatto forza su se stesso per uscire dal suo buio interiore, lo consacrano fra i grandi che non hanno bisogno di statuette per lanciare un messaggio.

    Se in Benjamin Button, in un’analisi puramente di rappresentazione e pregnanza caratteristica del personaggio, si è più sopra evidenziato come resti solo immagine esteriore, una maschera di vecchio indossata e che rimane vuota al suo interno, non colmata dal sentimento e dal sé, torna alla mente la performance di Nicole Kidman in The Hours, lo stesso dolore e furore che in Rourke torna, quello strenuo passo dentro al personaggio in cui si immerge la vita e al personaggio affida tutto per essere traghettato, in parte grazie ad esso, verso la rinascita.
    Una maschera colmata dal coraggio di un passo dentro a un altro corpo, un’altra vita, un altro senso e un altro aspetto che rimane però solo guscio che altrimenti non avrebbe senso se non colmato di sé.
    L’antico rapporto tra maschera e persona, tra palco e realtà la cui verità si fonde in un portare la propria esperienza di vita e insieme attingere dal nuovo e dall’ignoto in un passo che arriva dritto al cuore e fa di un attore un interprete completo.
    Alle spalle il dolore, in una performance fortemente catartica, un aggrapparsi strenuo al personaggio per attingere e per dare, per rimanere a galla.

    (A cura di ENRICA MANES)

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